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Margherita Sarfatti e l’arte in Italia tra le due
guerre
Dal 10 al 31 ottobre 2020
Galleria d’Arte Russo
via Alibert, 20
Roma
A cura di Fabio Benzi
Orario:
lunedì dalle 16.30 alle 19.30
dal martedì al sabato dalle 10.00 alle 19.30
Informazioni:
tel. 06/6789949
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Margherita
Sarfatti
Nasce a Venezia in un ambiente
borghese, colto, agiato. Parlava correttamente il francese, l’inglese e
il tedesco. Tra i suoi maestri di studio risulta esserci quell’Antonio
Fradeletto, critico e fondatore della Biennale Internazionale d’Arte.
Questa donna dagli svariati interessi era Margherita Grassini Sarfatti
(1880 – 1961), conosciuta anche per aver avuto una relazione con Benito
Mussolini e aver sposato in parte l’ideologia fascista. Tra gli
interessi culturali della Sarfatti appaiono Schopenhauer, Nietzsche,
Ruskin, Carducci, Pascoli, Byron, Shelley. Scrive sui giornali
socialisti, essendo lei socialista, come ‘L’Unione femminile’, ‘La
Tribuna libera della Donna’, ‘L’Avanti della Domenica’ ed altre testate.
Interessata all’Arte, frequentando diverse Biennali (1901, 1903, 1905)
vedrà affinarsi il suo gusto artistico e scriverà d’arte. Preferisce
sempre di più artisti come Alberto Martini, August Rodin, Medardo Rosso,
Umberto Boccioni, solo per citarne alcuni. Donna dagli ideali politici
di sinistra, amica anche di Filippo Turati, collezionista starordinaria,
viene ricordata particolarmente per la relazione, iniziata nel 1912 con
Benito Mussolini e durata circa vent’anni. Un rapporto di alti e bassi,
di una donna molto libera per quanto riguarda le relazioni sentimentali,
considerando i tempi storici e la sua condizione sociale.
Nella lunga e sottile analisi di Fabio Benzi in catalogo, viene
sottolineato l’elemento primigenio della mostra, ora alla Galleria
Russo, esce fuori l’immagine di una donna di cultura vivace, tutta
dedita alle passioni umane e artistiche allo stesso momento,
praticamente una delle maggiori interpreti della sua epoca.
Sono d’accordo con il Benzi, di definire la Sarfatti come la Guggenheim
italiana. In comune, infatti, aveva con la famosa collezionista
americana, la stessa propensione di innamorarsi degli artisti che
collezionava. La collezione di migliaia di opere venne smenbrata, per
vivere in esilio, dopo le leggi razziali del 1938, in quanto ebrea.
Tre sono particolarmente gli artisti che prediligeva: Mario Sironi,
Arturo Tosi, Adolfo Wildt. Ma negli anni la sua raccolta si arricchì
attraverso le opere di artisti non solo italiani ma anche
internazionali.
Grande organizzatrice di mostre nell’ambito del primo Novecento come a
Parigi, nel nord Europa e nel sud America. Dal 1928 acquisterà le opere
di Mario Mafai, Corrado Cagli, Fausto Pirandello, ovverosia i
protagonisti della ‘Scuola di via Cavour’ e della ‘Scuola Romana’, fino
ad arrivare a Lorenzo Viani. Agli inizi degli anni trenta entrerà nella
sua collezione Giorgio De Chirico.
Il Fascismo e lo stesso Benito Mussolini, a poco a poco, prenderanno le
distanze da Margherita Sarfatti che iniziò a viaggiare molto. Collabora
a giornali stranieri e dopo il 1938, con le leggi razziali, lascerà
definitivamente l’Italia per ripiegare in Uruguay. Tornerà a Roma solo
nel 1947 andando ad abitare all’Hotel Ambasciatori, dove venne ritratta
negli affreschi del salone, da Guido Cadorin.
