INDICE
Contatti
|
Diorama: possibili realtà
di Stefania Severi
La definizione di diorama, almeno quella offerta
dall’Enciclopedia Treccani, rimanda ad un’opera creativa di
ricostruzione di un paesaggio naturale. Furono i Francesi, nel 1822, ad
usarla per la prima volta, in quanto, come avviene per numerosi termini
scientifici, sebbene composta da vocaboli greco-antichi, non ha
riscontro nel dizionario greco. Nel 1800 andarono di gran moda i
diorami, parola che indicava una rappresentazione che, per mezzo di tele
opportunamente dipinte e illuminate, consentiva di assistere a varie
tipologie di spettacolo: l’avvicendamento giorno notte su un paesaggio;
movimenti e sovrapposizioni di scena; mutamenti di luce... Poi i diorami
si diffusero, soprattutto nei musei di scienze naturali, dove ricreavano
ambienti di varie ere e di varie zone climatiche: grandi vetrine
all’interno delle quali si materializzava un ambiente, talora in forma
ridotta talora a grandezza naturale. Anche un presepio napoletano può
essere un diorama in quanto ricostruisce un ambiente presunto “reale”.
Ancora con questa espressione si indicano talvolta le rubriche
giornalistiche in cui si parla un po’ di tutto, perché la realtà che ci
circonda è assolutamente poliedrica e variabile.
Questa mostra, sulla scia dell’uso giornalistico, si propone un
significato filosofico del vocabolo, con risvolti di carattere
sociologico e/o psicologico. Così infatti dichiara il testo introduttivo
della manifestazione: «Diorama …guardare attraverso l’esistenza con il
giusto sguardo che non semplifica la comprensione, bensì ne assume la
complessità e il mistero». Il sottotitolo della mostra, “la vita,
l’assurdo, il teatro”, offre un ulteriore approccio alla totalità
dell’esistenza, indicando specifici binari di approfondimento. Sulla
scia di tale interpretazione si collocano pertanto gli artisti e non è
da meravigliarsi se le loro opere sono, ad un primo impatto,
completamente diverse le une dalle altre. E ciò, evidentemente, non è da
assegnare solo alle differenti tecniche ed ai vari materiali da loro
usati, ma proprio all’accezione specifica che ognuno di loro ha nei
confronti della vita. Quanto ai concetti di assurdo e di teatro, sebbene
impliciti nell’ampio alveo vitale, sono altrettante ancore perché la
nave dell’ingegno di ognuno di loro non vada alla deriva nell’immensità
dell’assunto. Di Claudia Bellocchi, Venera Finocchiaro, Giorgio Fiume e
Gianleonardo Latini ho analizzato, tra le numerose opere in esposizione,
quelle che compaiono nel presente catalogo; queste opere sono
riconducibili, a mio avviso, ad un fil rouge personale che,
connettendosi alla tematica dell’esposizione, qualifica ed identifica
l’autore.
Claudia Bellocchi ha realizzato una serie di “Diorami” della sua anima
che, grazie ad una approfondita analisi introspettiva, racchiudono la
sua esperienza di vita. Proprio partendo dall’intimità del vissuto,
l’anima si dilata estendendosi all’universo femminile per prendere una
netta posizione in difesa della donna. L’artista è contro ogni violenza
perpetrata non solo nei riguardi dell’universo femminile ma anche verso
l’ambiente, che ella invita a tutelare e salvaguardare. Le immagini e le
scritte, più rare, emergendo dall’articolato colore di fondo, raccontano
una storia che riecheggia diversa a seconda del riguardante. E le
interpretazioni fanno appello anche a specifiche conoscenze, come la
figura della carta da gioco di tipo francese, che assume qui le
sembianze dall’Arcangelo Michele con archibugio, citazione della cultura
dell’America Latina. La posizione dell’artista in difesa dell’ambiente
si evince anche dal suo uso del papel misionero, una carta prodotta in
una regione dell’Argentina nel rispetto e nella salvaguardia della
foresta e delle tribù che ci vivono. Il rimando all’Argentina è parte
integrante del vissuto dell’artista che ha scelto l’America Latina come
sua seconda patria.
Venera Finocchiaro si sofferma su una tematica di grande attualità, la
violenza, e nelle sue opere stigmatizza in particolare due tipi di
violenza, quella contro le donne e quella contro la natura. L’opera
grafica “Siamo come d’autunno…”, nel titolo riecheggia il celebre verso
di Giuseppe Ungaretti “Si sta come in autunno sugli alberi le foglie”.
Il poeta alludeva al sentimento di precarietà come tipico dei soldati in
guerra, mentre l’artista, facendo cadere dall’albero numerose bambole,
stigmatizza la precarietà delle donne, troppo spesso vittime di
femminicidi. L’immagine colpisce anche perché, in esteso, tutti stiamo
provando tale sentimento a causa delle tante guerre che ci circondano.
