ex-@rt magazine 
oltre l'arte n. 2
maggio - agosto 2001
Beni Culturali - Bordline
bordline contemporanea beni culturali

sommario

INDICE


PERSONALI RIFLESSIONI DI:

LE RIFLESSIONI DI MARCO






L'IMPORTANTE E' FARSI VEDERE

Sono ormai diversi mesi che assistiamo ormai ogni giorno a quanto succede in Medio Oriente: atti di violenza e rappresaglie, immagini di guerra e di lutto, nonostante gli sforzi di mediazione. Ma a ben guardare le due parti - israeliani e palestinesi - un obiettivo comune lo hanno: evitare la regionalizzazione del conflitto.

A ben guardare, il conflitto fra israeliani e palestinesi è un conflitto locale. Si è sviluppato nell'arco di mezzo secolo attraverso guerre vere e proprie - in genere brevi e distruttive - e lunghi periodi di attrito fra le due comunità principali della zona, durante i quali all'azione diplomatica si sono affiancati ora sistematici periodi di resistenza organizzata, ora provocazioni e non ultimo il terrorismo. Ma persino nei momenti forti di guerra guerreggiata (la guerra dei sei giorni, la guerra del Kippur, la guerra del Golfo), la crisi non si è mai estesa a un punto tale da travalicare le caratteristiche di una crisi regionale. Chi ha puntato in altri tempi - gli anni Settanta e Ottanta - sulla carta del terrorismo internazionale ha tenuto conto proprio della scarsa visibilità di quello che era considerato appunto un conflitto locale ed ha elaborato una strategia adeguata. In ogni caso la comunità internazionale ha da tempo riconosciuto lo status internazionale del conflitto fra israeliani e palestinesi, e ne fanno fede tutte le iniziative recenti e meno recenti, fino a Camp David.
Il cambiamento è avvenuto con il consolidamento della gestione di George Bush Jr. alla presidenza degli Stati Uniti. A differenza del suo predecessore Bill Clinton, Bush Jr. e il partito repubblicano non sono condizionati dall'elettorato ebraico americano, tradizionalmente vicino ai democratici. In più, la nomina alla segreteria di Stato del generale Colin Powell ha marcato un cambiamento nella politica estera americana. Powell viene dall'esperienza della guerra del Golfo (1991) ed ha chiarito subito quali sono gli interessi strategici degli Stati Uniti: essi gravitano ora verso l'Asia, il Golfo Persico, la Russia. A differenza della politica di Clinton, che nei Balcani e in Palestina si è giocato anche il prestigio personale, nelle linee guida di Powell c'è molta geopolitica, ma poca ideologia. E' verosimile che i Balcani potrebbero tornare ad essere un problema europeo, ma è sicuro che Gerusalemme e Gaza non dovevano essere più considerati un problema americano.
Sul piano pratico, la regionalizzazione del conflitto mediorientale ha comportato per prima cosa una diminuizione delle risorse specificamente dedicate. L'epoca di Clinton è stata testimone anche di un enorme trasferimento di fondi alle zone dove il processo di pace andava comunque finanziato: Bosnia e Palestina hanno infatti visto un fiume di denaro che ha ora aiutato o ricostruito le disastrate economie locali, ora ha ingrassato le varie classi dirigenti, ora ha fatto da volano nei momenti di chiusura delle frontiere. Ma nel caso specifico della Palestina, l'economia delle zone occupate è da sempre precaria e sottoposta a pressioni di ogni tipo, non ultimo la limitazione dei movimenti dei lavoratori, l'imposizione di dazi doganali o la chiusura improvvisa delle vie di comunicazione. E al di là dei motivi pratici contingenti, qualsiasi movimento di liberazione sa benissimo che, se manca la copertura dei mass-media, si può combattere anche per anni senza che nessuno intervenga dall'esterno. Ma anche il governo israeliano si rende conto che, priva del tradizionale appoggio statunitense, la linea politica di Israele non può durare in eterno, per quanto determinati siano i suoi uomini. Da qui una politica se vogliamo simmetrica a quella dell'avversario: il rischio calcolato. Ora non interessa qui analizzare quanto Sharon e Arafat siano indipendenti nelle loro decisioni o non piuttosto condizionati dalle componenti più radicali delle loro società e delle loro istituzioni politiche. Fatto sta che l'indice del termometro si è alzato di parecchio in pochi mesi.

Da qui la ripresa dura e continua dell'Intifada: fra i suoi obiettivi primari resta anche quello di sbattere ogni sera le immagini che riportano in ogni casa un problema che rischia altrimenti di passare in secondo piano. E questo ha provocato proprio da qualche giorno un ripensamento nella segreteria di Stato americana: d'ora in poi ci si dovrà occupare di nuovo di Gaza e Gerusalemme.

Marco Pasquali