Su Cadorin rimando chi mi legge all’articolo che scrissi nel 2017: ‘La
bottega Cadorin, una dinastia di artisti veneziani’.
http://www.ex-art.it/magazine/mostre2017/2017_01_cadorin.htm
Le due anime della Sarfatti convivono perfettamente insieme: scrittrice
e collezionista. Una sensibilità che la porterà sempre di più ad
affinare il suo gusto estetico anche e soprattutto attraverso la
relazione che ebbe con Mario Sironi. Una perfetta intesa anche per gli
interessi politici rivolti verso l’ideologia fascista.
Un’ideale estetico, come sottolinea Rachele Ferrario in catalogo, dove
l’idea di nazione convive con la fede socialista nell’ambito di una
restaurazione spirituale volta poi al fascismo. Nonostante questo negli
anni sia Sironi che la Sarfatti, verranno allontanati dal fascismo, non
tenendo in conto né l’etica, né lo spirito.
Sironi artista futurista, incline all’umor nero, alla malinconia di
Saturno, interventista, metafisico, produrrà opere dove trasformerà la
periferia in un luogo triste, desolante, colma di solitudne. Una visione
questa che avverte il dramma esistenziale dell’uomo moderno che in
seguito verrà definito ‘il male di vivere’.
Margherita Sarfatti scriverà di Mario Sironi come colui che: ‘ha appreso
dagli antichi la lezione della misura, della compostezza (…) ma questa
misura aurea della classicità la desume dai vecchi maestri senza
imitarli’.
Sironi come artista e Sarfatti come scrittrice, vengono ad essere
complici della condivisione di un sentimento, nell’epoca in cui vivono
tra futurismo, metafisica e Novecento. Il loro sodalizio durerà per
dodici anni tra il 1909 e il 1922. La Sarfatti, a differenza di altri
recensori, che coglieranno in Sironi piuttosto il caricaturista e
l’ironia dei suoi lavori, coglie il valore pittorico dei disegni.
Interessante è, a mio avviso, il parallelismo concettuale che Rachele
Ferrario coglie, tra l’essenzialità delle forme di Sironi e l’incisività
delle parole della sintassi ritmata e sintetica, che la Sarfatti usa nel
1925 per descrivere la scrittura di Mussolini.
Tra i tanti artisti esposti in questa mostra figurano Gaetano Previati,
Medardo Rosso, Gino Severini, Mario Sironi, Umberto Boccioni, Enrico
Prampolini, Giacomo Balla, Gino Rossi, Achille Funi, Carlo Erba, Lorenzo
Viani, Andrè Derain, Aristide Maillol, Adolfo Wildt, Gianfilippo
Usellini, Anselmo Bucci, Alberto Salietti, Filippo De Pisis, Ardengo
Soffici, Gisberto Ceracchini, Virgilio Guidi, Ferruccio Ferrazzi,
Pasquarosa (Bertoletti Marcelli), Francesco Trombadori, Fausto
Pirandello, Corrado Cagli, Giorgio De Chirico.
Degni di nota sono, a mio avviso, il dipinto su tela di Gaetano Previati
‘Fanciulli con cesti di frutta’ del 1916, la cera di Medardo Rosso ‘Ecce
Puer’ del 1906 circa, la tecnica mista su cartoncino raffigurante
l’autoritratto di Mario Sironi del 1905 – 1906, stessa tecnica stesso
autore ‘Paesaggio’ del 1905 oltre al pastello e tempera su carta del
1916 – 1917, ritratto di Margherita Sarfatti, il carboncino su carta
‘Maternità’ di Gino Severini del 1916, il vivace carboncino su carta ‘La
guardia’ di Mario Sironi del 1934, un dipinto del 1930 di Achille Funi
‘Margherita Sarfatti e sua figlia Fiammetta’ dal tonalismo
dell’imminente Scuola Romana.
Un insieme di opere che meglio fanno comprendere la vitalità di una
donna che si impose nel novero della cultura del Novecento italiano.
Ricca visione per ognuno di voi.
Paolo Cazzella
o della Joie de Vivre
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