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PERSONALI RIFLESSIONI DI:
LE RIFLESSIONI DI
MARCO
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L'IMPORTANTE E' FARSI
VEDERE
Sono ormai diversi mesi che assistiamo ormai ogni giorno
a quanto succede in Medio Oriente: atti di violenza e
rappresaglie, immagini di guerra e di lutto, nonostante
gli sforzi di mediazione. Ma a ben guardare le due parti
- israeliani e palestinesi - un obiettivo comune lo
hanno: evitare la regionalizzazione del conflitto.
A ben guardare, il conflitto fra israeliani e palestinesi
è un conflitto locale. Si è sviluppato nell'arco di
mezzo secolo attraverso guerre vere e proprie - in genere
brevi e distruttive - e lunghi periodi di attrito fra le
due comunità principali della zona, durante i quali
all'azione diplomatica si sono affiancati ora sistematici
periodi di resistenza organizzata, ora provocazioni e non
ultimo il terrorismo. Ma persino nei momenti forti di
guerra guerreggiata (la guerra dei sei giorni, la guerra
del Kippur, la guerra del Golfo), la crisi non si è mai
estesa a un punto tale da travalicare le caratteristiche
di una crisi regionale. Chi ha puntato in altri tempi -
gli anni Settanta e Ottanta - sulla carta del terrorismo
internazionale ha tenuto conto proprio della scarsa
visibilità di quello che era considerato appunto un
conflitto locale ed ha elaborato una strategia adeguata.
In ogni caso la comunità internazionale ha da tempo
riconosciuto lo status internazionale del conflitto fra
israeliani e palestinesi, e ne fanno fede tutte le
iniziative recenti e meno recenti, fino a Camp David.
Il cambiamento è avvenuto con il consolidamento della
gestione di George Bush Jr. alla presidenza degli Stati
Uniti. A differenza del suo predecessore Bill Clinton,
Bush Jr. e il partito repubblicano non sono condizionati
dall'elettorato ebraico americano, tradizionalmente
vicino ai democratici. In più, la nomina alla segreteria
di Stato del generale Colin Powell ha marcato un
cambiamento nella politica estera americana. Powell viene
dall'esperienza della guerra del Golfo (1991) ed ha
chiarito subito quali sono gli interessi strategici degli
Stati Uniti: essi gravitano ora verso l'Asia, il Golfo
Persico, la Russia. A differenza della politica di
Clinton, che nei Balcani e in Palestina si è giocato
anche il prestigio personale, nelle linee guida di Powell
c'è molta geopolitica, ma poca ideologia. E' verosimile
che i Balcani potrebbero tornare ad essere un problema
europeo, ma è sicuro che Gerusalemme e Gaza non dovevano
essere più considerati un problema americano.
Sul piano pratico, la regionalizzazione del conflitto
mediorientale ha comportato per prima cosa una
diminuizione delle risorse specificamente dedicate.
L'epoca di Clinton è stata testimone anche di un enorme
trasferimento di fondi alle zone dove il processo di pace
andava comunque finanziato: Bosnia e Palestina hanno
infatti visto un fiume di denaro che ha ora aiutato o
ricostruito le disastrate economie locali, ora ha
ingrassato le varie classi dirigenti, ora ha fatto da
volano nei momenti di chiusura delle frontiere. Ma nel
caso specifico della Palestina, l'economia delle zone
occupate è da sempre precaria e sottoposta a pressioni
di ogni tipo, non ultimo la limitazione dei movimenti dei
lavoratori, l'imposizione di dazi doganali o la chiusura
improvvisa delle vie di comunicazione. E al di là dei
motivi pratici contingenti, qualsiasi movimento di
liberazione sa benissimo che, se manca la copertura dei
mass-media, si può combattere anche per anni senza che
nessuno intervenga dall'esterno. Ma anche il governo
israeliano si rende conto che, priva del tradizionale
appoggio statunitense, la linea politica di Israele non
può durare in eterno, per quanto determinati siano i
suoi uomini. Da qui una politica se vogliamo simmetrica a
quella dell'avversario: il rischio calcolato. Ora non
interessa qui analizzare quanto Sharon e Arafat siano
indipendenti nelle loro decisioni o non piuttosto
condizionati dalle componenti più radicali delle loro
società e delle loro istituzioni politiche. Fatto sta
che l'indice del termometro si è alzato di parecchio in
pochi mesi.
Da qui la ripresa dura e continua dell'Intifada: fra i
suoi obiettivi primari resta anche quello di sbattere
ogni sera le immagini che riportano in ogni casa un
problema che rischia altrimenti di passare in secondo
piano. E questo ha provocato proprio da qualche giorno un
ripensamento nella segreteria di Stato americana: d'ora
in poi ci si dovrà occupare di nuovo di Gaza e
Gerusalemme.
Marco
Pasquali
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