Nell'ambito del
"Progetto Valle d'AostArte", viene presentate
la quarta mostra della serie con le opere scelte per la
mostra sono esempi di razionalizzazione e di
semplificazione, di formalizzazione artistica
dell'immagine dei massicci, delle vette e dei pendii
innevati. Sono esposti lavori fotografici, dipinti,
disegni e sculture che rappresentano in primo luogo forme
di stilizzazione della montagna. L'attenzione è rivolta
alla montagna come forma plastica o visiva piuttosto che
al suo significato metaforico o simbolico analizzato
nelle mostre precedenti Mystic Mountains, Far Away So
Close e La montagna disincantata.
L'esposizione
evidenzia i differenti aspetti della personalità di
Marino, presentando una serie di dipinti e sculture che
prendono le mosse dagli anni Venti. Ai soggetti più noti
si affianca una sezione dedicata alle figure e ai
ritratti.
E' la
prima rassegna esaustiva sul divisionismo piemontese e
presenta trenta artisti con oltre ottanta opere. La
mostra prende in considerazione il periodo che va dal
1890 sino alla prima Guerra Mondiale, anche se non
mancano sconfinamenti sino agli anni Trenta.
Le opere
del periodo giovanili dei primi del Novecento agli anni
Dieci e gli arredi provenienti dal castello di Cereseto,
di proprietà del collezionista torinese Riccardo
Gualino, realizzati nel 1925 da Casorati insieme a
Sartoris, per comprendere il significato della metafisica
casoratiana.
Pentole,
culle, grolle, lanterne, ferri da stiro e cavalli a
dondolo diventano lo spunto per una serie di
rielaborazioni in chiave postmoderna realizzate da dodici
designer italiani e stranieri tra cui Alessandro Mendini,
Ettore Sottsass, Vico Magistretti, Aldo Cibic, Pawel
Grunert e David Palterer. A ciascuno di loro è stato
assegnato un oggetto da reinterpretare liberamente in
base al linguaggio della contemporaneità.
L'esposizione
prende in esame il periodo che va dalla fine degli anni
Venti alla prima metà degli anni Sessanta ed è composta
da una serie di "stanze" che sviluppano il
lavoro di uno o più progettisti. Vengono presentati
principalmente disegni d'archivio, fotografie da lastre
d'epoca, stampe, acquerelli, disegni digitali e modelli.
In tal modo, si vuole sottolineare la stretta relazione
tra il contesto alpino l'architettura moderna analizzando
gli importanti risultati raggiunti anche in termini
d'innovazione tecnica e linguistica.
La mostra
nasce per celebrare il cinquecentenario dalla
realizzazione delle carte del Valdarno e della
Valdichiana di Leonardo e per avvicinare il più largo
pubblico di ammiratori del genio vinciano, di cultori
della Geografia e della Cartografia, di curiosi e
appassionati ad una produzione artistica e scientifica
nota solo ad un ristretto pubblico di specialisti.
Oltre sessanta esempi d'artigianato artistico applicato
alla produzione delle armi da fuoco e bianche, dove
predominava l'aspetto decorativo, realizzando, nelle
esigue superfici sottratte alla funzione primaria
dell'oggetto, delle vere e proprie opere d'arte.
Saranno
presentati 200 opere e 10 tra film e video-installazioni
che coprono venticinque anni della sua attività. La
mostra è realizzata dal museo S.M.A.K di Gand (Belgio)
insieme alla GAMeC di Bergamo, al Musée d'Art
Contemporain di Lione e alla Fundació Joan Miró di
Barcellona. La cura è affidata ad un comitato
scientifico composto dai quattro direttori delle
istituzioni sopra citate: Jan Hoet, Giacinto Di
Pietrantonio, Thierry Raspail e Rosa-Maria Malet.
L'allestimento è curato direttamente dall'artista. Jan
Fabre (Anversa, 1958) è uno dei più importanti artisti
contemporanei belgi. Disegnatore, scultore, scenografo,
drammaturgo ha presentato i propri lavori alle Biennali
di Venezia, Istanbul e San Paolo, a Documenta di Kassel.
