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IL TIFO NON HA EPOCA "Ave Caesar, morituri te salutant " Sono ormai mille e cinquecento anni che il lugubre grido non risuona nelle arene degli anfiteatri romani ma a chi visiterà la mostra che si tiene negli ambulacri del Colosseo sembrerà di sentirne un'eco lontana. Il titolo è "Sangue e Arena" come il vecchio film dei tardi anni '40 che parlava di tori e toreri, e per oggetto ha i grandi giochi sanguinari dei romani nelle loro varie accezioni: "munera gladiatoria, venationes, damnatio ad bestias". Non è facile per la nostra mentalità capire il grande piacere che provavano i popoli dell'antichità ad assistere a spettacoli così violenti ma anche nella nostra epoca tanto "buonista" la violenza, negli spettacoli, è una componente di grande rilievo. Per i romani la morte di uomini di categoria sociale inferiore: prigionieri di guerra, schiavi, stranieri, condannati per delitti comuni o politici, non offendeva la sensibilità né muoveva alla compassione. C'erano persone che non apprezzavano i giochi ma più per il disprezzo della loro componente popolaresca che per rispetto della vita umana. In origine i giochi non erano qualcosa di ludico ma avevano un forte significato religioso come ci dice Tertulliano, scrittore cristiano del III secolo d.C.; la parola "munus" indica un omaggio nei confronti dei defunti e i combattimenti tra gladiatori erano una sostituzione dei sacrifici umani fatti sulle tombe dei defunti, ad esempio, nell'Iliade Achille uccide prigionieri troiani sulla pira di Patroclo. Forse la tradizione nacque in Etruria o nelle zone etruschizzate della Campania e Tito Livio ci attesta che nel 264 a.C. "Decimo Giunio Bruto per primo offrì un combattimento gladiatorio in onore del padre defunto"; si batterono tre coppie di gladiatori. L'usanza prese piede e tutti i funerali di uomini illustri furono contrassegnati da duelli all'ultimo sangue anche se ancora non in luoghi appositamente attrezzati. Il costume divenne così generalizzato da richiedere una legge regolatrice, la "lex pugnandi", la costruzione di appositi anfiteatri ed il sorgere di una specializzazione operativa perdendo man mano il suo significato religioso e trasformandosi in un tipo di spettacolo massimamente apprezzato dalle plebi cittadine. Già nel I secolo a.C; i giochi avevano assunto la fisionomia che mantennero per secoli; c'era il "lanista" che gestiva la scuola di addestramento, c'era l'"editor" che organizzava lo spettacolo, c'erano uomini pubblici che finanziavano i giochi per propaganda politica ed infine c'erano i gladiatori, prigionieri di guerra, comuni, politici, ed anche liberi volontari, rigidamente divisi in varie categorie a seconda dell'addestramento e del tipo di armamento: retiarius, murmillo, secutor, trax, oplomachus; erano famosissimi ed adorati dalle folle, concupiti dalle matrone, ben nutriti e coccolati. Si battevano all'ultimo sangue e soltanto il grido di approvazione della folla ed il pollice levato salvavano il ferito valoroso dalla morte. Durante l'Impero gli imperatori organizzarono giochi grandiosi che impiegarono migliaia di gladiatori come nel caso dell'inaugurazione del Colosseo nel 79 d.C.. Il Cristianesimo tentò di opporsi ma, anche dopo Costantino, i giochi continuarono, anche se in maniera sempre più ridotta, finché, secondo la tradizione, un monaco all'inizio del V secolo si interpose fra i duellanti e fu lapidato dalla folla ; l'imperatore da allora vietò i "munera". Ma rimasero gli altri spettacoli: le cacce e le esecuzioni. Le prime aprivano la giornata dell'anfiteatro ed erano lotte tra cacciatori e belve sia indigene, tori, orsi, lupi, che esotiche, tigri, leoni, elefanti, struzzi, coccodrilli. Erano eventi spettacolari e molto costosi, per l'approvvigionamento degli animali esotici esisteva una complessa organizzazione che in Africa catturava le belve e ne curava il trasporto nei vari anfiteatri sparsi per l'impero; i mosaici della villa di Piazza Armerina ci illustrano con dovizia di particolari l'intero complesso iter. Oltre alle cacce c'era anche giochi con animali ammaestrati come nei nostri circhi. Nell'intervallo tra le venationes mattutine e i munera pomeridiani si svolgevano le esecuzioni. Condannati per delitti comuni e politici, e tra loro molti Cristiani, erano esposti alle belve affamate che li uccidevano davanti a folle urlanti. In molti casi si era più raffinati; il supplizio era inserito in una rappresentazione scenografica di un mito o di un evento storico. Esempi di questi quadri viventi potevano essere Orfeo che tenta con la cetra di ammaliare le belve e finisce sbranato, una Pasifae chiusa in una vacca di legno e fatta congiungere con un toro, un Muzio Scevola legato ad un braciere, un Prometeo sbranato da un orso, un Dedalo fatto precipitare dall'alto. Secondo Tacito molti Cristiani, accusati dell'incendio di Roma, furono fatti bruciare vivi da Nerone, nei suoi giardini, legati a pali e coperti di cera come grandi e lugubri torce. Un mondo ed una atmosfera che ci paiono incredibili ma che la mostra ricostruisce con puntigliosa accuratezza. Si inizia con la descrizione dei luoghi dove poi sorse il Colosseo, la trasformazione in Domus Aurea neroniana, la costruzione dell'Anfiteatro Flavio le sue varie vicende. Sono poi esaminati i grandi anfiteatri di Capua e Pompei ed infine sono esposti numerosi reperti quali statue e bassorilievi di argomento gladiatorio e molte armi e strumenti ritrovati. nella palestra di Pompei. Il luogo, le vicende, l'atmosfera danno alla mostra un carattere unico nel suo genere. Roberto Filippi |