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I FORTUNY
Una storia di famiglia
Dall’11 maggio al 24 novembre 2019
Palazzo Fortuny
Venezia
A cura di Daniela Ferretti con Cristina Da Roit
Catalogo:
I Fortuny. Una storia di famiglia
Venezia, Fondazione Musei Civici di Venezia, 2019
557 p. : ill. ; 29 cm
Prezzo: €65
Informazioni: tel. 041/5200995
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I Fortuny - una
storia di famiglia
È sempre tempo di ricorrenze, di
anniversari. A Venezia, ricca di rivelazioni culturali, avviene spesso
che l’evento sia motivo di una ricorrenza.
È il caso del settantesimo anniversario della morte di Mariano Fortuny y
Madrazo dove la sua casa/studio d’arte è divenuta un famosissimo museo
della città lagunare.
La ricorrenza ha dato la stura per produrre una esposizione a tutto
tondo e che rende omaggio, per la prima volta, sia al padre che al
figlio: Mariano Fortuny y Marsal (1838 – 1874) e Mariano Fortuny y
Madrazo (1871 – 1949).
Il padre e il figlio sono stati legati da due interessi in comune: la
pittura e la passione collezionistica intesa come occasione di studio e
la successiva rielaborazione artistica.
È così che Mariano Fortuny padre, per la passione dell’antiquariato, si
circonderà di tessuti antichi, vetri, vasellame, statue, mobili,
tappeti, utili anche per prendere spunto e riportarli nei suoi dipinti.
Ad eccezione della vendita effettuata dopo la sua morte di una serie di
oggetti e di quadri, il resto è stato conservato dalla moglie e poi dal
figlio, documentando anche con foto il patrimonio venduto.
Tutto questo interessantissimo universo, è esposto ora nel Palazzo
Pesaro Orfei attuale sede del Museo Fortuny. A differenza del padre, la
collezione del figlio ebbe diverso destino.
Infatti, per volere dello stesso Mariano e di sua moglie Henriette, una
parte della collezione è ora presente in alcuni musei europei:
Barcellona, Castres, Londra, Madrid e Parigi.
L’intelligente volontà dei curatori ha prodotto questa esposizione dando
la possibilità a tutti noi di vedere ricomposta, in parte, la collezione
attraverso oggetti e opere della raccolta.
Sono visibili, quindi, vasi di maiolica ispano-moresca, dipinti, abiti,
mantelli e cappe, scialli, tessuti antichi, armature, incisioni,
acquarelli, disegni, modelli per scenografie, fotografie e strumenti da
lavoro.
La continuità tra padre e figlio la si nota per l’attenzione della luce,
per lo studio del passato, per l’orientalismo, per i viaggi.
L’acutezza del figlio Fortuny Madrazo è stata quella di unire arte e
scienza, arte e tecnologia. Un intero mondo che va dalla pittura alla
scultura, dalla fotografia alla grafica, dalla decorazione di interni,
all’abbigliamento, alla scenografia e all’illuminotecnica, producendo
tessuti, abiti, colori a tempera in una attività imprenditoriale che
dette vita al marchio ‘Mariano Fortuny Venise’.
Interessante esposizione, anche perché il percorso della mostra è stato
illuminato dalle famose ‘luci di scena’ delle lampade Fortuny, dando la
possibilità alle persone di entrare in quell’atmosfera particolarmente
cara ai Fortuny. È un riandare indietro nei tempi vissuti dalla famosa
famiglia spagnola.
Da sottolineare come l’ideale wagneriano di opera d’arte totale, che
affascinò tanto Fortuny figlio, sia qui splendidamente rappresentato in
questo spazio estetico e aggiungo io estatico nella sua totalità.
Nel corposo e raffinato catalogo, dalla veste grafica elegante, in linea
con l’aura della Casa dei Fortuny, viene approfondita la ricerca del
padre nel contesto della pittura europea.
L’erudito capitolo: ‘Mariano Fortuny. I mille volti di un dilettante
genio’, di Giandomenico Romanelli, aiuta tutti noi a comprendere come
effettivamente Palazzo Pesaro degli Orfei sia divenuto ben presto,
mantenendo il nome originario, Palazzo Fortuny. Viene così descritta
l’Anima di Mariano Fortuny, una sensibilità tutta rivolta al futuro, per
nulla nostalgico, senza rimpianti e smanioso nel suo progetto di
artista. Altro capitolo interessante è quello scritto da Daniela
Ferretti, dove viene ampiamente studiata la figura della musa e sposa di
Mariano: Henriette Fortuny.
