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L’OFFICINA FERRARESE “Officina Ferrarese” è
il titolo di un saggio, del 1934, di Roberto Longhi fondamentale per la
conoscenza dell’ambiente artistico e della pittura Ferrarese del XV e
XVI secolo; ad esso fa in un certo senso riferimento la mostra che
Comune e Provincia di Ferrara unitamente ad altri sponsor dedicano a due
celebri artisti, nativi della città, del secondo ‘400 ricostruendo anche
il clima culturale della capitale Estense in quel periodo. Gli Este,
famiglia di antichissima origine feudale, ebbe la signoria di fatto di
Ferrara, Modena e Reggio con investitura da parte del Pontefice per la
prima città e dell’Imperatore per le altre due; il loro potere giunse
all’apogeo tra la metà del XV secolo e i primi decenni del ‘500 ed ebbe
influssi benefici sullo sviluppo dell’arte locale. La Corte ospitò
artisti come Pisanello, Jacopo Bellini, Piero della Francesca, Roger van
der Weyden, favorendo il formarsi di un clima artistico aperto alle più
diverse suggestioni; si svilupparono l’architettura che si espresse nel
piano urbanistico della città e la pittura dove emersero due artisti
locali: Cosmè Tura e Francesco del Cossa. Il primo (1433-1495) assorbì
suggestioni di ambiente fiammingo e suggerimenti da Piero della
Francesca e dallo Squarcione creando uno stile molto personale basato
sull’aspra stilizzazione dell’immagine unita ad un colore smaltato che
assume dimensioni lapidee; nel 1456 divenne pittore di Corte e fu
utilizzato da Duca Borso per una serie di interventi di decorazione
murale in chiese e palazzi di cui restano soltanto le porte dell’organo
della Cattedrale, nella carica fu sostituito nel 1486 dal giovane e già
famoso terzo pittore ferrarese, Ercole de’ Roberti rimanendo sempre una
delle colonne portanti dell’arte cittadina. Francesco del Cossa (1436-
1478) fu dotato di forte e originale temperamento che si manifestò in
alcuni degli affreschi che dipinse nel Palazzo di Schifanoia con figure
corpose che si inquadrano in uno spazio alla maniera di Piero della
Francesca e immerse in una solare luminosità; per contrasti con Borso si
trasferì a Bologna presso i Bentivoglio e forse soggiornò a Firenze.
Morì di peste nella città felsinea mentre lavorava alla volta della
Cappella Ganganelli in San Petronio e l’opera, ora purtroppo non più
esistente, terminata dal de’ Roberti fu molto lodata da Michelangelo. Di
sua mano è uno splendido ritratto di un giovane che tiene in mano un
anello, ora al Museo Thyssen Bornemizza di Madrid, dai lineamenti
perfetti e dallo sguardo inquietante e che è stato preso come uno dei
simboli della mostra. Questa ospita oltre 150 opere, dipinti, sculture,
miniature, disegni, medaglie, oreficerie provenienti da musei e
collezioni italiane ed estere; l’esposizione non si limita all’opera dei
due artisti sopraccitati ma cerca di ricostruire il clima culturale
della città e della corte nel ventennio intercorso tra la morte di
Lionello d’Este, 1450, e quella del fratello e successore Borso, 1471.
L’epoca della sua signoria fu quella in cui si sviluppò in Ferrara un
intenso dibattito culturale animato da grandi figure di letterati, di
artisti, dei miniatori che crearono la celebre “Bibbia di Borso d’Este”,
di astrologi, di architetti, di ingegneri idraulici addetti alle grandi
bonifiche volute dal Duca; al suo impulso si devono la Certosa, il
Palazzo di Schifanoia e l’inizio di quello dei Diamanti opera di Biagio
Rossetti. Roberto Filippi |
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