MATTEO RICCI
L’Europa alla corte dei Ming
Dall’11 febbraio al 10 aprile 2005
Roma
Complesso del Vittoriano
Ingresso:
Gratuito
Orario:
tutti i giorni
dalle 9.30 alle 19.30
Informazioni:
tel. 06/69200867
Catalogo:
Mazzotta
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IL CELESTE IMPERO
E L'OCCIDENTE
Ignazio di Loyola, nobile soldato spagnolo ferito e “riformato”, durante
la convalescenza scoprì la Fede e nel 1540 ottenne di poter costituire
la Compagnia di Gesù, ordine religioso alle dirette dipendenze del
pontefice e organizzato quasi militarmente. La Compagnia si trovò ad
operare su due fronti diversi, l’uno il recupero di quanto perduto dalla
chiesa a causa della Riforma Protestante, l’altro l’acquisizione al
Cattolicesimo dei nuovi territori americani e degli antichi regni
asiatici; in Sud-America sulla punta delle spade spagnole e portoghesi
il risultato fu raggiunto, ad oriente gli sforzi di generazioni di
Gesuiti non portarono grandi risultati ma i Padri continuarono per
secoli a recarsi in India, Cina, Giappone, pronti a sopportare fatiche,
privazioni e in molti casi il martirio pur di portare la Fede agli
infedeli. Le vie dell’oriente erano state percorse sin dal XIII secolo
da Francescani inviati dai Papi a prendere contatto con i sovrani
mongoli per una utopistica alleanza tesa a combattere l’Islam ed alcuni
hanno lasciato interessanti resoconti delle loro avventure: sono ben
conosciuti Giovanni di Pian del Carpine, Odorico da Pordenone, Giovanni
di Montecorvino che raccontarono i contatti con gli imperatori mongoli e
portarono il cristianesimo nelle loro corti. Ma la loro opera fu di
breve durata in quanto verso la metà del XV secolo i cinesi Ming
scacciarono i dominatori e considerarono i cristiani come dei
collaborazionisti da osteggiare. Nel tardo Cinquecento tentarono i
Gesuiti sulle orme di San Francesco Saverio che predicò e morì in India,
seguì Matteo Ricci che visse quasi quaranta anni in Cina dove si spense
nel 1610 ricevendo l’alto onore di una tomba, ancor oggi onorata, a
Pechino. Fu uno dei tanti Gesuiti che si recarono in Estremo Oriente ma
è sicuramente quello che ha lasciato l’impronta più ferma costituendo
l’esempio più illustre del rapporto che si istaurò tra la cultura
occidentale e quella cinese. Rapporto che viene esaminato nella mostra
“Matteo Ricci. L’Europa alla corte dei Ming” che dopo aver avuto un gran
successo a Macerata viene ora riproposta a Roma al Vittoriano.
Il Ricci nacque nella città marchigiana nel 1552 e a vent’anni emise i
primi voti nella Compagnia e dedicandosi a studi di matematica, fisica,
cartografia; raggiunse nel 1582 Macao, colonia portoghese, dove iniziò
ad apprendere il cinese insieme ad un meno capace confratello. Padrone
perfetto della lingua, con molte difficoltà riuscì ad entrare in Cina,
prima a Canton poi a Nanchino, e solo nel 1601 raggiunse Pechino e la
corte imperiale; ebbe il rango di mandarino e il nome di Li Madou, fondò
una missione, frequentò la corte, vi convertì diversi funzionari, ebbe
fama di grande scienziato, matematico, cartografo, costruttore di
orologi. La sua opera tesa ad adattare il Cristianesimo alla civiltà a
alla lingua cinese forse avrebbe avuto buoni risultati ma dopo vari
decenni di trattative, un secolo dopo la sua morte, il rigetto dei “riti
cinesi” da parte della Santa Sede portò ad una reazione nazionalistica
confuciana che confinò il cristianesimo cinese nelle modeste dimensioni
che tutt’ora mantiene.
La mostra prende spunto dalla figura del grande Gesuita per esaminare
l’insieme dei rapporti tra il mondo occidentale e il Celeste Impero
negli anni a cavallo tra il XVI e il XVII secolo e attraverso le circa
duecento opere esposte esamina il mondo gesuitico che si preparava alla
“missione” e il loro incontro con la corte cinese. La prima parte
riguarda la preparazione, i testi di studio, i rapporti con il
Portogallo, porta d’ingresso per l’Oriente, la seconda prende in esame
il rapporto tra i Gesuiti, ed il Ricci in particolare, con lo stato
cinese, i contatti con la casta dei mandarini, lo studio della varie
religioni cinesi, il reciproco influsso con letterati, musicisti,
scienziati, medici, ed infine le novità che il Ricci introdusse in Cina,
elementi di cartografia, strumenti musicali e la pittura ad olio del
tutto ignota ai cinesi.
Sono esposti rarissimi libri editi in cinese dal Ricci, reperti in
bronzo, lacca, porcellana, inviati a Roma dai missionari, materiali e
curiosità di ogni genere da conservare al Collegio Romano a
testimonianza dell’attività svolta. Sono esposti anche il registro
dell’entrata in noviziato con la firma del Ricci, l’originale
dell’”Amicizia” la sua prima opera stampata in cinese ed un suo
ritratto, postumo, finora inedito opera di Andrea Sacchi. La mostra è
stata patrocinata da Ministeri ed Enti Pubblici e sponsorizzata da varie
Banche.
Presso il Bookshop sono disponibili libri e CD che illustrano vari
aspetti della vita e dell’opera del Ricci.
Roberto Filippi
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