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Boldini. Il Piacere Un piacere, evocato dal titolo della mostra, come scrive Beatrice Avanzi, curatrice insieme a Tiziano Panconi, non solo condiviso tra la pittura di Giovanni Boldini e l’opera letteraria di Gabriele d’Annunzio, ma a molto altro. E questo ‘molto altro’, lo si trova in quel mondo di eleganza, voluttà, seduzione che i dipinti di Boldini sono inequivocabilmente associati a donne di estrema bellezza, divine mondane. Sono centosettanta le opere provenienti da collezioni pubbliche e private, molte delle quali appartenenti al patrimonio del Museo Boldini di Ferrara, esposte al museo di Rovereto. Una pittura costruita da veloci pennellate di colore, vibranti, oserei dire musicali. Una velocità, la sua, da portarlo a produrre in maniera intensa, quasi fosse un gioco di prestigio. Giovanni Boldini (1842 – 1931) nasce a Ferrara. Pittore precocissimo, attivo fin dall’età dei suoi quattordici anni, ricevette le prime lezioni dal padre Antonio, pittore anche lui, oltre ad essere restauratore, illustratore e copista. Nel 1871 Boldini si trasferisce a Parigi, provenendo da Firenze dove aveva fatto parte del gruppo dei Macchiaioli. Lo accolse una Parigi dall’umanità eterogenea, per i luoghi, gli ambienti, le attitudini. Nel primo periodo appaiono riferimenti alle arti decorative, nonostante un suo poco interesse a questa disciplina. Tappezzerie, tessuti, arredi che inducono a pensare a un ambiente decadente della fine del secolo, un’influenza agli ambiti preraffaelliti. Il ‘parisien d’Italie’, come afferma Marina Mattei (Responsabile del Museo Barracco, Roma) è uno sperimentatore. Carlo Ludovico Ragghianti scrive del parisianisme come di una tradizione antica, che sfocia nel costume libero, il godimento, l’avventura, la galanteria. Parigi è l’oggetto di consumo e in questa Parigi, Boldini vive, come consentaneo e con intensissima coincidenza, questo ambiente. La Mattei definisce il pittore ferrarese, alieno da regole compositive, non viene mai definito un ritrattista. Le sue figure appaiono come se fossero attori nel palcoscenico. Il suo ‘credo’ è quello di abbozzare la vita, così come è stata vissuta, attraverso il disegno nello spazio e nel tempo. Metterà in pratica, tutto questo, con pennellate veloci, mantenendo sempre il gusto del bello e la leggerezza del vivere. La caratteristica di Boldini è quella di catturare un personaggio nel movimento e imprigionare il tempo nel momento di colui che è ritratto. Tiene molto a rappresentare lo status della Persona da ritrarre, attraverso i vestiti, i cappelli, la stanza o il suo studio d’artista, pur non essendo, per dirla sempre alla Ragghianti, un pittore di moda ma inventore di una moda sua. Questa del Mart è una esposizione dal continuo riferimento e rapporto Boldini – d’Annunzio. Sono le atmosfere, gli ambienti, i ritratti che avvicinano il pittore al Vate. Ma non solo questo, entrambi condivisero gli aspetti lirici della loro cultura, come le rose che l’artista amava ritrarre sui vestiti delle belle signore. Quelle stesse rose che d’Annunzio riporterà nel secondo libro de ‘Il Piacere’, prese in prestito dal Petrarca. Giordano Bruno Guerri (storico, saggista e Presidente della Fondazione Vittoriale degli Italiani), riporta, in catalogo, un bellissimo periodo dalle ‘Faville del maglio’, dove d’Annunzio descrive i sentimenti che si scatenano nel momento della composizione. Mi ritrovo nelle note riportate: ‘Qui d’Annunzio ha creato intorno a un fascio di rose un rutilare di colori che potrebbero assomigliare a un particolare di un dipinto, magari di Boldini’. Una rappresentazione dei corpi muliebri lontana dall’indagine psicologica, più aderente alla descrizione degli abiti e degli oggetti. Elena Di Raddo (critica e storica dell’arte) afferma che appare un tutt’uno, nel pittore di Ferrara, la bellezza, la raffinata nobiltà del gesto, un ventaglio, il riflesso di un diamante. Nel ritratto della ‘Marchesa Casati con piume di pavone’, veloci e sottili pennellate di colore, i tagli di luce bianchi inferti con vigore, creano quel movimento, quel vortice, la velocità, il ritmo in un duello con la sfida della modernità indicata nel Manifesto futurista del 1910. La Marchesa Casati aveva chiesto al pittore di essere ritratta con uno dei suoi levrieri., ma di comune accordo si decise di occupare lo spazio con i lunghi steli dell’accon-ciatura di penne di pavone. Le pose comunque non ebbero uno svolgimento tranquillo, per via di liti, ripicche, critiche, l’opera rimase nell’atelier incompiuta per essere poi ripresa più volte. Ma non è virtuosismo pittorico questo, come ancora afferma Ragghianti, è l’immediatezza che impone di essere folgorante. È il guardare mobile, avvolgente, trascinante del suo pennello. Una pennellata che appare essere l’indice di un’eleganza, fluidamente leggera e danzante. La pittura di Boldini svela l’anima dell’amante di d’Annunzio, si adegua al carattere della modella inquieta e inquietante. Gioia Mori (storica dell’arte) riporta molto bene, anche quel rapporto tra la Divina Marchesa e il pittore di Ferrara, il quale, per aver evocato la furia degli elementi, che invade la modella, gli viene riconosciuta una ‘abilità diabolica’. A completare l’esposizione, creando un’atmosfera tipica, è la musica, accompagnando il percorso di visita da una sonorizzazione appositamente realizzata per il Mart dal pianista e compositore Cesare Picco e dal violinista Luca Giardini. Strutture musicali del passato che assegnano ad ogni stanza una diversa tonalità di impianto. Musica prodotta dal pianoforte storico e da tastiere recenti oltre al violino e alla viola. Oltre la musica, molti rumori onomatopeici, come fuochi d’artificio, cavalli in movimento, suoni registrati in Val d’Orcia: cinguettio degli uccelli, frusciare delle foglie. Una esposizione tutta da gustare attraverso il piacere degli occhi e delle orecchie. Buona visione e ascolto per tutti voi.
Paolo Cazzella |
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