ex-@rt magazine 
oltre l'arte 2007
Beni Culturali - Musei
Sommario




Museo Criminologico

Roma
via del Gonfalone 29

Orario:
dal martedì al sabato 9 – 13
martedì e giovedì 14.30 – 18.30
Chiuso domenica e lunedì

Tel. 06/68300234

www.museocriminologico.it


 



DELITTO E CASTIGO

Il delitto è antico quanto l’uomo, si inizia con Caino, il castigo, immediatamente susseguente, fu prima affidato alla vendetta privata o di clan e solo successivamente, con il formarsi di entità organizzate, si originò un sistema di punizioni definite a cura di organismi sociali. Originariamente il castigo si articolava su morte, mutilazioni, esilio, confisca dei beni, pene pecuniarie e solo in rari casi, legati generalmente alla qualità del reo, nell’incarceramento; solo dal seicento si cominciò a valutare la possibilità di detenere il colpevole, giudicato e condannato, in appositi edifici destinati alla reclusione, precedentemente servivano solo per ospitare il prigioniero in attesa di giudizio o di esecuzione. Le carceri erano luoghi assolutamente carenti e i reclusi vivevano in pessime condizioni igieniche, con alimentazione inadeguata e scarsa e sottoposti alla brutalità dei carcerieri. Nella Roma del XVII secolo il carcere principale era la Corte Savella, così chiamato in quanto gestito in appalto dall’omonima famiglia principesca, situato nell’attuale via di Monserrato e nel quale le condizioni di sopravvivenza erano così dure, pur nella non tenera sensibilità dei tempi, che Papa Innocenzo X decise di avocare direttamente allo Stato la conduzione delle prigioni e fece costruire su via Giulia dall’architetto Antonio del Grande, nel 1652, un grande complesso carcerario all’epoca decantato come un portento di razionalità e di umanità e che prese dal popolo il nome di “Carceri Nove”. All’edificio nel 1827 per ordine di Papa Leone XII fu affiancato un altro palazzotto, attribuito al Valadier, destinato a carcere minorile; la prigione rimase in uso finché non fu costruito sull’altra riva del Tevere il nuovo carcere di Regina Coeli. Nella seconda metà dell’ottocento cominciarono a svilupparsi studi sulla delinquenza, sulle sue motivazioni sociali, sul modo di trattare i carcerati, sulla pena di morte e su altri temi collegati ed in essi si distinse Cesare Lombroso con le sue teorie, oggi ritenute assurde, sulla predestinazione genetica alla delinquenza. Lo studioso iniziò anche a raccogliere cimeli relativi ad azioni delittuose e la moda si estese tanto che all’inizio degli anni Venti fu vietata la vendita all’asta dei corpi di reato più significativi e nel 1930 il Guardasigilli Alfredo Rocco dispose la creazione di un Museo Criminale ospitato nelle antiche Carceri Nove.
Nel 1975 il Museo divenuto “Criminologico” fu sistemato nell’antico Carcere Minorile dove tuttora si trova. E’ articolato su tre settori: strumenti di tortura, corpi di reato, indagini di polizia e vita carceraria; notevoli i reperti esposti: la spada che decapitò Beatrice Cenci, il mantello rosso del boia Mastro Titta, la pistola dell’anarchico Bresci che uccise il re Umberto I nel 1900, la spada del deputato Cavallotti morto in duello, la documentazione sul processo Cuocolo dei primi del 900 che coinvolse la Camorra, oggetti appartenuti al bandito Giuliano e al suo assassino Pisciotta, reperti e documenti relativi alla banda Casaroli e a quella delle “Tute blù” di Via Osoppo a Milano, prime manifestazioni di seria criminalità del dopoguerra. Altri reperti, come il cranio dell’anarchico Passanante che attentò alla vita di Umberto I nel 1878, hanno trovato, dopo anni, degna sepoltura nel paese natale Salvia di Lucania, ora noto come Savoia di Lucania.
Il visitatore del museo è accolto dalla riproduzione della “Vergine di Norimberga” un grande simulacro a forma di donna con l’interno irto di punte aguzze che uccidevano lentamente chi vi era rinchiuso, seguono numerosi altri strumenti di tortura e di esecuzione, alcuni autentici altri riprodotti, che destano un vivo senso di orrore per la crudeltà a cui si giungeva pur nella convinzione di garantire giustizia ed ordine. Di grande interesse anche quanto usato nelle prigioni come ceppi, manette e catene in dotazione ai bagni penali e i vari mezzi di contenzione dei manicomi criminali. Macabra la scenografia delle esecuzioni, quasi sempre pubbliche nella convinzione che fossero un freno alla delinquenza, con esposizione di ghigliottine e di crocefissi usati dai confortatori delle Confraternite fondate per questo scopo. Raccapriccianti due reperti particolari; uno scheletro racchiuso in una gabbia di ferro trovato a Milazzo e che pare appartenga ad un disertore inglese dei primi dell’800 ed un altro rinvenuto nel castello di Poggio Catino e che sembra essere di una donna murata viva nel ‘400. Al primo e secondo piano settori relativi al contrabbando, alle indagini di polizia e al sistema carcerario dell’800 e del primo ‘900. Purtroppo come in tanti altri casi la serie dei reperti è cospicua fino alla metà del secolo scorso poi si rarefà e scompare ignorando gli ultimi cinquanta anni pur così ricchi di storia criminale e carceraria. In sintesi un Museo che affascina e che contemporaneamente crea un senso di angoscia e di repulsione di fronte a tanta esposizione di violenza e di perfidia umana.

Roberto Filippi