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Venezia
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Biennale d’Arte 2015:
un eterno palcoscenico
Mi sono chiesto più
volte quale fosse la forza attrattiva della Biennale di Venezia. Al di
là della curiosità di scoprire…nuove idee?, nuove personalità?, la vera
forza delle Biennali, negli ultimi anni, è l’aura da palcoscenico che si
respira. Meglio ancora che si vive e il pubblico è ben consapevole di
visitare questa grande kermesse, sapendo allo stesso tempo di essere in
un grande e universale palcoscenico. Ne sono prova le tante immagini che
la gente cattura avanti, dietro un’opera. Con o senza se stessi.
A mio avviso la Biennale d’Arte ha perso quella primigenia idea della
manifestazione di nuovi modi di concepire l’Arte. Per meglio dire si è
andata trasformando sempre più, per l’appunto, in un grande palco
teatrale dove le Persone sono alla ricerca dei Personaggi e viceversa.
Ulteriore riprova di quanto vado scrivendo è la presentazione che il
Presidente della Biennale, Paolo Baratta, ha fatto e scritto usando
proprio il termine ‘palcoscenico’. E io sono con lui anche se gli dò un
senso non propriamente positivo.
La celebrazione, quindi, che avviene quest’anno dei centoventi anni
dalla prima Esposizione (1895) attraverso questo palcoscenico è un
susseguirsi di diversi punti di osservazione del fenomeno della
creazione artistica nel contemporaneo.
Nominando Klee e il suo ‘Angelus Novus’ Baratta dichiara che chi entra
nella Biennale viene sorpreso e spaventato per mezzo di quei resti del
passato dove memoria, tempo e spazio si congiungono.
Onestamente non ho visto nulla di tutto ciò. La consolazione del
Presidente della Biennale è che ogni due anni nel rivelarsi una nuova
tempesta di energia è come se questa spinga le sue ali verso il futuro.
Ma l’Angelo di Klee aveva il viso rivolto al passato. Qui ho trovato
pochissimi riferimenti del passato e sono confortato da questa mia nota
perché Baratta conclude la sua presentazione scrivendo ‘…la Mostra sia
sempre vissuta come luogo di libero dialogo.’
Di tanta roba ho trovato veramente interessante la proposta di Kay
Hassan nato in Sudafrica nel 1956.
Il lavoro di Hassan nasce dall’interesse per temi come la migrazione,
l’esproprio, il commercio, lo spreco e la vita urbana.
Traendo spunto dall’ambiente in cui vive, utilizza oggetti buttati via,
ricollocandoli mediante la rappresentazione figurativa. Hassan è noto
soprattutto per le sue opere in carta di grande formato lavorando anche
con la pittura, il collage, le installazioni, il video, la scultura e la
fotografia.
Le costruzioni su carta presentate in Biennale a me hanno molto colpito
perché riportano i miei sentimenti al concetto di pittura vera e
propria.
Buona kermesse a tutti voi.
Paolo Cazzella
o della Joie de Vivre
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