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Claudia Bellocchi e la Resistencia nel
Museo Cittadino di Casa Haas di
Mazatlàn (Messico)
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“Ci sono momenti in cui la
porta è ben chiusa, altri in cui è aperta.
Ed anche momenti in cui tutte le porte sono aperte.”
Claudia Bellocchi
Bisogno di ritornare sui temi, necessità di raccontare, di esorcizzare,
capacità di creare quell’onda di flusso, piena e potente che trasforma
il discorso sulle cose in discorso delle cose.
Le situazioni che Claudia Bellocchi presenta, in questa night gallery
dell’essere, ed in questo caso dell’essere violato, parlano, si fanno
leggere, con quella qualità di autenticità e brutalità che solo il
disegno sa dare.
Ma il coro è assolutamente polifonico, non solo nella declinazione dei
media: è un dialogo a più voci.
Nella sua possibilità di aprirsi ad uscire dall’imbalsamatura in canone,
di poter rischiare di essere esattamente come la vita: una corrente che
può decidere dove dirigersi e in che punto concentrare la sua azione,
quali nuovi corpi visitare e contro quali manifestazioni e suoi
parafernali peculiari lottare
Si cerca e si trova una liberazione infantile proprio dove quella
possibilità è stata a suo tempo negata, ritornando sui luoghi di delitti
imperfetti e grossolani.
Rosso e nero su quel bianco che si fa schermo per la memoria, per
sopravvivere e sfuggire all’inganno delle finte risoluzioni e dei
ricordi agghindati e messi in posa o in prosa.
È anche e proprio nell’omologazione ultima della violenza che il
linguaggio dell’espressione trova sempre, come un alleato ed una guida,
l’autenticità, la persona dietro la stilizzazione della personalità
Un gomitolo ed un intreccio accompagnano nel gioco del doppio e svelano
l’altro intreccio che è il labirinto della vita lontano dai canovacci.
Claudia ci suggerisce e ci strattona durante il percorso, agghinda e poi
distrugge le case di bambola e di marzapane grottesche in cui la
dispercezione e compressione propria e soprattutto la mistificazione
altrui possono trasformare il vissuto e la sua rappresentazione.
La trasforma in briciole disseminate sul cammino di un ritorno, sempre
possibile, nella direzione già percorsa, ma che in divenire porta verso
un luogo ed un vissuto necessariamente risolto, necessariamente altro,
diverso nel suo essere per sempre, inevitabilmente accaduto.
De Noche non è un commentario, così come tutte le notti che si
attraversano nel viaggio in sé stessi non sono solo ottime metafore,
scenari evocativi e suggestivi.
Ecco quindi, in momenti differenti: l’atto performativo e la scena che
resta come installazione, il materiale fissato in sequenza di immagini e
suoni in differenti medium, l’assenza di attori, “di agenti in assenza o
in sostituzione di…”, il teatro di oggetti documentali e quello
destrutturato, che invita non tanto a recitare, quanto ad ascoltarsi
come l’eco del racconto ancora risuonante nella mente, a viverlo ancora
sul corpo, nel movimento di chi performa.
Ecco le scorie ed il diamante, il racconto serrato e descrittivo, gli
echi e le pause, dense di ciò che resterà in assenza di altre
descrizioni, senza necessità di altre azioni.
È significato.
Affascina, nella declinazione del lavoro, la capacità di non
rappresentare il numero attraverso un numero, uno stereotipo
moltiplicato o condensato in feticcio, di non consentire né sopportare
una massificazione e compressione in partitura che sarebbe un ulteriore
sordido abuso.
La vittima è unica e sola, proprio perché è esattamente come tutte le
altre.
Incomprensibile e quindi incompresa, ma assolutamente disposta a
comprendersi.
Il dolore famigliare e quello familiare frantumano il flusso del
linguaggio e la falsa unità dell’io e lo rendono allo stesso tempo più
acuminato e più impreciso.
Lo sdoppiamento è l’attesa, continua, di una soluzione che agli altri
che siamo può apparire incongrua o ancora solo temporanea rispetto
all’evoluzione continua.
Si fa densa e puntuale nella decompressione e compressione dell’io
declamante, dell’altro e dei molti altri possibili rappresentati
attraverso il disegno o recitanti, impersonanti o performanti.
Sembra cristallizzarsi nella visione più risolta ed iconica del passato
già rappresentato, presentato ed esposto, in una memoria video personale
ma impersonata, quindi ancora ri-presentata qui ed ora.
La realtà del pensiero e della scoperta, la realtà ripercorsa nel
disegno come nella narrazione riesce a farsi più vera e più cruda, il
percorso rintracciato è già più preciso e quindi ancora diverso, ancora
in mutazione.
Il campionario esplica ed illustra ma non è amplificazione, è suono.
Come nelle tavole di un cantastorie girovago o di un ex voto la vicenda,
il fattaccio è narrato ed esposto a vivo, ma si consegna al pubblico ed
all’irripetibilità, all' enormità dell' atto, proprio mentre lo si
trasforma in evento.
Vita vissuta, in continua formazione.
Questo è il viaggio in sé stessi e la sua peculiarità: il viaggio alla
scoperta di tutte le altre e gli altri che siamo e che possiamo
rappresentare ed allo stesso tempo dell’unicità irripetibile che
possiamo essere.
Per questo si muove in bilico tra il disegno e il teatro, tra la danza e
la semplice presenza dell’essere umano come attrezzo scenico empatico e
senziente.
Tra l’azione e la parola, tra il verbo e il rumore, tra il segno e la
rappresentazione, c’è sempre l’essere umano.
La vita che vuole farsi esperienza nelle manifestazioni dell’arte ha
bisogno quindi di sperimentare per cogliere questa intima
contraddizione.
Così questo trattato su alcune notti dell’anima, che è scritto in cerca
di un’anima propria pacificata, è un movimento in avanti rispetto alla
rappresentazione.
Così si accumulano i fogli, gli appunti, i frames, le maschere in carne,
e le carni violate, gli spiriti evocati e quelli rappresentati, le
Giuliette felliniane sognanti, curiose, bambine ed ironiche, le Fride
dolenti, le Medee urlanti, le tante Claudie, tutte le donne possibili, e
quindi tutto l’umanesimo e l’umanità, tutta la possibilità e necessità
di una espressione femminina piena e risolvente solo se sfaccettata, non
omologata.
Non arte di genere, rappresentativa di una peculiare o ristretta verità.
In questo lavoro di Claudia ci sono tutte e tutti.
Tutte le donne e tutte le notti, per essere sensibilmente tutti gli
altri che si è.
Perché ciascuno ascolti, si ascolti e si racconti, e viva pienamente, e
risolva autogenamente e con unicità, insieme al dolore dell’abuso
subito, l’enigma irripetibile e folle che rappresenta.
Testo di
Cristiano Gabrielli
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