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Beni Culturali - Restauri
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SOTTO L’OSPEDALE UNA VILLA

L’Ospedale di San Giovanni è costituito da una serie di edifici costruiti in epoche diverse su un ospedale medioevale sorto a sua volta su preesistenze romane. Qui nella II Regione Augustea vi erano molti edifici pubblici e privati; tra i primi i Castra Equitum singularium, la guardia a cavallo imperiale, e i Castra Peregrinorum, sotto Santo Stefano Rotondo, tra i secondi le grandi domus di Domitia Lucilla, madre di Marco Aurelio, e dei fratelli Quintili proprietari anche della omonima Villa sull’Appia. Le domus con l’intero Celio furono devastate sia durante il Sacco di Alarico (410 d.C.) che in quello di Genserico (455 d.C.) e la zona rimase semi abbandonata con l’eccezione della Basilica del Salvatore, ora San Giovanni in Laterano, e del Patriarchio, anch’esso abbandonato durante la Cattività Avignonese. L’attuale aspetto dell’ospedale risale per lo più alla prima metà del ‘600 e sta riprendendo vita dopo una serie di restauri iniziati prima del Giubileo e ancora in corso, tesi a migliorare la qualità dell’assistenza ospedaliera e a ripristinare le parti antiche rivitalizzandole. Un intervento appena iniziato è quello riguardante il Polo Ospedaliero dell’Addolorata, edificio costruito ai primi del ‘900 dall’architetto Aristide Leonori, con i fondi forniti dai conti Cerasi di Monterado, inizialmente come ospizio per gli anziani. Nel programma di ristrutturazione dell’intero complesso l’Addolorata è stata destinata a Dipartimento di Onco-Ematologia che ospiterà, a lavori terminati, unità di radioterapia oncologica, di degenza, di day hospital, di medicina nucleare, di ematologia e di oncologia medica. Scavando nei sotterranei per approntare locali per macchinari sono emersi importanti reperti di cui si aveva soltanto parziale notizia sia per sondaggi effettuati in epoca pontificia sia durante i lavori per la costruzione dell’edificio. Sotto l’Addolorata è emersa la domus dei Valeri, potente e ricchissima famiglia senatoria con esponenti noti dalle fonti storiche quali Valerio Publicola Balbino Massimo, Arcadio Rufino Valerio Proculo e Valerio Severo, prefectus Urbis nel 382 d.C.. Successivamente appartenne al figlio Valerio Piniano e a Melania che tentarono di venderla all’inizio del V secolo per devolverne il ricavato ai poveri; a pochi anni dopo risalgono tracce d’incendio dovute al sacco dei visigoti. Una parte della domus era già nota ma nel corso dei recenti lavori è apparso un nuovo settore finora ignoto; è un corridoio che affacciava su un cortile, largo quattro metri e scavato per una lunghezza di dieci risalente ad età medio imperiale su resti di età augustea. La parete è decorata ad intonaco con uno zoccolo rosso e grandi riquadri bianchi con fregi vegetali e piccole figure umane e di animali, il pavimento è a mosaico. L’intero ambiente fu distrutto, forse per una ristrutturazione nel III secolo, con demolizione delle volte e scarico sul pavimento di grandi quantitativi di intonaci dipinti e stucchi che con estrema cura e pazienza i restauratori hanno recuperato e stanno ripristinando. Sotto la loro mano esperta si ricompongono i frammenti di affreschi che, unitamente a quelli delle pareti del corridoio distaccati per ragioni di conservazione, costituiranno una futura esposizione ed un ulteriore passo avanti nella conoscenza della storia della città, della sua topografia antica, della sua popolazione.

Roberto Filippi