Sue personali sono state allestite allo Stedelijk Museum
di Amsterdam, allo Sprengel Museum di Hannover, alla
Kunsthalle di Basilea, al MUHKA Museum di Anversa alla
Schirn Kunsthalle di Francoforte. Fabre è un artista che
usa molteplici linguaggi filtrati dalla sua
immaginazione, toccando i temi cari alla tradizione
fiamminga: la follia, la malattia, la morte, la dolcezza
del peccato, la rigenerazione, la forza spirituale. Temi
che prendono corpo in disegni, sculture, scritti, film e
pièces teatrali.
Le opere di Tirelli si
presentano a prima vista come insiemi di forme
geometriche, unità di linee e spazi fatte di
molteplicità ripetute ritmicamente come in un rituale di
ri-presentazione costante. Ma guardando più a fondo e
ascoltando le linee di ricerca che
lartista percorre, si ritrova in questo susseguirsi
di geometrie il gesto trasgressivo della ricerca del
rimosso e il tentativo di ordinarlo finalmente
allinterno del quadrato della tela che Marco
Tirelli non tanto dipinge, ma incarna. Le sue opere
testimoniano una pittura metaforica e poetica, non
unanalisi razionale della geometria e delle sue
possibilità forse ancora innovative, come un calcolo
combinatorio delle forme potrebbe rappresentarle - scrive
il direttore della GAM e curatore della mostra Peter
Weiermair nel saggio introduttivo al catalogo - Tirelli
è interessato al significato poetico della forma, e
paradossalmente anche a quello che le forme stesse
nascondono. Esse trattano perciò dellinvisibile.
Concepiscono il visibile come una sottile epidermide che
ricopre tutto ciò che possiamo soltanto intuire.
Le
stanze metastoriche - come spiega la
curatrice - indicano lancestrale senso della
concertazione, la passione e la purezza,
lincantamento, la condizione contemplativa, il
sentire avverso allossessione dellanima, alla
multicomplessità dei sentimenti. Nelle opere pittoriche
di Massini, artista napoletano, non esiste lio come
soggetto, non esiste lautocelebrazione, bensì la
costruzione di unimmagine che si contrappone a
tutto quello che cerca solamente di affermarsi e di
occupare spazio. Nessun cenno di provocazione
quindi (ma che diventa provocazione stessa), nessuna
battaglia apparente. In queste stanze noi
siamo come dentro ad un paesaggio, in cui mai ci può
essere conflitto, poiché le cose della natura non
rappresentano questa essenza. Sette stanze, quindi, sette
allestimenti composti da oltre 180 dipinti (lottava
sarà dedicata alla fotografia), che vengono destinate ad
individuare quel segno che perdura immortale attraverso
il succedersi degli accadimenti storici, quel colore che
distingue i fenomeni che si mantengono costanti nel
continuo fluire degli eventi, del tempo. Una figurazione
che appare essenziale, per non sottoporre lopera
darte ad un qualunque stato di banalità: Il lavoro
di Massini appartiene infatti alla ricerca
dellimmanenza, al presupposto di realtà
interiormente concatenate ad altre.
Le
immagini di Margherita Morgantin (Venezia 1971) sono
visioni urbane dai colori freddi, spesso abitate dalla
figura dell'artista. Margherita Morgantin tira fuori la
macchina fotografica di nascosto, quando nessuno la vede
per immortalare gli spazi della vita quotidiana alterati
e modificati ad arte dall'introduzione di elementi
estranei capaci di sovvertire i già fragili equilibri
esistenti. E' come una magia, le immagini si condensano,
vacue e sfumate, non offrono alcuna soluzione. Domande,
ancora domande, si avverte uno sguardo obliquo sulla
contemporaneità, un commento a bassa voce alla vita e
alla società di oggi, immagini dove fragilità e
vulnerabilità sono condizioni vissute e talmente
presenti nel paesaggio da potere essere scambiate per
elementi dell'ambiente stesso.
In
occasione di Arte Fiera presso la Galleria d'Arte Moderna
di Bologna sarà inaugurata la mostra "TEXT
WORKS": si tratta di un'esposizione dedicata al
complesso ruolo che parole e testi giocano all'interno di
opere d'arte degli ultimi 30 anni provenienti da Museion,
il Museo d'arte moderna e contemporanea di Bolzano.
