C’ERA UNA VOLTA NAPOLI.
Itinerari ‘meravigliosi’ nelle gouaches del Sette e Ottocento
Roma
Musei Capitolini
Palazzo Caffarelli
Dal 18 settembre al 16 novembre 2003
Orari:
dal martedì alla domenica
dalle ore 9.00 alle ore 20.00
lunedì chiuso
Ingresso solo per la mostra:
intero EURO 4,20
ridotto EURO 2,60
Catalogo
Electa Napoli
Informazioni:
Tel. 06/39967800
www.museicapitolini.org
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LE CARTOLINE DEL GRAN
TOUR
Per gouache, o più familiarmente “guazzo” si intende una pittura del
tipo ad acquarello; tecnica pittorica che comporta l’uso di pigmenti
colorati mescolati con gomma arabica su supporto in carta ottenuta dalla
lavorazione di stracci di filo e preparata con una soluzione di
ammoniaca che la rende idonea a ricevere il colore; il pennello da usare
deve essere molto sottile, preferibilmente di martora, e continuamente
pulito, il dipinto ottenuto è molto delicato e deve essere evitata una
eccessiva esposizione alla luce. Il “guazzo” prevede l’uso del bianco
anziché dell’acqua nella mescola dei colori dando al dipinto un aspetto
opalino, perlaceo, simile al pastello. La tecnica del dipinto su carta
nacque in Inghilterra nella metà del ‘700 ed il maggior pittore del
genere fu il Turner, e Gericault e Delacroix in Francia; in Italia
l’acquarello si diffuse all’inizio nel Napoletano e dopo la metà del XIX
secolo anche nel nord. Ma Napoli tra la fine del ‘700 e la metà ‘800 il
centro di maggior diffusione delle gouaches legate in particolare allo
sviluppo del Grand Tour, il viaggio che nobili e ricchi del Nord Europa
effettuavano in Italia per studiare le antichità classiche e le
innumerevoli bellezze artistiche. Mentre a Venezia era diffusa la
produzione e vendita ai turisti delle immagini su tela dei vedutisti, a
Roma era utilizzato il mosaico minuto riproducente gli antichi monumenti
o i capolavori d’arte, a Napoli ci si indirizzò nella produzione di
opere a guazzo d’ogni genere. A Palazzo Caffarelli, nei Musei
Capitolini, è presentata una mostra dal titolo: “C’era una volta Napoli”
che espone una ottantina di opere divise in tre sezioni che mostrano i
criteri estetici dell’epoca: Classico, Sublime, Pittoresco. Della prima
fanno parte dipinti che rievocano il grande interesse sviluppato nel
tardo settecento dagli scavi in corso ad Ercolano, Pompei e nei Campi
Flegrei, alla seconda appartengono opere che mostrano “mirabilia” in
particolare i fenomeni legati alle eruzioni del Vesuvio ritratto in
tutte le angolazioni e in vari momenti di attività, nella terza,
analogamente ai capricci architettonici e alle scene di genere usate in
altre regioni, vengono proposte immagini folcloristiche fortemente
idealizzate con scene di vita popolare con i caratteristici “mangiatori
con le mani di maccheroni”, navi, donne, pescatori, processioni. Una
serie di opere con colori dolci, tenui, sognanti, che riproducono un
mondo in realtà mai esistito ma immaginato e desiderato, un mondo bello,
ideale, terso, tanto amato dai viaggiatori del Grand Tour imbevuti di
retorico amore per il paese del sole, del bello, dell’antico. Le opere
esposte, molte di ignoto altre di Pietro Fabris, Saverio Della Gatta,
Alessandro D’Anna, mostrano una tecnica perfetta in quanto l’esecuzione
veloce non permette ripensamenti o coperture e richiede mano ed occhio
di grande capacità anche se non sempre alla tecnica si abbina spirito
artistico. Come ha giustamente notato il Soprintendente di Napoli
Spinosa mentre per un certo tempo guazzo ed acquarello erano al servizio
di artisti ben dotati, con la metà ottocento, con l’aumento della
richiesta turistica, si cominciò a scadere nell’oleografia e nella
stanca ripetizione di temi folcloristici. Una mostra di buona qualità
per le opere esposte che si fanno ammirare, divertono e fanno forse
sognare un mondo che fu, o non fu?
Roberto
Filippi
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