L’EPOPEA DEGLI ASCARI ERITREI
Roma
Museo Centrale del Risorgimento
(Complesso del Vittoriano)
Dal 16 settembre al 10 ottobre 2004
Orario:
da lunedì a domenica
dalle 9,30 alle 18,00
Ingresso gratuito
Informazioni:
Tel. 06/6793598 – 6793526
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ITALIA RICORDA GLI ASCARI
Askari è un termine turco-arabo usato nella zona del Mar Rosso per
indicare il soldato, ora è una parola praticamente ignorata da chi ha
meno di settanta anni ma tra l’epoca di Crispi e la Seconda Guerra
Mondiale fu di grande attualità; indicava il tipico soldato coloniale
arruolato in Eritrea dal Regno d’Italia. Nel Regio Corpo Truppe
Coloniali esistevano altre specialità: dubat, zaptiè, meharisti, savari,
spahis ma nell’immaginario collettivo il termine ascari era il più noto
ed evocava la figura di un indigeno eritreo di buona statura e di smilza
corporatura con un altissimo fez rosso, detto tarabush, una uniforme di
un bianco abbagliante, piedi nudi, una fascia variopinta in vita,
chiamata etega, ad indicare il battaglione d’appartenenza del soldato.
Il corpo degli ascari nacque nel 1885 allorché le truppe italiane
iniziarono l’avventura coloniale occupando Massaua, in Eritrea, e
assoldarono militari sbandati della preesistente guarnigione egiziana;
furono ordinati in buluk, plotoni, al comando di capi locali
successivamente sostituiti da ufficiali nazionali che li organizzarono
in battaglioni e batterie di artiglieria leggera; ebbero una loro
gerarchia che comprendeva il muntaz, caporale, il bulukbasci, sergente,
e lo sciumbasci, maresciallo, personaggio di altissimo riguardo,
anziano, sovente decorato, spesso autorizzato all’uso della pistola.
Iniziarono ben presto a combattere contro i dervisci sudanesi e poi
contro gli abissini distinguendosi per fedeltà e valore; ad Adua
morirono a migliaia e a trecento prigionieri Menelik fece amputare mano
destra e piede sinistro per supposto tradimento della loro razza.
All’epoca furono portati ad esempio di dignità ed onore, di sudditi
felici di “stare taliano”ora cambiati tempi e schemi mentali si può
pensare a loro come a mercenari collaborazionisti, strumento del potere
colonialista.
Furono impegnati nella riconquista della Libia negli anni Venti e poi
dal 1935 nella guerra contro l’Etiopia dando prova di ottime capacità ma
mostrando alcuni limiti dovuti al loro armamento leggero,
all’addestramento eminentemente offensivo, alla difficoltà di
inquadramento e di gestione in momenti critici, alla scarsezza di
ufficiali di buone capacità. Dopo la creazione del Vicereame in Africa
Orientale Italiana i battaglioni ascari prolificarono ma ne risentì la
qualità per l’immissione in servizio di personale di origine etiopica,
per l’ostile propaganda dei resistenti e l’affluire di ufficiali in
parte privi di quel carisma di capo indispensabile per ottenere il
massimo rendimento dalle truppe coloniali; per fare un esempio in caso
di inizio combattimento l’ufficiale che montava su un muletto non poteva
discenderne e defilarsi se non invitato dallo sciumbasci, in caso
contrario perdeva completamente la faccia dinanzi ai suoi.
Dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale le prime sconfitte ebbero
un deprimente influsso sugli ascari non avvezzi alla guerra moderna, non
abituati ai bombardamenti aerei e d’artiglieria, poco portati per natura
alla difensiva e si ebbero defezioni e sbandamenti ma molti, specie
eritrei, combatterono con onore sino al 27 novembre 1941 quando l’
ultimo presidio in A.O.I., a Gondar, cessò la resistenza. A Nyeri, in
Kenya, accanto alla tomba del Duca d’Aosta, morto in prigionia, sono
molte le tombe di ascari fedeli sino alla morte. Ancora oggi alcuni
vecchi soldati di colore riscuotono la pensione che l’Italia
riconoscente ha loro concesso.
Per ricordare queste figure ormai dimenticate al Complesso del
Vittoriano a cura della Stato Maggiore Esercito è stata presentata la
mostra “L’Epopea degli Ascari Eritrei” che rievoca oltre mezzo secolo di
vicende di questi soldati di mestiere che combatterono, uccisero e
morirono per uno Stato che sostanzialmente li occupava, fedeli alla loro
dignità e al loro onore. Sono esposte molte foto, che spaziano dalle
prime azioni di Amba Alagi ed Adua alle ultime tormentate vicende del
fugace impero, alcune uniformi, armi e soprattutto fasce ventriere dai
colori variopinti ultimo ricordo dei battaglioni che inquadravano gli
ascari dai volti scuri e dalle uniformi candide. Una mostra interessante
per i giovani e con effetto nostalgia per gli anziani che potranno
constatare l’abisso temporale e spirituale che separa quei tempi dagli
attuali ben superiore ai poco più di sessanta anni effettivamente
trascorsi.
Roberto Filippi
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