Museion da anni ha incentrato un'importante parte della
propria attività collezionistica sui legami tra arte e
linguaggio trovando in questa ricerca una propria
specificità. Tale specificità, che riflette una
fondamentale tendenza dell'arte del ventesimo secolo, si
esemplifica in particolare in opere monumentali, per lo
più realizzate su commissione e pensate per occupare una
singola stanza. Le opere saranno presentate negli spazi
della GAM così come sono stati concepiti per il
patrimonio museale bolzanino: in singole sale saranno
esposte le installazioni di Barry, Fleury, Gappmayr,
Gerz, Long, Mullican, Nannucci, Weiner e Zaugg.
Nel 1973
usciva il libro di Aldo Gorfer, dedicato ai contadini di
montagna delle valli più isolate ed impervie del
Sudtirolo con le splendide fotografie di Flavio
Faganello. Nessuno prima di allora aveva mai raccontato
la storia segreta di chi abitava la montagna nei suoi
risvolti meno amabili. A trent'anni di distanza un
viaggio fotografico con Flavio Faganello sulle tracce di
Aldo Gorfer nei masi più alti delle valli sudtirolesi.
Una ricerca di quel che è rimasto dell'antica solitudine
fissata trent'anni fa nelle foto di Flavio Faganello e
nello struggente racconto di Aldo Gorfer, lo scrittore
che forse maggiormente ha contribuito a dischiudere ai
lettori di lingua italiana e agli stessi sudtirolesi il
mondo nascosto dell'antica civiltà del maso, un
microcosmo economico autosufficiente, fondamento
dell'unicità di una cultura sopravvissuta nei secoli a
guerre, invasioni e tentativi di deculturazione. La
mostra propone foto scattate nel corso del primo
reportage e foto scattate nel corso dell'ultimo inverno;
una scelta, quella dell'inverno, per poter cogliere con
immediatezza la realtà dell'isolamento e i pericoli ad
esso collegati, una scelta per mettere in evidenza il
contrasto tra la vita dei centri urbani e quella dei
"Bergbauerhöfe" i contadini della montagna
sudtirolese.
In
mostra, accanto alle Domus, le non meno eccezionali
testimonianze della Brescia romana raccolte nelle
collezioni archeologiche di Santa Giulia.
Lemozionante percorso espositivo continua anche al
di fuori del Museo con gli itinerari che porteranno i
visitatori a scoprire o riscoprire le grandi
testimonianze romane della città, primo fra tutti il
celebre Capitolium. Le Domus dellOrtaglia,
eccezionale tesoro archeologico, tra i maggiori nel
territorio dellimpero romano a nord del Po, sono
state per secoli occultate dalle ordinate file di legumi,
zucche e cicorie che le monache di Santa Giulia
coltivavano nella loro Ortaglia, preservando,
inconsapevolmente, in questo modo, nel pieno centro di
Brescia un quartiere della città romana, collocato entro
la cinta muraria, a poca distanza dal Capitolium e dal
Teatro. Unarea che in epoca antica era stata
interrata dal lento smottamento delle retrostante
collina. Quella terra, poi coltivata dalle monache, ha
ricoperto un nucleo di abitazioni sicuramente
appartenenti a famiglie molto agiate comè
testimoniato dalla ricchezza delle decorazioni e dalla
complessità dellimpianto architettonico.
L'iniziativa
coinvolge quelle realtà culturali presenti a Catania che
attraverso la complessità delle loro identità stanno
interagendo con il tessuto sociale ed intellettuale della
città. Con "EXTRA-ordinario" si è inteso dre
vita all'interazione tra le ricerche di alcuni artisti e
le culture presenti sul territorio (ecuadoriana,
colombiana, peruviana, venezuelana, brasiliana,
senegalese, toghese, eritrea, congolese, zairese,
polacca, russa, rumena, cinese, indiana, cingalese,
mauriziana, filippina, turca, tunisina, marocchina,
libanese, algerina) con il preciso scopo di affermare il
Valore dell'essere. Alla base di questa iniziativa c'è
l'idea che in una società che ha evidentemente perso i
propri valori di riferimento e che tende sempre più a
chiudersi in se stessa, diviene imprescindibile la
rivalutazione dell'individuo in quanto tale, prescindendo
dalle origini, dalle culture di riferimento e dalle
identità. In altre parole ponendo in essere una
necessaria riflessione sul tema delle differenze.
