Roma
Chiesa di Trinità dei Monti
Deposizione
di Daniele da Volterra
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LA FRANCIA A ROMA
Generalmente dopo un restauro si dice che l’opera “è tornata al
primitivo splendore”, nel nostro caso non possiamo spingerci a tanto per
le gravi traversie subite ma possiamo dire che i restauratori hanno
fatto il possibile ottenendo un risultato egregio: parliamo della
“Deposizione” di Daniele da Volterra nella Chiesa di Trinità dei Monti.
L’edificio, che si eleva in cima alla Scalinata con due caratteristici
campanili che gli danno un aspetto imponente, fu costruito all’inizio
del ‘500 per devozione dei Re di Francia per San Francesco di Paola,
fondatore dei Frati Minimi, è a navata unica con molte cappelle alcune
delle quali decorate da celebri artisti; accanto vi è il Convento,
anch’esso ricco di opere d’arte, dove attualmente vi è un Ordine di
Suore Francesi che gestisce anche un prestigioso istituto scolastico e
poco più Villa Medici, sede dell’Accademia di Francia.
Gran parte della dorsale del Pincio è di proprietà francese ed è oggetto
di accurati restauri, quando sarà terminato quello della facciata della
Chiesa l’intero complesso svetterà imponente sulla città.
Nella Capella Orsini, nella navata destra, splendeva, fino all’inizio
del XIX secolo, una finissima decorazione ad affresco, opera di Daniele
da Volterra, considerata sin dall’inizio uno dei più rinomati capolavori
artistici della città e che costituiva un importante esempio di quello
stile diffuso per quasi tutto il XVI secolo e che fu chiamato
“manierismo”.
Il pittore, il cui nome era Daniele Ricciarelli, nacque nel 1509, iniziò
a lavorare con il Peruzzi e il Sodomia, fu poi a Roma nella bottega di
Perin del Vaga ed infine scoprì Michelangelo di cui divenne convinto ed
appassionato seguace. Fu uno dei capi-scuola del Manierismo
distinguendosi per i suoi colori freddi, il ritmo serrato delle
composizioni, gli equilibri formali e meritò in vita grande fama mentre
attualmente è noto per un suo curioso lavoro: Papa Pio V lo incaricò di
“moralizzare” alcuni nudi michelangioleschi alla Sistina e da ciò nacque
fama imperitura e il soprannome di” Braghettone”.
Morì a Roma nel 1566. L’incarico di affrescare la Cappella Orsini fu di
suggello alla sua fama e per oltre due secoli la sua opera fu ammirata e
studiata finché all’inizio ‘800 un crollo danneggiò le murature; Pietro
Palmaroli, allora celebre restauratore, eseguì lo stacco dell’affresco
rappresentante la “Deposizione” e lo trasferì su tela dopodiché l’opera
divenne la pala d’altare della Cappella Bonfil, seconda a sinistra.
Sul momento sembrò un successo poi pian piano apparvero gli
inconvenienti, già di per sé lo “stacco” danneggia gli affreschi
impoverendo il colore e disseccando la materia, nel nostro caso i
prodotti e le tecniche usate hanno condotto ad un decisivo degrado
dell’opera che soltanto nel 2002 si è arrestato per l’interessamento dei
Piex Etablissements de la France a Roma et Lorette, che con l’opera dei
restauratori Luzi e de Cesaris, ha permesso l’arresto del degrado ed il
ripristino per quanto possibile dell’aspetto estetico del dipinto. Anche
se non si potrà mai tornare alla situazione originale l’opera ha
riacquistato una eccellente leggibilità, una buona cromia e le sue
caratteristiche di manifesto del “Manierismo Romano”.
È un testo interessante, articolato su una serie di piani con figure che
formano quasi una sorta di griglia che inquadra le Croci ed una folla di
personaggi che si muovono intorno al Corpo di Cristo che viene calato
dal patibolo.
Un tassello della Storia dell’Arte che torna al suo posto in quel
gioiello che è l’antica Chiesa di Trinità dei Monti.
Roberto Filippi
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