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E si continua... In Principio Quando per la prima volta la Santa Sede apparve due anni fa con un proprio Padiglione alla Biennale di Venezia, non furono poche le ‘Anime’ che si posero degli interrogativi. Interrogativi in parte mitigati dall’elegante catalogo per il quale ebbi modo di scrivere (Un catalogo da collezione Moto della Mente agosto 2013). Dopo due anni la Santa Sede si ripresenta all’importante manifestazione e debbo dire, onestamente, con una dignità, una comunicazione che può far invidia a quanti di queste cose non ne capiscono pur esponendo con nonchalance a Biennali, Triennali e così via. La struttura è sempre quella: tre artisti due anni fa, tre artisti ora. Non solo, il catalogo ridotto solo di pochi centimetri di base, pur avendo cambiato editore, ora è Gangemi, assume la stessa dignità di quello di due anni fa. Il Padiglione della Santa Sede se prima aveva per titolo: In Principio, ora ha un suo seguito: In Principio… la Parola si fece carne. Pur prendendo le giuste distanze dagli artisti ora, per la 56° Esposizione d’Arte della Biennale di Venezia 2015, dai miei sentimenti nel concepire il ‘fare’ artistico, debbo riconoscere che quel: “…la Parola si fece carne” è un titolo che cade a pennello (è proprio il caso di dirlo) perché precise e intellettualmente oneste sono le intenzioni dei tre artisti. L’incipit del Nuovo Testamento, come spiega il Cardinale Ravasi, è un inizio trascendente e cita Michelangelo, Haydn per passare a Goethe fino alla parabola del ‘Buon Samaritano’. La storica dell’arte Micol Forti parla di unione del cosa e del come attraverso la quale un’opera prende corpo trasmettendo il suo messaggio. Monika Bravo (prima dei tre artisti presenti in catalogo) espone una serie di opere che fanno ricordare la tecnica della velatura. Quella tecnica della trasparenza del colore tone sur tone o dei vari contrasti arricchiti da una serie infinita di frasi, parole, lettere moltiplicatesi e moltiplicanti fra loro. È un gioco di sovrapposizioni che porta la Bravo a comporre un’installazione di sei elementi dalle grandi misure (centimetri 440x230). I materiali vanno dal monitor ai vetri, ai pannelli in legno dipinti, alle stampe e ai sensori sonori. L’artista nata a Bogotà poco più che cinquantenne ha assunto, fin dall’inizio del suo creare, la volontà di far interagire diversi linguaggi affinchè potessero parlarsi, rincorrersi, trasformarsi portando alla ridefinizione delle diverse culture. Debbo dire personalmente, che è l’artista che più ha toccato le mie corde sensibili. È riuscita a coniugare il tema dato nella maniera migliore creando quella serie di trasparenze e ‘sospensioni’ molto vicine all’elemento Spirituale. È come la scomposizione di un grande caleidoscopio come afferma, a ragione, Micol Forti: “Con il lento movimento imposto all’immagine-caleidoscopio, …”. Elpida Hadzi-Vasilea, quarantacinquenne macedone, costruisce un’installazione frutto di un’unione di materiali organici, strutture e cavi in acciaio. Il suo lavoro è composto principalmente di scarti di componenti animali. I suoi filamenti sfilacciati e sfilacciabili sono una summa concettuale che prende origine da Picasso a Fontana, da Burri a Rauscemberg. Il tutto basato sul mistero dell’imperfezione. Ricorda molto il dripping di pollockiana memoria. Il terzo e ultimo artista in catalogo, è un giovane fotografo africano Màrio Macilau. Presenta nove grandi fotografie in bianco e nero perché raro è il suo uso del colore. Il suo doppio occhio, quello naturale e quello fotografico, mette a fuoco il reale attraverso la gestualità dei rituali, la vita di lavoratori ancora minorenni. Ragazzi di strada, seguiti dal fotografo poco più che trentenne, nativo di Maputo, dall’Africa al Sud America. Tre artisti tutti consapevoli del tema dato anche se per i motivi prima esposti, la mia preferenza va a M. Bravo proprio per aver così fedelmente riportato la tematica del ‘Principio …che si fa carne’. Spirituale visione per chi lo vuole.
Paolo Cazzella
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