La mostra
è un omaggio, nel decennale della morte, alla storia
artistica di Testori ed è la prima volta che viene
documentata in tutte le sue sfaccettature. Partendo da
alcuni lavori degli anni Quaranta di carattere
picassiano, quasi tutti sconosciuti, sino alle opere
degli ultimissimi anni, contribuiscono a chiarire
l'intera sua poetica nella sua produzione letteraria che
pittorica.
L'esposizione,
presenta, per la prima volta al grande pubblico, la
raccolta costituita da sessantacinque opere grafiche,
disegni eseguiti a matita, penna, china, pastelli
colorati, acquerelli oltrechè incisioni ad acquaforte e
a puntasecca. I Disegni e le incisioni di Umberto
Boccioni, acquisite nel 1996 dallo Stato e destinate alla
Galleria Nazionale di Palazzo Arnone, provengono dalla
Collezione Lydia Winston Malbin, collezionista americana
che nutrì una forte passione per il Futurismo e che in
precedenza le aveva acquistate dalla sorella
dell'artista, Raffaella. La raccolta rappresenta un
unicum in Italia e nel mondo. La collezione originale
comprendeva centoventi opere grafiche e in mostra per
ricostruire idealmente l'intera raccolta, saranno esposte
le riproduzioni fotografiche di quelle mancanti .
Come
interpretarono il genio di Shakespeare e la sua poesia i
grandi pittori europei del Settecento e dell'Ottocento?
È questa la domanda a cui intende dare risposta la
mostra, presentando, per la prima volta al pubblico
italiano, l'affascinante repertorio di immagini scaturito
da quell'incontro straordinario. All'inizio i pittori
intendono illustrare nei loro dipinti singole
rappresentazioni teatrali, nello spirito della
ritrattistica realistica del tempo, ma poi, nel contesto
di un'incipiente gusto preromantico, essi arrivano a
emulare la stessa forza di suggestione dell'opera
shakespeariana, sottratta al teatro e consegnata al solo
ambito della poesia e dell'immaginazione. Le prime tre
sale introducono nel cuore di questa situazione. Se
Hogarth e Hayman, tipici esponenti della cultura
illuminista, offrono vivide raffigurazioni di saggi di
recitazione e di scenografie, i pittori influenzati
dall'estetica del sublime si liberano da qualsiasi
suggestione desunta dalle produzioni teatrali e lavorano
a opere frutto di un'accesa immaginazione, quasi
competendo con il poeta. Dipinti e disegni capitali di
Füssli, Blake, Romney e di altri conducono con forza il
pubblico in una dimensione ora eroica, ora terrificante,
ora onirica, sottolineando gli aspetti più visionari
dell'opera di Shakespeare.
La mostra si propone
dillustrare, nei suoi diversi aspetti,
levoluzione della nostra lingua nei secoli, dalle
origini fino a oggi. Il visitatore sarà guidato nel
mondo affascinante della lingua italiana, e ne osserverà
i principali fenomeni da un nuovo punto di vista. Potrà
così apprezzare le differenze legate alle diverse
epoche, alle diverse aree geografiche, ai diversi usi
dellitaliano, il suo stretto legame con la cultura
nazionale e i fecondi scambi con le tradizioni delle
altre grandi lingue di cultura.
La mostra, che rientra
in un programma più ampio di recupero di Palazzo Medici
Riccardi come Centro Mediceo e ponte tra i secoli dei
Medici e la modernità, nasce con l'obiettivo di
recuperare quella funzione artistico-museale intrinseca
al Palazzo che fin dal XVI sec., in ragione dei diversi
passaggi di proprietà, (residenza dei Medici e poi dei
Riccardi e oggi sede della Prefettura e della Provincia),
ha visto più volte modificate la sua fisionomia interna
nella struttura, nelle decorazioni e negli arredi. Il
percorso espositivo si articola attraverso oggetti
segreti e mai visti, collocati attualmente nei locali
della Provincia e della Prefettura, quali ritratti,
marine, nature morte, paesaggi, ai quali si aggiungeranno
una serie di dipinti che rappresentano una sezione
importante del patrimonio delle Gallerie di Firenze.
