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2005

Bordline - Riflessioni
Beni Culturali - Bordline - Riflessioni
Sommario


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INDICE


PERSONALI RIFLESSIONI DI:

LE RIFLESSIONI DI MARCO






 

IL MUSEO DEL NULLA

E’ del 6 febbraio (Messaggero, articolo di Andrea Giardina) la notizia che il Museo della Civiltà Romana all’EUR sarà smantellato e trasferito nell’edificio della ex Pantanella a via dei Cerchi, attualmente occupato dal Servizio elettorale, dai Servizi demografici e dal laboratorio di scenografia del Teatro dell’Opera. Ma sarebbe più esatto dire: dov’era originariamente. Ma andiamo per ordine.

La storia inizia nel lontano1911, quando a Roma si tenne la grande Esposizione per i 50 anni di Roma capitale. In quel contesto, alle terme di Diocleziano venne tenuta una mostra dedicata alle province dell’Impero romano, con calchi provenienti da tutte le parti d’Europa, Asia e Africa. Tutto questo materiale fu comprato dal Comune di Roma e Quirino Giglioli ne fece sotto la sua direzione un museo permanente. Museo dell’Impero Romano che fu prima ospitato nei modesti spazi dell’ex convento di Sant’Ambrogio alla Massima (in Ghetto), successivamente nel 1927 negli spazi dismessi dalla Pantanella, in quel complesso edilizio addossato a Santa Maria in Cosmedin che ora ospita vari servizi del Comune di Roma. Per la cronaca, sul frontone dell’Ufficio elettorale c’è ancora scritto ben leggibile “Palazzo dei Musei”. Ma la chiave di volta la diede la Mostra Augustea della Romanità, proposta dallo stesso Giglioli a Mussolini e tenuta nel 1937 a Palazzo delle Esposizioni, senza badare a spese e con l’apporto di molte istituzioni straniere. Stavolta il fine propagandistico non era quello di valorizzare il contributo e il consenso di tutte le province verso il progetto politico unitario, ma quello di esaltare la Romanità e l’Impero attraverso la figura di Augusto, di cui ricorreva il bimillenario. Questa mostra ebbe un successo enorme: un milione di visitatori in un anno, che per l’epoca non era poco. Ne restano il catalogo ufficiale e l’archivio. E’ evidente una forte impronta ideologica nell’allestimento, ma è anche sorprendente la quantità e qualità del materiale esposto: modellini, calchi, ricostruzioni, non ultimo l’enorme plastico di Roma imperiale creato dal Gismondi e il calco completo della Colonna Traiana, preesistenti alla mostra. Anche questa volta il materiale fu comprato dal Comune di Roma (all’epoca, dal Governatorato) per essere stabilizzato in un grande Museo dell’Impero. L’occasione sarebbe stato il reimpiego del bel complesso architettonico creato dall’architetto Pietro Aschieri e finanziato da Umberto Agnelli per l’E42, l’Esposizione mai tenuta per lo scoppio della guerra, ma i cui edifici furono ereditati dall’attuale EUR. Solo successivamente, negli anni Cinquanta, l’Impero essendo ormai un lontano ricordo di un sogno infranto, il museo aprì timidamente i battenti, inizialmente sotto la direzione di Carlo Pietrangeli. In questo modo, pallido ritratto di se stesso, scenografia di un film mai girato, il museo sopravvisse per i successivi cinquant’anni col nome di Museo della Civiltà Romana.

Per chi ci ha lavorato, è stata un’esperienza desolante. A parte il plastico del Gismondi (pieno di polvere), tutto il resto del materiale esposto sembra non avere una strutturazione precisa. Anche se qualche collega dice il contrario, non esiste una cartellonistica decente e le didascalie degli anni Trenta sono mischiate a quelle moderne, in una confusione grafica e ideologica. I preziosi modellini d’epoca non sono protetti da teche di plexiglas; i ragazzini toccano tutto e il personale d’inverno soffre il freddo per l’ampiezza degli ambienti, difficilmente riscaldabili. Ricordo che nel 1994 per la mostra Militaria (SME) furono aperte tutte le sale dalla mattina alla sera sette giorni su sette, ma è anche vero che l’Esercito ci prestò una cinquantina di soldati di leva. Oggi è difficile persino seguire un itinerario, visto che le sale si rincontrano a casaccio e la metà sono chiuse. Non esiste una sala convegni perché nessuno ha mai pensato ad allestirne una e un grande spazio all’ingresso è ora occupato dal nuovo Planetario, vero corpo estraneo nel museo e appaltato ad altri. Ma pur con tutte queste iniziative, il museo non riesce a contare più di 12.000 presenze all’anno, per la maggior parte scuole che entrano gratis, altrimenti il biglietto costa ben 8 euro. Questo è il motivo per cui l’appalto per la libreria è andato deserto due volte e la terza volta chi si è accollato il rischio d’impresa ha dovuto chiudere dopo due anni. Ma pochi sanno che i sotterranei (spettrali) sono pieni di plastici e calchi pieni di polvere, in quantità pari al materiale esposto. Aggiungo pure che nel Museo esiste una collezione enorme di libri e riviste d’epoca che solo ora si sta cercando di riordinare dopo cinquant’anni di incuria. Unica reale attività in attivo del Museo è il commercio dei calchi e delle foto, immagini che, nei libri e riviste dove sono pubblicate, almeno ricreano una sorta di museo virtuale di continuo ricomposto. L’unica e ultima esposizione organizzata dal Museo fu quella di Traiano pochi anni fa, grazie alla dedizione di due funzionarie interne. Esposizione a costo zero, essendo stata organizzata esclusivamente con i materiali in magazzino, ma priva di seguito. Si dirà: quel museo costa troppo e rende troppo poco. Ma non è un problema esclusivamente economico: è un problema ideologico. Investimenti a parte, nel progetto iniziale il Museo dell’Impero Romano sarebbe stato perlomeno un buon Museo Fascista; ora è invece il Museo del Nulla, un esempio da manuale di de-significazione progressiva, di perdita di senso. Quel museo può sopravvivere solo con un’Idea forte, mentre la sua gestione è stata invece caratterizzata da una continua mediocrità. Fino a farne un Museo Zen.

Marco Pasquali
10 febbraio 2005