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Migrating Objects
Arte dall’Africa, dall'Oceania e dalle Americhe
Dal 6 ottobre 2021 al 10 gennaio 2022
Peggy Guggenheim
Venezia
Curatori:
Christa Clarke, R. Tripp Evans, Ellen McBreen, Fanny Wonu Veys,
con Vivien Greene
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I fantastici
artefatti della Guggenheim
L’esposizione nasce dall’idea di
Karole P. B. Vail e dal Comitato scientifico del progetto: Christa
Clarke, R. Tripp Evans, Ellen McBreen, Fanny Wonu Veys, dopo aver
riesaminato la collezione, che Peggy Guggenheim costituì fin dal
rapporto con Max Ernst e in maniera continua a partire dal 1959.
È da questo periodo che cresce l’attenzione di Peggy verso l’arte
proveniente dall’Africa, dall’Oceania e dalle culture indigene delle
Americhe. Nell’acqusire oggetti, creati da artisti appartenenti a
culture di tutto il mondo, li farà dialogare con la collezione di
dipinti e sculture, oggetti in vetro, mobili antichi e moderni esposti a
Palazzo Venier dei Leoni, la sua casa-museo veneziana sul Canal Grande.
In questa mostra, vengono ora presentati, per la prima volta insieme
alle opere della sua collezione: Ernst, Alberto Giacometti, Tancredi
Parmeggiani e Pablo Picasso.
Oggetti che migrano, come la migrazione personale della Guggenheim tra
New York, Parigi e Londra. Alienati dal loro usuale ambiente, dalla loro
terra d’origine, questi oggetti denominati ‘non occidentali’, arrivano
in Europa e negli Stati Uniti, dimenticandone le origini e lo scopo per
cui sono stati creati.
Dopo l’acquisto da parte della Guggenheim, sono rimaste a lungo
nell’oblio, nonostante le avesse esposte tra le icone moderniste. La
vicinanza fisica, con le opere della sua collezione, rende più evidente
tutta la problematica sulle narrazioni errate, che la cultura
occidentale ha storicamente imposto su oggetti di questo tipo, come
afferma Vivien Greene.
Una maschera Baga D’mba della Guinea, una scultura funebre malangan
maramarua della Nuova Irlanda, Papua Nuova Guinea, inizia così la
collezione di opere dall’Africa, dall’Oceania e dalle Americhe. Una
collezione che certo non nasce attraverso vicende sentimentali, ma da
una rete di forze politico-economiche, come ci tiene a dire Ellen
McBreen. Gli artisti occidentali si appropriano delle specifiche culture
per creare le proprie opere. Da Derain a De Vlaminck, da Kirchner a
Matisse e a Picasso, iniziano a collezionare, studiare, facendo propri
alcuni concetti della scultura africana e oceanica.
Da qui il dibattito, ancora in corso, sul perché chiamarle ‘opere non
occidentali’, oltre al motivo per il quale gli artisti europei e
statunitensi, si rivolgessero a queste sculture, solo per una funzione
meramente estetica senza preoccuparsi dell’origine delle stesse, venendo
a definire questo fenomeno ‘primitivismo modernista’.
Peggy Guggenheim inizia a comprare e quindi a collezionare arte
precolombiana e primitiva, ritrovandosi dopo, come ebbe a dire: ‘dodici
fantastici artefatti’. La collezione verrà arricchita negli anni
sessanta.
Fin dagli anni Cinquanta, l’arte africana rientra nel gusto dominante.
L’epicentro del mercato è New York e negli anni a seguire, si
alterneranno mercanti e artisti ad acquistare le opere dell’arte
africana.
Seguendo il percorso della mostra, si evince chiaramente la volontà di
Peggy, della diversificazione, alternando le opere acquisite con quelle
della sua collezione permanente. Una forma questa, che pur evitando
accostamenti ai ready made di Duchampiana memoria, a mio parere li
ricorda comunque.
L’importanza della mostra è scoprire o ri-scoprire come l’accostamento
di arte altra possa valorizzare, in maniera univoca, i due modi
espressivi. Passeggiando tra le opere e leggendo le didascalie, si viene
a conoscenza di una terminologia non usuale, generando nel pubblico
nuovi significati come ogni passaggio della migrazione.
Attenta visione per tutti voi.
Paolo Cazzella
o della Joie de Vivre
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