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CERA UNA VOLTA RIMINI Rimini è una città di aspetto moderno conseguenza dei bombardamenti della II Guerra Mondiale ma ha una storia antica; fondata dagli Umbri sulla destra del fiume Marecchia, nel 268 a.C. divenne colonia latina col nome di Ariminium punto di arrivo della via Flaminia da Roma e di partenza della via Emilia per Milano. Centro commerciale di un certo rilievo fu bizantina, longobarda e franca per divenire prima Comune nel XII secolo e poi sede della splendida e turbolenta Signoria dei Malatesta; nei primi decenni del XVI secolo entrò stabilmente nei domini pontifici iniziando un periodo di oltre tre secoli e mezzo di quiete sonnacchiosa da cui uscì alla fine dell’800 quando iniziò a svilupparsi l’attività alberghiera e balneare fino ad arrivare ai successi odierni. D’epoca romana sono il ponte d’età tiberiana a l’Arco di Augusto, al Medioevo appartiene il Palazzo dell’Arengo e alle Signoria dei Malatesta il Castello Sigismondo ed il celebre Tempio Malatestiano, capolavoro del Rinascimento, opera di Leon Battista Alberti, che dette nuova forma alla precedente chiesa gotica di san Francesco, contenente al suo interno un affresco di Piero della Francesca ed un Crocefisso di Giotto. Proprio la presenza dell’artista toscano a Rimini dette vita ad un fenomeno culturale abbastanza breve ma di grande spessore: la scuola pittorica Riminese del ‘300. Uno dei massimi esponenti di questo movimento fu Giovanni Baronzio testimoniato dal 1330 circa al 1360 come “Iohanne Baroncio pinctore” a cui è dedicata una mostra che si tiene a Roma, a Palazzo Barberini, a cura della Soprintendenza Speciale al Polo Museale Romano e della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini che ha anche prestato alcune opere della sua collezione. L’esposizione è ospitata in alcune sale già in uso al Circolo Ufficiali ma destinate entro la fine dell’anno ad accogliere raccolte della Galleria Nazionale d’Arte Antica. Cuore della mostra sono due elementi di un dossale dipinto dal Baronzio per la chiesa di San Francesco a Villa Verucchio e smembrato a fine ‘700; la parte centrale con una Crocefissione è attualmente disperso mentre i due laterali con Storie della Passione appartengono l’uno alle raccolte di Palazzo Barberini e l’altro è stato recentemente acquistato dalla Fondazione sul mercato antiquario. Fanno contorno ad alcune opere del Baronzio tele di altri pittori riminesi alcuni noti con il solo nome, Giovanni, Giuliano. Pietro, Neri, ed altri ignoti come il Maestro di Verucchio ed il Maestro dell’Incoronazione di Urbino. Il grosso delle pur poche opere esposte è relativo al Baronzio che elaborò un tipo di “pittura parlante” secondo lo stile dell’epoca per il quale i dipinti sacri erano una sorta di narrazione per i fedeli. Capolavoro indiscusso è il dossale, cioè la copertura della fronte dell’altare più nota come paliotto, con un registro che svolge scene della Passione dall’Ultima Cena all’Ascensione con evidenti influssi dell’arte giottesca ed alcune reminiscenze bizantineggianti il tutto seguendo i precetti della teologia francescana alla quale il Baronzio era devoto al punto di farsi seppellire nella stessa chiesa: Scopo dell’opera era anche quello di celebrare il passaggio di San Francesco a Rimini oltre un secolo prima ed indirettamente la Signoria dei Malatesta. Rapidamente come si era affermata la Scuola Riminese si estinse alla metà del ‘300 e gli storici dell’arte si interrogano sui motivi, forse la Peste Nera del 1348, forse motivi economici: La mostra comunque ricorda questa breve ed intensa esperienza artistica.
Roberto Filippi |
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