L'esposizione, fatta di pochi oggetti selezionati per
generi, restituisce alla godibilità e alla memoria il
Museo Mediceo, allestito nel 1929 da molti dimenticato o
ritenuto scomparso.
Per
rendere omaggio alla grande tradizione romagnola della
coltivazione razionale della vite, la mostra prende in
esame splendide opere pittoriche e memorabili manifesti
pubblicitari ispirati alle atmosfere del
"bere". Nel percorso viene proposte una serie
di opere realizzate dagli artisti del Novecento italiano
che si sono ispirati ai luoghi e alle modalità del
"bere": il caffè e l'osteria di Severini,
Mafai e Depero, le bottiglie di vino di Oriani, Rizzo e
Cagnaccio di San Pietro o i bevitori di Bacci e
Baldessari. I manifesti esposti sono i migliori della
produzione italiana che grandi grafici come Dudovich a
Metlicovitz hanno dedicato a importanti aziende italiane
come Martini, Campari, Cora, Ruffino. La qualità e
l'originalità dei manifesti e dei dipinti in mostra è
garantita dal Massimo&Sonia Cirulli Archive di New
York, inesauribile archivio di arte del Novecento. Il
percorso espositivo si chiude con una rassegna di studi
di packaging e design realizzati da Cinzano, Gancia,
Isolabella, dall'inizio del secolo fino agli anni
quaranta.
La mostra
prende avvio dalle tematiche mitologiche legate alle
Metamorfosi di Ovidio e si sviluppa attraverso un vasto
repertorio iconografico, che punta a verificare le
interpretazioni maturate ad opera degli artisti attivi
nelle aree considerate tra Sei e Settecento. Il mito,
visto attraverso scansioni tematiche sempre connesse
all'affermazione del "barocco mediterraneo",
costituisce il filo conduttore di un confronto tra
momenti e realtà pittoriche diverse.
La mostra
vuole far conoscere la figura e l'opera di Matteo Ricci
attraverso la presentazione dei temi principali
dell'incontro tra civiltà europea e cinese tra il 1580 e
il 1610. Nell'incontro con il Paese del Drago, Li Madou
è portatore non solo di una religione, quanto di una
intera civiltà caratterizzata da una precisa filosofia,
teologia, scienza e arte. Da qui la necessità di
documentare la preparazione culturale e scientifica di
Ricci e ricostruire il contesto storico mostrando così
il significato e il valore dell'impresa compiuta dal
gesuita e dai suoi compagni: aver vinto la secolare
diffidenza e paura dei cinesi nei confronti degli
stranieri e aver avviato un lavoro straordinario di
diffusione della conoscenza reciproca tra mondo
occidentale e orientale nel campo delle scienze, della
filosofia e della religione. Matteo Ricci per primo fa
conoscere all'Occidente la civiltà cinese con la
pubblicazione della sua Storia, con le Lettere e la
traduzione latina dei Quattro libri di Confucio, ora
perduta.
In mostra
sono proposte 110 opere del maestro livornese (1884
Livorno, 1920 Parigi), per buona parte dipinti che
percorrono l'intero arco della sua breve e grande
attività. La cura della mostra è affidata a Marc
Restellini, coadiuvato da un comitato scientifico.
L'intento della rassegna è quello di sottrarre la figura
di "Modì" alle proprie vicende biografiche,
che ne hanno fatto quasi esclusivamente il prototipo
dell'artista "maledetto", per riconsegnargli il
ruolo che gli spetta all'interno della comunità
artistica dei primi del Novecento.
