sommario
INDICE
PERSONALI RIFLESSIONI DI:
LE RIFLESSIONI DI
MARCO
|
IL DECLINO DI ARAFAT?
L'interrogativo è d'obbligo, vista la diabolica
capacità del protagonista di uscir vivo da qualsiasi
accidente. Nel momento in cui scrivo la Road Map è
quanto meno piena di buche e ostacoli, ma rappresenta
l'unica novità in quello che è ormai un conflitto
cronico. Novità che si deve unicamente all'energia del
gruppo dirigente americano, al termine della Seconda
Guerra del Golfo.
Avevo fatto notare in un articolo precedente che la
guerra continua fra Israele e i Palestinesi è un
conflitto locale, e come tale era stato trattato da Bush
jr. all'inizio del nuovo millennio. Ben altre erano le
priorità strategiche. A provocare un ripensamento in
politica estera è stata dunque la nuova situazione
creata dopo l'11 settembre 2001, data che segna l'inizio
della Quarta Guerra Mondiale. Si è capito in sostanza
che combattere il terrorismo significa anche eliminare o
attutire le cause che lo generano o lo favoriscono. E se
le varie operazioni di polizia hanno fatto forse molto
meglio e di più delle enormi operazioni militari in
Afghanistan e in Iraq, è un dato di fatto che la
situazione politica della Palestina rimane - se insanata
- un bubbone perenne e un elemento di contrasto fra gli
Americani e i loro alleati (?) arabi. Da qui l'impegno
tardivo ma deciso per sistemare la Palestina una volta
per tutte, suggerendo la creazione di due stati nazionali
prossimi ma indipendenti, entrambi dotati di confini
regolari, di una capitale, di continuità territoriale e
di risorse economiche realistiche. Tutto questo comporta
una serie di sacrifici reciproci che costituirebbero
semplicemente il male minore: da parte israeliana un
fermo all'espansione territoriale condotta dai coloni e
protetta dall'esercito, da parte palestinese il
riconoscimento reale dello stato di Israele. Restano sul
tappeto problemi che in Italia si tende a ignorare, come
p.es. la gestione delle risorse idriche, ma il punto è
il solito: le parti vogliono veramente accordarsi? E ha
senso negoziare senza un deterrente?
E' ancora presto per dire se la Road Map funzionerà o no
o farà la fine dei falsi accordi precedenti. Che siano
ripresi gli attentati terroristici il giorno dopo della
firma, di per sé non è indicativo: in Palestina ogni
volta che si è parlato di pace il giorno dopo qualcuno
è morto ammazzato. Il punto è un altro: i negoziati non
sono stati portati avanti da Arafat, ma dal discreto Abu
Mazen, interlocutore gradito agli americani e senz'altro
meno compromesso, ma allo stato delle cose ancora troppo
debole per imporsi su chi vuole la guerra, in particolare
il "cartello" composto dalle Brigate Izzeddin
(o Ezzeddin) al Qassam (braccio armato di Hamas, il
gruppo rivale dell'Olp); dalla Jihad islamica (nata negli
anni '80 nella Striscia di Gaza); dalle Brigate dei
martiri di Al Aqsa (costola di Al Fatah, il partito di
Arafat). Degli Hezbollah libanesi neanche a parlarne.
Senza dubbio lo scopo del "cartello" non è
solo quello di manifestare il proprio dissenso verso una
soluzione negoziata e realistica del conflitto, ma anche
quella di screditare Abu Mazen e ribadire la centralità
di Arafat. Ma è proprio questo su cui si deve discutere.
Ho fatto notare a suo tempo che, proprio per la sua
natura locale, il conflitto palestinese ha un assoluto
bisogno di visibilità. Questo ha portato il gruppo
dirigente di Arafat a scatenare la rivolta generale, al
cui confronto la prima Intifada era uno scherzo, non solo
per l'uso delle armi invece che dei sassi, ma per la
nuova pratica del terrorismo suicida. Questo non
significa che Arafat sia stato il responsabile del nuovo
fenomeno degli shahjid (martiri), impropriamente chiamati
kamikaze islamici, ma sicuramente è diventata un'arma di
pressione in più.
Ma intanto ci si può e ci si deve chiedere per quale
motivo Arafat non abbia firmato il protocollo del
settembre 2000, quando il presidente Clinton e il governo
Peres hanno offerto ai Palestinesi tutto quello che
nessun altro avrebbe fatto: era scontato che alla Casa
Bianca ci sarebbe stato un cambio della guardia e che il
rifiuto del protocollo avrebbe fatto stravincere il
partito di Sharon. Clinton ha messo sulla bilancia tutto
il prestigio politico accumulato e neanche sottobanco
sarebbero arrivati anche fiumi di dollari, Peres
conosceva benissimo il pericolo posto dalla componente
più settaria e religiosa della società israeliana una
volta al governo. Il protocollo restituiva ai Palestinesi
molto terreno perso durante le varie guerre e/o
occupazioni; prevedeva il finanziamento dello sviluppo di
un'economia. Non prevedeva il ritorno di tutti i
Palestinesi nelle terre originarie, ma non esiste Stato
che accetti in questo modo la propria disintegrazione. Si
sorvolava invece sulle risorse idriche, tuttora
squilibrate a favore degli Israeliani. Comunque resta la
domanda: perché non accettare ciò che nessuno avrebbe
mai più offerto appena tre mesi dopo? E' appena il caso
di far notare che noi Italiani nel Risorgimento ci siamo
all'inizio accontentati di un piccolo stato nazionale con
confini segnati e risorse economiche e demografiche
sufficienti per promuovere in seguito rivendicazioni
nazionalistiche o addirittura pensare ad un'espansione
imperialistica. La Palestina invece si trova da tre anni
priva di qualsiasi base economica e praticamente sotto
pressione militare quotidiana.
E' anche facile notare che Arafat ha perso ogni volta che
ha accettato o promosso lo scontro militare con Israele.
Questo perché gli Israeliani non sono capaci di fare una
pace, ma la guerra sanno farla benissimo. E' una nazione
in guerra da cinquant'anni, spende il 28% del Pil per la
difesa e combatte in zone comunque ben delimitate. Al
massimo un nemico può mandare avanti azioni di disturbo:
al di là del suo impatto psicologico, neanche il
terrorismo suicida di per sé è risolutivo. Oltretutto
esso richiede un'organizzazione complessa e ben
strutturata: uno shahjid è spendibile una volta sola e
la cellula che lo forma è l'obiettivo logico della
repressione israeliana.
Conclusioni provvisorie? Arafat, screditando Abu Mazen e
alleandosi ufficialmente con la triade Izzeddin al Qassam
- Jihad islamica - Brigate dei martiri di Al Aqsa,
ritorna protagonista: ma il suo destino è ormai segnato.
Marco
Pasquali
21 giugno 2003
|