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La ferita della bellezza
Alberto Burri e il Grande Cretto di Gibellina
Dal 23 marzo al 9 giugno 2019
Museo Carlo Bilotti (Aranciera di Villa Borghese)
Roma
Informazioni:
tel. 060608
Ingresso libero
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Alberto Burri: una ferita generata dal fuoco
Nell’antica Aranciera di Villa
Borghese, rimasta nota nel Settecento come Casino dei Giuochi d’Acqua,
sono raccolte le opere d’arte donate alla città da Carlo Bilotti,
imprenditore e collezionista.
In questo luogo è ora presente una mostra che è la testimonianza del più
grande Cretto mai creato da Alberto Burri.
Un’ opera mastodontica che il grande artista umbro creò, dopo essere
stato invitato a realizzare un intervento, per la ricostruzione del
paese distrutto dal terremoto nella Valle del Belice nel lontano gennaio
1968.
Alberto Burri non ebbe dubbi nel creare l’opera di Land Art più grande
del mondo.
Ricoprì, come fosse un sudario bianco, attraverso una gettata di
cemento, i resti del paese distrutto, praticamente la planimetria della
vecchia Gibellina. Preferì lavorare sulle macerie, piuttosto che donare
un suo lavoro.
Una ricostruzione in loco che ha una doppia valenza, una doppia
simbologia. Da una parte la sua opera offerta alla popolazione,
dall’altra il lavoro sul luogo dove l’orrore della morte era
violentemente apparsa.
La lezione di Burri con il Grande Cretto di Gibellina, viene descritta
da Massimo Recalcati, che curerà il catalogo in uscita a giugno, come
una lezione che vale per tutta l’arte. È così che il Grande Cretto porta
Burri a documentare la potenza della scossa sismica, attraverso le crepe
che solcano il Cretto e l’esperienza del lutto e della morte.
La ‘ferita’ è l’elemento principale di tutta l’opera di Burri sul tema
del Cretto. Questa stessa ‘ferita’ comparirà nei ‘Legni’ perché generata
dal fuoco e dalla carbonizzazione del materiale e di ciò che sopravvive
alla bruciatura. Tutto questo lacerarsi, apparire e riapparire è
presente anche nelle ‘Combustioni’ e nelle ‘Plastiche’.
Le fotografie in bianco e nero di Aurelio Amendola, che sono in un
giusto rapporto con il testo del prezioso libro, pubblicato da Magonza
nel 2018 “Alberto Burri. Il Grande Cretto di Gibellina”, sono state
eseguite nel 2011 e nel 2018, dopo il completamento dell’opera avvenuta
nel 2015.
La poetica del ‘Cretto’ sorge nella prima metà degli anni Cinquanta e le
finalità dell’artista umbro erano proprio quelle di mostrare ‘l’energia
di una superficie’.
È così che l’intervento su Gibellina prende corpo nel compattare, con il
cemento bianco, le macerie in cubi distinti. Nel 1985 ebbe inizio il
lavoro che, dopo anni dalla sua ripresa, si è realizzato in
sessantottomila dei novantamila metri quadrati previsti. L’opera è stata
ultimata per un totale di ottantaseimila metri quadrati.
La testimonianza riportata è quella della ferita della morte che diviene
poesia. Come fosse la resurrezione, una trasfigurazione che dal dramma
della morte dà luogo a un nuovo evento, quello dell’opera.
Diversi sono i passaggi del Recalcati nel testo già edito nel 2018
avvolti di estremo senso acuto. Quasi come volesse infliggere, anche lui
attraverso la parola scritta, la ferita profonda dell’interpretazione.
Nel catalogo della mostra, di prossima uscita, sono presenti gli
interventi di Gianfranco Maraniello e Aldo Iori.
Felice visione per chi lo vorrà.
Paolo Cazzella
o della Joie de Vivre
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