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BERNINI |
Il conosciutissimo Bernini Nonostante sia un artista conosciutissimo, Gian Lorenzo Bernini (1598 – 1680), quando è il protagonista di una esposizione, sia detto senza retorica, non finisce mai di stupirci. E’ come vedere una bella alba o un emozionante tramonto, infatti pur conoscendo questi fenomeni naturali, ogni volta che ci appaiono ai nostri occhi, ci lasciano letteralmente a bocca aperta. E’ a bocca aperta che ci lascia anche questa esposizione sul Bernini, ora alla Galleria Borghese, per la curatela di Andrea Bacchi e Anna Coliva con la collaborazione di studiosi e specialisti e con il supporto Fendi come partner istituzionale. Un dialogo prezioso e positivo, quello di Fendi e ci tengo a dirlo, perché alla base dell’impegno preso, c’è la convinzione che la bellezza debba essere testimoniata e diffusa come fa nel proporre le proprie collezioni, veri testimoni di ricerca estetica. Bernini come Rubens (1577 – 1640) è stato sinonimo di Barocco e viceversa. La collezione più importante dei gruppi scolpiti dall’artista napoletano è nella Galleria Borghese di Roma e ora in mostra provenienti dai musei di Stati Uniti, Francia, Canada e Germania, ci sono oltre settanta opere. Il pretesto di questa esposizione, insieme a un interesse permanente del Bernini, è la ricorrenza dell’apertura della Galleria avvenuta venti anni fa. Una mostra che è il risultato di tanti anni di ricerche e di nuove acquisizioni comprendenti il Bernini scultore e pittore. Sono oltre trenta marmi, il catalogo quasi completo dei dipinti e su questi i curatori ci tengono a ritenerli autografi, nonostante il contenzioso sia ancora aperto in assenza di documenti che ne attestino il contrario. La mostra suddivisa in otto sezioni, racconta l’intera carriera del Bernini, attraverso i gruppi scultorei, i bronzi, le terrecotte e un disegno, l’apprendistato con il padre Pietro, le opere giovanili con i putti e l’attività di restauro. Va da sé che per ovvi motivi logistici, non è stato possibile inserire in mostra il Bernini architetto, quel regista del Barocco, ideatore di scenografie teatrali, punto di riferimento per le arti decorative di tutto un secolo ma non solo, anche per mettere in evidenza le opere realizzate concretamente dall’artista. Al centro del percorso espositivo sono i quattro celebri gruppi borghesiani: Enea, Anchise e Ascanio, Anchise e Ascanio che fuggono da Troia. Una delle sezioni comprende il genere dei Putti. Ai primi esordi un giovane scultore doveva necessariamente misurarsi con opere di piccolo impegno e il Bernini lo fece dimostrando di essere capace di trattare il marmo. Una mostra che ci fa letteralmente rimanere a bocca aperta, almeno a me lo ha fatto pur conoscendo Bernini. Come brillantemente ha affermato Anna Coliva, direttrice della Galleria Borghese, le novità di questa mostra sono il Grande Busto del Salvatore, il Crocefisso dal Museo di Toronto e la quasi completa produzione di Bernini, che lavorava proprio nello stesso posto dove è ubicata la Galleria Borghese. Gian Lorenzo Bernini, è sempre la Coliva che parla, si concepiva come un impresario essendo pittore, scultore, architetto, uomo di teatro, costruttore e regista di Roma. E’ senza dubbio per questi motivi che non fece mai un grande e importante dipinto. Prendendo spunto dalla scultura antica nell’ambito della sua dimensionalità e monumentalità, fu scultore di statue con la concezione della statua indipendente. Creerà opere di scenografia, nella Villa Borghese, insieme a Scipione Borghese e sotto questo aspetto, la mostra è un po’ il percorso scenico che Bernini può aver immaginato. Altra importante novità di questa esposizione è la prima scultura religiosa del Bernini, vale a dire la Santa Bibiana, una fanciulla giovanissima vestita da Santa e il cui restauro è durato due mesi. Andrea Bacchi, l’altro curatore insieme alla Coliva di questa mostra, ci tiene a comunicarci le zone d’ombra del Bernini. Viene, senza dubbio, fuori l’aspetto del rapporto con il padre Pietro, aspetto che già Federico Zeri e Cesare D’Onofrio avevano messo in luce. Bernini era anche capace di eseguire un ritratto scultoreo senza aver sotto gli occhi il soggetto come fece con Richielieu. La mostra si chiude, afferma sempre Bacchi, con i due grandi crocefissi: quello dell’Escurial e quello di Toronto. Personalmente ritengo che una delle tante e famose, nonché viste e riviste sculture, è senza dubbio il ‘Ratto di Proserpina’, eseguito tra il 1621 e il 1622. Oltre due metri e mezzo di marmo bianco, commissionato dal cardinale Scipione. E’ stato fatto notare in passato il riferimento al ‘Ratto delle sabine’ del Giambologna (1529 – 1608), ma prima ancora il modo di disporre in parallelo due figure che lottano lo si trova già in un bronzetto ‘Plutone e Proserpina’ di Pietro Antonio da Barga. Si è quindi ipotizzato che il Bernini possa aver preso spunto dallo scultore fiorentino e nel Museo del Bargello esiste un esemplare, del Barga, alto cinquantanove centimetri. Senza dubbio lo scultore napoletano conosceva quel passo dove Plinio parla di un gruppo bronzeo, di mano di Prassitele, avente come tema il ‘Raptus Proserpinae’. Ma il movimento dei protagonisti non è a vite come risulta dal Giambologna, il gruppo scultoreo del Bernini è impostato secondo varie visuali, interpretando non solo nuove bellezze scultoree ma anche la storia dei due protagonisti attraverso i due momenti temporali del ‘prima’ e del ‘dopo’. Alla base delle due figure c’è il cerbero, un mostruoso cane a tre teste, le quali simboleggiano la distruzione del passato, del presente e del futuro, a guardia dell'ingresso degli inferi e che in questo caso incarnano le tre dimensioni della scultura. Non sono solo le mani di Enea che affondano nel corpo di Proserpina, mettendo in risalto la morbida carne della fanciulla, non è solo il gesto disperato del braccio alzato, creando un maggior coinvolgimento emotivo. In questa come in tante altre opere della sua precoce maturità, il Bernini scolpisce l’anima dei sentimenti. Tutto questo è palesemente evidente se si notano attentamente gli sguardi, il movimento delle mani, le torsioni dei corpi. Praticamente Bernini non scolpisce una o più figure, non racconta la storia o meglio almeno non solo questi due elementi. L’artista barocco interpreta e riporta i sentimenti e le emozioni dell’animo umano. Felice visione per chi lo vorrà. Paolo Cazzella |
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