Paolo Bolpagni introduce il lettore testimoniando la figura di Mariano
Fortuny y Madrazo come artista wagneriano. Infatti il Fortuny, spagnolo
di nascita ma di formazione francese, stabilitosi in Italia nel 1889,
ammirò Wagner (1813 – 1883) nella sua opera d’arte totale, (Gesamtkunstwerk)
termine utilizzato dapprima dal filosofo tedesco K.F.E. Trahndorff (1782
– 1863) e successivamente dal compositore nel suo saggio ‘Arte e
rivoluzione’. Praticamente Wagner indica un ideale di teatro dove
convergono musica, drammaturgia, poesia, arti figurative in una perfetta
sintesi delle diverse arti. Lo troverà come il primo dei referenti
dell’immaginario, dell’estetica e della concezione creativa. Creatività
che vivrà di volta in volta come pittore, scultore, incisore, fotografo,
ideatore di abiti, costumi, scenografie e sistemi illuminotecnici per il
teatro.
L’artista Rogelio de Egusquiza (1845 – 1915), che conobbe di persona il
compositore ritraendolo più volte, farà conoscere a Mariano la sua
musica.
Così, abbandonando l’accademismo, il Fortuny si indirizzerà piuttosto
verso il Simbolismo. Ispiratori di tale scelta furono i personaggi che
frequentavano i cenacoli veneziani, attraverso i quali venne in contatto
anche con Angelo Conti (1860 – 1930) e Gabriele d’Annunzio (1863 –
1938). Fu proprio quest’ultimo che si trovò d’accordo, con Mariano
Fortuny, nel pensare che fosse giunto il momento per rinsaldare il
legame tra la luce e le tenebre, al fine di potersi sganciare ‘dalle
angustie naturalistiche’. Come afferma il Romanelli, è attraverso una
interpretazione corposamente sensuale dell’universo wagneriano, la
rilettura e la correzione da parte del Fortuny. In assonanza anche con
figure come Böcklin (1827 – 1901) e Franz von Stuck (1863 – 1928),
Laurenti (1854 – 1936), Sartorio (1860 – 1932) e tanti altri, anche se
di riferimenti se ne possono fare tanti, ma mai esaustivi per
comprendere il senso autentico dell’artista che a cavallo tra i due
secoli seppe esprimersi tra il vecchio e il nuovo, fra tanto
naturalismo, Simbolismo e liberty.
Nel testo sull’arte del tessuto stampato, così finemente descritto da
Cristina Da Roit, le creazioni tessili di Fortuny si sposano bene con
l’arte pittorica, il collezionismo e le arti applicate. È così che i
dipinti dei grandi del passato vengono ricordati attraverso l’uso del
colore, dall’oro all’argento, suggerendo l’illusionismo cromatico
tradotto in delicati accordi di toni e forme. L’eco orientalista e i
costumi marocchini sono riportati nelle Cappe, le Tuniche, i Kaftani,
gli Abayas, i Djibbah, i Burnous.
La Da Roit fornisce, a chi la legge, gli strumenti culturali per
conoscere come sia iniziata questa attività nel micro cosmo di Fortuny e
della sua compagna Henriette, dal sottotetto di Palazzo Pesaro degli
Orfei dove prese forma quel laboratorio dedito alla sperimentazione di
colori e di vari procedimenti di ‘impressione’, in un primo momento
attraverso l’uso di matrici in legno.
Laboratorio che divenne ben presto una vera e propria fabbrica, con un
centinaio di lavoranti quasi tutte donne. Le stoffe esposte in un grande
palazzo all’isola della Giudecca venivano poi vendute agli stranieri.
Il volume è arricchito dai capitoli, sulla poetica teatrale di Marzia
Maino, sulla storia degli abiti creati, degli scialli Knossos
d’ispirazione minoica di Sophie Grossiord e Ilaria Caloi.
Funge da grande autoritratto del Fortuny l’interno del Palazzo. Dal
sottotetto alle sale, alle terrazze, scale e corridoi, smontaggio e
rimontaggio come lo stesso Romanelli afferma nel suo capitolo.
L’atmosfera, dal chiaro significato wagneriano e dannunziano, mette in
risalto i ricordi appesi ai muri, attraverso un percorso con riferimenti
dall’Islam a Carpaccio, dalla marchesa Casati a Proust.
Una grande e bella visione, un laboratorio di tecniche e di linguaggi.
Mi soffermo a pensare che già solo l’importanza di questa esposizione e
la visita all’intero Museo Fortuny, possano giustificare, qualora ce ne
fosse ancora bisogno, una visita a Venezia.
Felice visione per tutti voi.
Paolo Cazzella
o della Joie de Vivre
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