ex-@rt magazine |
|
*************************
*************************
|
Lapislazzuli, forza della vita soprannaturale È già nel termine Lapislazzuli che si percepisce una magia tutta sua. Infatti deriva da Lapis che in latino significa pietra e da Lazulum che proviene dall’arabo e che a sua volta proviene dal persiano, comprendendo non solo il nome della pietra ma anche il luogo in cui veniva estratta. Inaugurata il 9 giugno del 2015 al Museo degli Argenti in Palazzo Pitti, è ora evidente una mostra tutta particolare perché particolare è l’argomento che tratta, per l’appunto il Lapislazzuli – Magia del blu. La storia di tale pietra è ricca e lontana nei tempi. Risale, infatti, a poco più di seimilacinquecento anni fa l’estrazione di questa pietra nella vallata di Sar-e-Sang nel nordest dell’Afghanistan. Si trova anche in Siberia e in Cile ma non è della stessa qualità. Pietra che è stata utilizzata dai Sumeri, passando poi per Michelangelo e Maria Antonietta. Pietra che viene estratta e poi trasportata a dorso d’asino, di cammello e ultimamente anche con camion. Per avere le prime tracce del lapislazzuli, si risale al Neolitico (9.000 – 3.300 a.C.). Da quell’epoca, la Pietra dal colore blu non è mai passata di moda. Dai Romani che ne attribuivano proprietà afrodisiache, alla presenza di Marco Polo entusiasta e meravigliato perché ‘vi è una montagna ove si cava l’azzurro ed è lo migliore ed il più fino del mondo’. Grazie anche ai Pittori, il momento di gloria di questa pietra è senza dubbio il Medioevo e il Rinascimento. Venne infatti impiegata per il cielo sulla volta della Cappella Sistina in Vaticano, dipinta tutta con l’ultramarino proveniente dal Lapislazzuli. Il suo costo è altissimo perché la roccia particolarmente dura e caratterizzata da un colore blu profondo si rinviene in rari giacimenti. La sua particolarità non sta solo nel suo colore azzurro intenso, ma anche perché è solcato da sottili venature di pirite color dell’oro dovute alla lontana provenienza delle montagne dell’Afghanistan, come esaurientemente descrive Maria Sframeli in catalogo. La mostra ora al Museo degli Argenti è tutta una sinfonia variegata di dipinti, vasi, oggetti, gioielli, sculture all’insegna di questo colore magico e iridescente. L’emozione di questa mostra fa tornare alla mia memoria un episodio vissuto quaranta anni fa. Nel visitare il Museo parigino dell’Orangerie contenente le Nymphéas di Monet. Mi vidi costretto a uscire e entrare diverse volte, per l’iridescenza provocata dai colori delle tele del grande Pittore, padre dell’Impressionismo. Il pigmento blu ricavato dal lapislazzuli fu chiamato nell’ambito della storia dell’arte occidentale anche Oltremare o Lazur. L’interessante studio di Cecilia Frosinini sul significato dei colori non solo blu, oltremare, lapislazzuli e di tutti gli altri ce ne fa conoscere la valenza sociale. È per questo motivo che il lapislazzuli divenne prezioso non solo per la difficoltà nell’estrarre la pietra, ma anche perché usato sia a livello simbolico che contenutistico. Prima di essere usato in occidente in maniera sistematica dal tardo XII o XIV secolo, il lapislazzuli venne usato fin dai tempi dei faraoni. Anche le popolazioni babilonesi ed ebraiche lo usarono come colore sacrale in combinazione con l’oro. Nelle profonde analisi di Michael Pastoureau sull’argomento, si acquisisce il concetto di come il colore, nelle diverse culture, abbia assunto un ruolo pubblico, civile. I motivi del suo uso si indirizzarono nelle scelte araldiche, bandiere e stemmi. Ma il colore blu ebbe nei tempi anche un significato negativo, uno dei motivi per cui fu assente in epoca romana, fino a essere riscattato a colore nobile attraverso l’adozione, da parte della Chiesa Cattolica come colore della Vergine. Assumendo anche motivi di affermazione e indipendenza in contrapposizione con i colori pagani, mettendolo in competizione, fin dalla metà del Medioevo con il colore dell’oro. Negli anni il colore del blu ebbe predominanza sul concetto di un ‘colore del cielo’, valorizzando la tesi che mi trova d’accordo secondo la quale, la preziosità di questi materiali derivi non solo dal loro valore interno, bensì da qualità estetiche e concettuali. Tra le opere esposte, nelle quattro sezioni della mostra, prende vita una collana costituita oltre che dai lapislazzuli anche da pietre di piccole e medie dimensioni come il calcedonio, la malachite, l’agata, il quarzo e altre pietre. Una mostra prelibata, oserei dire succulenta anche se questi sono termini più indicati per esposizioni sul cibo. Ma la presenza di tanti e tali oggetti stimola quella famosa acquolina in bocca che ci viene quando nutriamo appetito. Gustosa visione a voi tutti.
Paolo Cazzella
|