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Oppo: un palindromo artistico Oppo (Cipriano Efisio, 1890 – 1962), ha rappresentato un palindromo non solo nel suo cognome ma anche nel suo essere uomo di cultura, un’intellettuale. Per gli addetti ai lavori, infatti, C.E.Oppo rappresenta colui che ebbe grande voce sotto il periodo storico del fascismo per essere stato il rappresentante unico degli artisti italiani della Confederazione Nazionale dei Sindacati Fascisti Professionisti ed Artisti. Nei primi anni Trenta darà vita all’Esposizione della Quadriennale d’Arte di Roma. Ma non fu solo questo. Oppo comunque lo si voglia leggere è stato anche un Artista. Sapiente cultore di autori appartenenti a quel movimento del nuovo novecento, il liberty di Galileo Chini (1873 – 1956) o di Duilio Cambellotti (1876 – 1960). Più in là accarezzerà personalità come quella di Fausto Pirandello (1899 – 1975). Da poco si è inaugurata l’esposizione ‘Oppo’ in quel gioiellino che il Comune di Roma (Roma Capitale) detiene e che alcuni anni fa venne fatto un’interessante restauro interno. Sto parlando del Casino dei Principi facente parte dei Musei di Villa Torlonia. In questa mostra c’è una parte di quello che Oppo produsse nella sua Vita. La selezione è stata necessaria come ha dichiarato il nipote Paolo Nasso, perché tutto non poteva essere esposto. Tra i documenti c’è un’interessantissima lettera di Renato Guttuso (1911 – 1987) che ringrazia Oppo per il valore critico delle sue parole e per la sua onestà intellettuale. Uno dei primi dipinti esposti è ‘Castello del Mistero’ del 1912 circa. Una tela dalle dimensioni quadrate (cm. 105x105) che racchiude le affinità estetiche e coloristiche di Oppo in quella percezione dalle linee del primo divisionismo, ricorda molto Chini oltre a essere presenti riferimenti a Gaetano Previati (1852 – 1920) nell’immagine del sole alla base della torre. Autori che insieme a Giovanni Segantini (1858 – 1899) e Pellizza da Volpedo (1868 – 1907) furono molto amati dal primissimo Oppo. Seguendo il percorso della mostra si vedono molti ritratti, nature morte, paesaggi. Il ricordo nella memoria al primissimo Ziveri (1908 – 1990) me lo suggerisce un olio su tavola del 1918 ‘Signora con veletta’. Il volto di tre quarti, quegli occhi semi aperti e interrogativi che guardano, al di là della tela l’osservatore e poi la materia così distribuita sulla tela, sono elementi che si ritroveranno venti anni più tardi oltre che in Ziveri anche in Roberto Melli (1885 – 1958), Riccardo Francalancia (1886 – 1965), Francesco Trombadori (1886 – 1961) per dirne solo alcuni. L’importanza di queste mostre non è solo quella che si riferisce al ritratto di questo o quel pittore, scultore, ma è anche perché come dice il suggestivo poeta portoghese Fernando Pessoa (1888 – 1935) ‘Ognuno di noi è più d’uno, è molti, è una prolissità di se stesso’. E Oppo rispecchia appieno questo concetto quando prende prima a questo, poi a quel pittore, pur mantenendo un suo personale sentire. Si veda ad esempio quel bel ritratto di Rosso di San Secondo del 1913 dove sono chiaramente evidenti riferimenti a Matisse (1869 – 1954) e soprattutto a Kees van Dongen (1877 – 1968). Sullo sfondo quella Roma dai bei colori caldi presenti nelle tavolozze di diversi artisti della futura Scuola Romana: Mario Mafai (1902 – 1965), Scipione (Gino Bonichi) (1904 – 1933), Alberto Ziveri e altri. In questa mostra mi ha interessato molto vedere temi già visti in altri autori coevi e prossimi ad apparire sulla scena artistica romana. Come ad esempio la tempera su carta del 1918 ‘Ponti sul tevere’ in catalogo. E questa Roma riportata da Oppo, pur nella sua naturale trasformazione odierna, rimane sempre la stessa. In una dimensione di diciotto centimetri per ventiquattro, Cipriano Efisio O. riporta la visione dei ponti sul tevere in quella maniera che bene venne testimoniata da Michele Biancale, critico d'arte e storico dell'arte italiano (1878 – 1961) quando scrisse: ‘una basilare conoscenza del mestiere’. In mostra c’è il famosissimo olio del 1921 ‘Incinta’. Oppo ritrae qui la moglie incinta caricandosi di quel ‘neoclassicismo’ mantenendo la memoria di un Francesco Hayez (1791 – 1882) e di un Giovanni Fattori (1825 -1908). Da sottolineare lo ‘Studio per Susanna al bagno’ del 1922 circa. Un olio su tavola di centimetri quaranta per ventidue. Il tema è quello della casta Susanna che realizzerà due anni dopo. Ma al di là del famosissimo tema trattato quello che ha toccato qui particolarmente le mie ‘corde’, è stata la torsione del corpo di spalle. Immagine centrale del dipinto che può ricordare i nudi di Pieter Paul Rubens (1577 – 1640). Nel “Ritratto di Lalletta” e nel “Ritratto in verde (Lalletta)” la pittura di getto e fresca rendono i dipinti come se fossero realizzati da poco e sto parlando di opere del 1925. Nel ‘Nudo femminile sul divano’ del 1929 il riferimento del già citato Pirandello è automatico. Il suo sguardo, il capo reclinato e appoggiato sulla spalla destra e poi questa ‘pasta’, questo epitelio pittorico costruito attraverso la materia ne fanno un dipinto davvero pregevole da non sottovalutare. E il motivo di dover vedere e rivedere una mostra è proprio qui. Si entra per dare un primo sguardo d’assieme, ci si sofferma ora a un dipinto, ora a un disegno, si torna indietro. Ma poi quando la mostra è stata vista si deve necessariamente ripercorrere in senso inverso tutto il tragitto fatto per cogliere quel o quei particolari sfuggiti. E il compiacimento di tutto questo è lo stesso di quando si leggono le poesie o si legge la prosa. Come accade nel vedere lo ‘Studio per Saltimbanchi (La ballerina)’ del 1936. Il contrasto tra la gamba di sinistra in contrapposizione, per via della luce, con quella di destra della figura centrale ci fa abbandonare a elegiaci pensieri. L’esposizione si completa con disegni e bozzetti che si riferiscono a Opere messe in scena. Una mostra particolarmente gustosa, per usare un termine caro quest’anno all’Expo di Milano. Interessantissima visione per chi lo vuole.
Paolo Cazzella
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