LE RIFLESSIONI DI PAOLO
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Roma, liceo Ripetta: "In quegli
anni spensierati ho imparato ad amare l'arte"
Diario di classe. L'iniziativa di "Repubblica" dedicata al Giulio
Romano: il racconto di un lettore
Scrivere dell'esperienza vissuta al Liceo
Artistico di Via di Ripetta mi riempie di emozioni, perché ricordo
quegli anni spensierati, durante i quali ho iniziato a conoscere il
"mondo dell'arte". Ho frequentato il liceo dal 1968 al 1972, anno nel
quale mi sono diplomato. Dopo sono andato all'Accademia delle Belle
Arti, lì davanti al liceo.
Ricordo come se fosse ieri il primo giorno delle superiori. Entrai con
qualche minuto di ritardo e i miei futuri compagni erano già sistemati
dietro ai cavalletti. Ero spaesato (come un ragazzo di quattordici anni
all'inizio di una nuova esperienza) e chiesi subito al professore se ci
fosse una sedia libera per sedermi. Lui mi rispose in maniera
apparentemente "burbera": "Vuoi una poltrona? ......Vatti a trovare uno
sgabello!" Non sapevo che la sedia lì venisse chiamata sgabello. Tutto
rosso in viso, trovai uno sgabello libero e mi sedetti dietro ad un
cavalletto, come i miei compagni.
Solo alcuni di noi però avevano gli strumenti precisi per disegnare. Tra
di noi c'era chi si era portato un album o una matita; chi un quaderno;
chi come me un foglio (formato settanta per cinquanta centimetri) con
una tavola (indicazioni che erano state date in segreteria al momento
dell'iscrizione).
Misi la tavola, che solo più tardi scoprii chiamarsi "stiratore", sul
cavalletto, presi il foglio e lo fissai con puntine a tre punte agli
angoli della tavola, pensando che il foglio si sarebbe retto bene. Con
l'esperienza ho capito che quelle puntine non erano sufficienti a
reggerlo stabilmente.
Il professore ci disse di scrivere in alto al foglio il nostro cognome.
Io scrissi il mio, ma lo scrissi per tutto il lato orizzontale del
foglio, ossia lungo i suoi cinquanta centimetri.
Iniziammo a disegnare la forma di busti classici in gesso, non più
totalmente bianchi a causa dell'uso, che il professore aveva messo
davanti a noi. Non eravamo in grado ovviamente di riconoscere l'inizio
dell'arcata sopraccigliare o riprodurre esattamente la forma
dell'occhio, delle labbra e degli altri particolari e pertanto provammo
ad abbozzare una forma simile ai busti che facevano da esempio. Il
professore passava tra i cavalletti e quando vide il mio foglio disse ad
alta voce: "Ma così si firma? Che sei Michelangelo? Nemmeno lui scriveva
così il suo nome".
Quelle parole, che più volte mi sono tornate alla mente, mi hanno
aiutato a riflettere sulla mia personalità e ad imparare a conoscere
quel professore apparentemente burbero.
Era il professore Dante Ricci, insegnante di figura disegnata. Con il
tempo scoprii che era molto affettuoso. A lezione a volte raccontava
della sua vita e di problemi economici che aveva avuto in passato. Ci
disse che aveva imparato dalla sua famiglia di origine ed in prigionia,
nel corso della seconda guerra mondiale quando aveva sofferto la fame,
che il pane tagliato deve essere sempre finito perché non può essere
sprecato ed i pezzi tagliati induriscono. Insegnamento che aveva
trasmesso anche ai suoi figli e che per me fu il primo di tanti che
ricevetti nel corso del liceo.
Il professore Ricci fu nostro insegnante per i primi tre anni. Il quarto
anno il corso di figura disegnata fu affidato a Saro Mirabella. Sia
Ricci che Mirabella erano pittori che esponevano costantemente nelle
gallerie d'arte di allora. Una volta il professore Mirabella, passando
tra i cavalletti, strappò un pezzo di giornale, sul quale era riprodotta
un'immagine e il motivo fu presto svelato. Infatti rivolgendosi al suo
assistente Blasi, disse: "Mi serve per quel quadro che sto facendo".
Di ricordi come questo ne ho molti, apparentemente insignificanti e che
invece mi hanno aiutato a crescere. Tutti i professori contribuivano
alla nostra crescita artistica. Tra loro vi era Mario Cimara, insegnante
di ornato disegnato. Il Professore Cimara ci insegnò diversi modi di
fare il chiaro-scuro ed i vari tipi di tratteggio.
Un giorno accadde quell'evento che tutte le scuole superiori subiscono
ciclicamente: lo sciopero bianco degli studenti, i quali per dimostrare
che il "potere" non è esclusivamente nelle mani dei professori decidono
di occupare la scuola (termine usato impropriamente per sottolineare che
la scuola è degli studenti che la occupano e impediscono ai professori
di svolgere regolarmente l'attività didattica). Lo sciopero consisteva
nel restare a casa, nel partecipare ad assemblee in cui si ribadivano i
propri diritti oppure nello stazionare fuori da scuola ad osservare cosa
stava accadendo.
Eravamo in pochi davanti al liceo quando il professore Cimara venne da
noi ed apostrofandomi per cognome, disse che dovevamo entrare perché
scioperare non portava a nessun risultato. Incerti sul da farsi, i miei
compagni presenti lì fuori ed io decidemmo di entrare. Il professore non
fece lezione ma ci illustrò alcune immagini di performance d'arte
stampate su un libro. Poi venne vicino a me e guardando fuori dalla
finestra mi fece notare come i teli di paglia, posti sopra alle
strutture dei tubi innocenti e necessari per la pulitura di un palazzo
di fronte alla scuola, con il movimento disegnassero immagini
interessanti. Infatti alcuni lembi di questi teli erano spostati e
creavano un'alternanza di chiari e scuri veramente particolare. Quel
giorno imparai molto di più di quanto solitamente imparavo durante le
normali lezioni.
Alla fine del liceo, chiesi al professore Cimara di consigliarmi quale
Scuola seguire all'Accademia. Mi rispose che se ero interessato ad una
pittura astratta avrei dovuto seguire Luigi Montanarini; se invece ero
interessato ad una pittura più decorativa per me sarebbe stata adatta la
Scuola di Franco Gentilini; infine se volevo imparare a disegnare bene
una mano senza dubbio avrei dovuto seguire la scuola di Alberto Ziveri.
Scelsi Alberto Ziveri...ma questa è un'altra storia.
Pubblicato sul quotidiano La
Repubblica on-line
Anno 2016
Paolo
Cazzella
o della Joie de Vivre
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