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2017

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THAYAHT, UN FUTURISTA ECCENTRICO
SCULTURE, PROGETTI, MEMORIE.
Dal 9 febbraio al 2 marzo 2017

Via Alibert, 20
Roma

Orari:
lunedì 16.30 - 19.30
dal martedì al sabato 10.00 – 19,30

Ingresso gratuito

Informazioni:
Tel. 06/6789949

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Thayaht: un futurista eclettico

Già dal suo palindromo pseudomino si comprende la fantasia creatrice di questo artista di origine anglo-svizzera.

Ernesto Michahelles conosciuto come Thayaht, nasce a Firenze nel 1893 e a Pietrasanta conclude la sua vita nel 1959.
Nell’ambito del così detto Secondo Futurismo, la sua creatività spazierà dalla pittura alla scultura, dalla moda al teatro, dalle arti decorative alla grafica pubblicitaria, dalla fotografia alla progettazione d’interni. Il suo dinamismo pittorico e scultoreo, attraverso soluzioni sintetiche e geometrizzanti, lo porteranno ad essere considerato da Filippo Tommaso Marinetti (1876 – 1944) facendolo partecipare alla mostra ‘Trentatrè futuristi’ della Galleria Pesaro di Milano.

Grande disegnatore, disegnava infatti, qualsiasi cosa gli venisse in mente. La sua notorietà avvenne un po’ tardi, giustificati sono gli interrogativi che Daniela Fonti, curatrice di una interessantissima e suggestiva esposizione ora alla Galleria Russo di Roma, si pone sul perché non fosse conosciuto prima. Viene più largamente conosciuto sul finire degli anni Venti, nonostante la sua attività dimostrasse un’attenzione del tutto particolare nei confronti del movimento futurista.

Si vedano i molti modelli decorativi astratti, verso la seconda metà degli anni Dieci e la sua famosa creazione della Tuta del 1920, chiari riferimenti alle prove di Balla e Depero per gli abiti futuristi; si notino le prime prove plastiche elaborate nel 1922 e da lui definite ‘ritmi plastici’, di boccioniana memoria.
Diverse sono le teorie che giustificano la tardiva scoperta di Thayaht. Indubbiamente incise moltissimo la multipolarità espressiva delle sue ricerche nel corso della Vita, in quella complessa formazione d’artista e designer, suffragata da una personalità estroversa seppur nell’ombra, quindi conscia e insicura al tempo stesso delle sue doti.
Questo suo essere artista disarmonico, contribuì a quella iattanza un po’ becera, un po’ squadristica dei protagonisti del movimento come scrive Daniela Fonti in catalogo.
Nonostante questo, la sua formazione, avviene in un clima culturale di tutto rispetto: i Berenson, i Loeser e il circolo culturale della famiglia Maraini.

Nella mostra si possono notare le prime prove pittoriche tra il 1915 e il 1920 dove il colore assorbe ogni annotazione di profondità. Lo stesso si dica per i paesaggi e i giardini che creano uno spazio come sorgente di un’impressione.
L’uso dell’acquerello con tonalità luminose, favorisce il confronto con la serie delle ‘compenetrazioni iridescenti’ dipinte da Giacomo Balla (1871 – 1958).
Sempre in mostra che ho visto, spinto dalla curiosità di conoscere meglio l’artista, ci sono i bozzetti per i costumi per il teatro e poi progetti di sculture.
Il modello di Bituta che come è scritto dallo stesso artista: ‘ciò è una tuta di due pezzi’.
Interessante il video dove si vede Thayaht disegnare con un pennello e con mano ferma una tuta. È presente la grande scultura ‘Il Tuffo’ del 1932 eseguita in gesso con cerchi della base in metallo. Inoltre ‘I quattro elementi’ del 1929 con una sequenza davvero interessante, dalla matita su carta alla matita e acquarello fino all’olio su tavola.
Ho apprezzato molto un piccolo pastello su carta del 1913 ‘Notturno’ che mi ha ricordato le elaborazioni pittoriche che verranno di un Hopper (1882 – 1967) o di uno Ziveri (1908 – 1990).

Il lavoro di disegnatore svolto alle dipendenze di Madeleine Vionnet, darà un’impronta scientificamente più decisa. Uno dei primi esempi fu l’elaborazione degli abiti femminili, il Thayaht adottò raffinati rapporti geometrico-matematici. Elaborò disegni da stampare sui tessuti, schizzi per fibbie e accessori.
Nell’estate del 1920, Thayaht creò la ‘Tuta’ che fu definita l’abito più innovatore e ricco di futuro che la storia della moda italiana abbia prodotto. Ed è proprio con l’ideazione della Tuta che si caratterizzerà il suo pseudomino, dal palindromo Tayat divenuto poi Thayaht. Molto probabilmente l’invenzione rivoluzionaria della Tuta, a forma di T, dette lo spunto per lo pseudomino. Sorge il dubbio, che attraverso questo abito concepito per il futuro, possa esserci stato il rientro dell’artista nell’universo futurista. La linea semplice e comoda, che favorisce ogni movimento del corpo, agevola lo slancio e il dinamismo ed è facile il paragone con l’abito maschile futurista di Balla del 1914.

Improvvisamente, nella produzione di Thayaht, appare la scultura. Non grandi sculture, bensì prototipi destinati all’esposizione e alla vendita. Questa nuova produzione lo colloca appieno come erede e continuatore dell’Art Nouveau. Le piccole sculture, i piccoli oggetti da collezionare per una fruizione intima e privata, verranno condivisi da tanti artisti déco, primo fra tutti Duilio Cambellotti (1876 – 1960). Differenti personalità senza dubbio, quella di Cambellotti tutta protesa verso quel nodo organico che sprigiona energia fisica attraverso le figure e quella del Thayaht, energia impalpabile che la figura raccoglie e riverbera nell’ambiente.

È anche attraverso questo unicum di sintonia poetica e formale, che si può trovare un avvicinamento ai futuristi.
La fine del regime fascita, porterà all’artista tanta amarezza, costringendolo a un esilio forzato in Versilia dove riprenderà a disegnare.

Non sono le solite parole scritte per invogliarvi ad andare a visitare questa mostra, ma Russo ha veramente, attraverso la curatrice della mostra, l’attenta storica dell’arte Daniela Fonti, allestito una mostra a tutto tondo.

Istruttiva quanto splendida visione a tutti voi.

Paolo Cazzella
o della Joie de Vivre


 

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