In “Calma apparente” in una ciotola giace una scimmia, con gli occhi
chiusi sembra addormentata, ma il modo in cui le sue zampe afferrano il
bordo della ciotola denuncia una tensione presaga di un evento tragico,
che il tovagliolo ripiegato indica chiaramente. Stiamo uccidendo gli
animali, intere specie sono già scomparse. Le opere grafiche
“Tigre-Uomo” e “Scimpanzé-Città”, che fanno parte della serie “Mondi
Sovrapposti”, invitano a guardare al di là delle apparenze. Sono
immagini in cui immergersi per individuare, dietro l’effetto ottico, non
solo i singoli elementi compositivi ma soprattutto per riflettere su
come sia facile subire l’inganno. La stessa sovrapposizione è indicativa
di un processo evolutivo che incalza, trasformando gli uomini in tigri e
lo spazio della città in una gabbia per scimmie, ma, in ottica inversa,
annientando le tigri e gli scimpanzé a causa dei processi di
urbanizzazione, infatti l’invadente presenza delle persone riduce sempre
di più l’habitat per gli altri esseri.
Giorgio Fiume sembra riflettere soprattutto sullo spazio visto, in forma
più o meno teatralizzata, come spazio del vissuto in cui il gesto e la
parola si connettono e si affrontano. In “Armonic Ensemble” lo spazio è
dichiaratamente teatrale: qui la parola di chi declama, in assenza di
sonoro, è sostituita dalla parola scritta. Dialogano nello spazio i
piccoli oggetti della installazione-bacheca “Condominio”. Ognuno nella
sua casa-casella, sembra avere scarso legame con i vicini; in realtà la
relazione è implicita proprio nel loro stare uno accanto all’altro,
forse talvolta anche loro malgrado. Il dipinto “Omaggio a Jonesco” pone
in relazione un faro, costruzione geometrica policroma, rigorosa e tesa
verso l’altro, con i corpi “grigi”, quindi incolori, di un uomo ed una
donna che precipitano, in basso, forse gettatisi giù dall’alto della
costruzione. Sono sagome con scarse individuazioni, salvo l’appartenenza
ai due generi, in rappresentanza dell’umanità tutta. Il tributo a Eugène
Jonesco è proprio nella circostanza che i due elementi sono
assolutamente incompatibili, riprendendo il concetto di assurdo presente
nelle opere del drammaturgo.
Gianleonardo Latini, nelle sue opere che affrontano la complessità della
vita, procede, per una più meticolosa analisi, in modo seriale, e
focalizza il tutto attraverso il concetto di cultura. Particolarmente
attuale è, della serie “Anonimi Apocalittici”, l’opera “Altra
dimensione”, in cui si confrontano la bestia e l’uomo, e mentre la
bestia è presenza chiara ed evidente, l’uomo, racchiuso nell’anonimato,
schivo alla dialettica, non coglie l’essenza del dibattito. “Riflessi di
Luna” affronta il tema del doppio ed è parte della serie “Sliding doors”,
che trae spunto dall’omonimo film di Peter Howitt (1998) incentrato su
alcune idee del regista polacco Krzysztof Kieslowski quali appunto il
doppio ed il caso. “Il Potere e la Foresta” è una scenografia teatrale
che l’artista collega a due figure chiave della drammaturgia,
l’Imperatore Jones (di Eugene O’Neill) e Macbeth (di William
Shakespeare), personaggi di potere incalzati e messi in crisi entrambi
dalla foresta, espressione viva del destino incombente. “Riflessi 02,
Venezia”, della serie “Oltre lo specchio, oltre l’acqua” invita ad una
visione accurata, non frettolosa, così da poter cogliere i sottili
eleganti esiti di una città magnifica, come Venezia, ancor più
suggestiva grazie al rispecchiamento ed ai riflessi di luce che non
tolgono ma aggiungono fascino. La soluzione in b/n e la sintesi
linearistica indicano una visione del reale in chiave
intellettualistica.
Pur nell’indubbia varietà di proposizioni i quattro artisti mostrano
ciascuno di avere una personalità molto decisa in grado di affrontare
tematiche complesse rimanendo sempre connessi con il proprio vissuto ed
il proprio modo di interpretare le cose. Potremo essere più o meno
d’accordo con la loro visione ma comunque queste opere invitano a
formulare un “personale” diorama, e proprio la loro capacità di
stimolare il dialogo e di invitare alla riflessione ribadisce il ruolo
specifico dell’arte che è ricerca della bellezza dentro e fuori di sé.
**********************
|