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Claudia Bellocchi e la Resistencia nel
Museo Cittadino di Casa Haas di
Mazatlàn (Messico) |
Claudia Bellocchi: l’arte per una società migliore Claudia Bellocchi è un’artista per la quale il mezzo espressivo è elemento inscindibile dall’opera finita. Riflessione questa al limite della banalità, che si riallaccia alla identità forma contenuto, idea guida della estetica di Benedetto Croce, se non fosse che per lei il mezzo espressivo non è uno ma molti. Pertanto la “sua” opera compiuta è il risultato della commistione ed interazione di più linguaggi. Riflettendo su cosa abbia potuto spingere l’artista ad essere, contestualmente, disegnatrice, pittrice, scrittrice e regista, una riposta si può trovare nella volontà di superamento dei limiti propri delle arti del tempo e dello spazio. Se le performing arts “vivono” nello spazio dell’azione, quindi in un tempo limitato, le immagini vivono nello spazio per la durata che il fruitore consente loro, e che può essere interrotta o ripresa in qualsiasi momento. Ma l’esigenza di riunire le forme espressive può essere dettata anche da una necessità intrinseca totalizzante, che vuole catturare a ogni costo e con ogni mezzo il fruitore per indurlo all’empatia ed alla condivisione. E forse è questa seconda interpretazione quella che si addice di più alla nostra artista, se non altro in considerazione dei contenuti da essa affrontati e del suo concepire l’opera non come frutto di un momento creativo ma come processo costruttivo di un messaggio da comunicare. Per meglio chiarire le peculiarità dell’operato della Bellocchi, l’analisi della genesi del suo ultimo lavoro, “De Noche - desde la fragmentación hasta la unidad -”, è chiarificatrice. L’opera parte da lontano, dal 2013, quando l’artista decise di affrontare un tema all’epoca, ed oggi ancor più, di scottante attualità: la violenza verso i bambini. Le cronache odierne sembrano per altro convalidare che l’urgenza di stigmatizzare questo comportamento deviato è sempre più urgente. Così era nato “Tanaliberatutti”, che nel catalogo edito grazie alla Chiesa Cristiana Avventista del 7° Giorno, è definito un “unicum artistico” nel quale sono convogliate le opere pittoriche, una videoinstallazione ed una performance. Quest’ultima era costituita da un monologo, “Notte Nera”, scritto dalla stessa Bellocchi ed interpretato dall’attrice Luisa Stagni. La “Notte Nera” è quella che affronta reiteratamente una donna che in gioventù ha subìto abusi dai maschi della famiglia e che, ormai adulta, rivive ad ogni luna l’angoscia del trauma antico. “Tanaliberatutti” era espressione quanto mai appropriata per indicare un percorso di recupero e di liberazione dal trauma, grazie ad un cammino nel profondo atto a circoscriverlo e finalmente a liberarsene scinderlo dal proprio sé, proprio come avviene con “tana libera tutti”, quando uno dei compagni di gioco libera tutti gli altri che sono già stati fatti “prigionieri”. Scriveva in catalogo Gianleonardo Latini, ben individuando il fine ultimo di quest’opera complessa: «…l’opera della Bellocchi permette di riflettere sulla prepotenza, ponendo anche la questione di un insegnamento cosciente, senza imporre la propria “onniscienza” agli altri, senza essere saccenti: la conoscenza può essere una occasione per migliorare l’umanità ed evitare un’altra forma di abuso». “Tanaliberatutti” dopo essere stato presentato a Roma e a Firenze è approdato in Messico dove è stato indispensabile tradurre il testo del monologo in spagnolo, corredando il video della performance, già girato in Italia, con i sottotitoli. Ma la traduzione, “De Noche”, per quanto puntuale, ha finito con il modificare in parte la portata del messaggio, infatti, il linguaggio originariamente aulico, ha assunto un vocabolario più popolare ed immediato che ha dato forza al dramma quotidiano affrontato dalla protagonista adulta. Ed è così che l’approfondimento è andato avanti, estendendosi dall’infanzia alla maturità e orientandosi su quella violenza che d’ultimo si è così diffusa da indurre a coniare neologismi quali “femminicidio” ed a far aggiungere nuove norme al codice penale. E il testo tradotto è diventato nuovo punto di partenza per questa seconda opera totalizzante che proprio da esso prende il nome, “De Noche”, con sottotitolo chiarificatore “desde la fragmentación hasta la unidad”. Sono nati nuovi disegni ed una nuova performance/video. I disegni, che sono in realtà appunti, sensazioni e riflessioni, sono stilati, sui fogli quadrettati di un piccolo album di cui conservano talora ancora i dentelli di attacco, con pennarello nero con l’unico tocco di colore offerto da tratti di rossetto di tonalità rosso carminio. È evidente il valore simbolico dei due elementi che creano l’immagine, oggetti d’uso quotidiano e non strumenti aulici della pittura. Torna, in questa cinquantina di disegni, una figura femminile che spesso si presenta col suo doppio. Sono immagini di grande impatto, nonostante le ridotte dimensioni, che, nell’apparente definizione sintetica tipica dell’infanzia, in realtà “trasudano” dolore ricorrendo anche a simboli forti con quello della croce. È un crescendo che alla fine si stempera nel superamento del doppio. Questi disegni costituiscono non solo la scenografia della performance ma anche il suo commento visivo. La performance è una coreografica sequenza di movimenti affidati a tre interpreti di teatro-danza, due donne ed un uomo, che rappresentano l’anima femminile nella sua totalità, inclusiva dell’animus maschile e dell’anima femminile che, nella particolare situazione di disagio, è sdoppiata e scissa in due. Gli interpreti sono Vanya Saavedra, Johanna Herrera e Cristiano Gabrielli. È loro anche la voce che, da fuori campo, in una alternanza di toni e con un lieve accompagnamento sonoro, recita il testo. I tre personaggi interagiscono ampliando la loro gestualità con un lenzuolo bianco - allusivo al talamo - che viene variamente rappreso e manipolato fino alla finale risoluzione di armonica ripiegatura, ad indicare il superamento delle scissioni, sottolineato altresì dall’allineamento finale dei tre personaggi: l’anima ha raggiunto la sua originaria compattezza. È interessante notare che, a sottolineare il raggiungimento dell’unità, l’uomo/animus maschile all’inizio si presenta a torso nudo, ma sul finale della performance indossa anche lui una sottoveste/camicia da notte bianca, uniformando l’abbigliamento a quello delle due donne che già la indossavano. Quale è il messaggio sotteso? La donna deve avere la forza di attraversare l’ombra - l’indifferenza amorfa del tragico quotidiano, altrove definito anche la banalità del male - per accedere al nucleo del dolore. Solo raggiungendo il fondo può riuscire a far riemergere il proprio sé. È la catarsi del dolore che palpita nella propria carne e che si sublima nel gesto creativo. Ancora una volta Claudia Bellocchi ha creato un’opera totalizzante che, attraverso il bello dell’arte, denuncia e stigmatizza il male ma che, proprio perché è gesto estetico, consente una riflessione puntuale ed empatica che invita alla consapevolezza ed alla “con-passione”, indispensabili punti di partenza per qualsiasi azione positiva. Stefania Severi (AICA)
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