La mostra
si propone di sostituire ai luoghi comuni
tradizionalmente associati all'asfalto una diversa
percezione di questo materiale, che costituisce per la
città moderna e contemporanea ciò che il calcestruzzo
armato, il ferro e il vetro hanno costituito per
l'architettura moderna. Attraverso la descrizione delle
sue caratteristiche, la storia del suo rapporto con la
città a partire dalla sua apparizione nella Parigi e
nella Londra del primo Ottocento, il racconto della sua
mitizzazione come materiale ideale o come il nemico della
città storica e dell'ambiente, la rappresentazione della
sua presenza nel nostro mondo quotidiano nei luoghi e
nelle forme più inaspettate, la mostra non intende solo
sfatare un luogo comune, ma raccontare la complessità e
la varietà dei problemi della città e del territorio
contemporaneo. L'asfalto è ormai parte integrante della
nostra immagine della città, e del nostro stesso
immaginario. Non possiamo più sfuggirgli: ci mancherebbe
la terra sotto i piedi.
La nuova
proposta espositiva, nell'ambito della serie "Brera
mai vista", è dedicato a due tavolette di predella
di Benozzo Gozzoli, finora mai esposte in Pinacoteca.
"Una
nube nera, terribile... Udivo i gemiti delle donne, i
gridi dei fanciulli, il clamore degli uomini: gli uni
cercavano a gran voce i genitori, altri i figli, altri i
consorti, li riconoscevano dalle voci; chi commiserava la
propria sorte, chi quella dei propri cari: ve n'erano che
per timore della morte invocavano la morte." (Plinio
il Giovne, Epistole, VI, 20)
Dopo la
tappa di Monaco torna a Napoli una grande mostra curata
da Mina Gregori sui maestri italiani della natura morta:
Caravaggio, Strozzi, Baschenis, Porpora,
Recco
E' dal 1946 che Napoli non ospita la
mostra sulla natura morta; molte tra le 200 opere esposte
sono frutto di studi e scoperte dell'ultimo
cinquantennio.
Rotelle,
bulini, punte, punzoni incidono direttamente le lastre,
gli acidi, le morsure e le tecniche sperimentali sono gli
ingredienti delle sue alchimie. Le matrici si affidano a
mani esperte, a torcolieri capaci di registrare ogni
piccolo soffio ed imprimerlo su carta pregiata. Luce
Delhove ha sempre lavorato sul metallo incidendo rame e
zinco quindi fendendo la materia, cerca ora di
ricostruirla, ricomponendo la trama metallica imprimendo
tessuti sulla carta per arrivare in modo preponderante
alle volumetrie delle sculture impresse.
La più
ampia mostra sui Macchiaioli che sia stata realizzata in
questi ultimi anni, oltre 130 opere e tra esse molti dei
capolavori del movimento, riuniti in un percorso di
grande valenza spettacolare. Sono opere concesse da
importanti istituzioni pubbliche come la Galleria d'arte
moderna di Palazzo Pitti, la Pinacoteca di Brera a
Milano, la Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma e il
Museo Nazionale di Capodimonte a Napoli, unite ad altre
meno note al pubblico e provenienti dalle più
prestigiose collezioni private.
La mostra
intende presentare gli scenari degli anni '60
intrecciando tra loro arti visive, design e architettura.
Attraverso queste discipline, affrontate con un'inedita
verve investigativa, entreranno in gioco molte
implicazioni attinenti altri campi espressivi e
comunicativi come il cinema, la televisione, la musica,
la fotografia e la moda. I media e i consumi divennero i
due pilastri sopra i quali prese forma il volto della
società di massa. La pubblicità rese desiderabili i
nuovi prodotti che rapidamente stavano cambiando i
costumi sociali e culturali. Nacque il mondo nuovo delle
merci che attinse motivi e strategie formali dal bacino
ricco e quanto mai vario delle sperimentazioni
artistiche.
Dopo tre
anni di lavoro è stato restaurato il capolavoro
dell'oreficeria palermitana del Seicento, grazie
all'Opificio delle pietre dure di Firenze e all'uso del
laser, che ha permesso di ricostruire l'ostensorio che
130 anni fa fu trafugato, nella notte di Natale del 1870
dal Real Museo di Palermo, e frantumato in più di 300
pezzi per essere fuso e venduto. La mostra documenta i
vari passaggi della ricomposizione di questa pregevole
opera tempestata di pietre preziose.
La
rassegna comprende oltre cento opere, tra le quali, per
la prima volta, un importante nucleo di dipinti inediti
appartenuti a Bucci stesso, che l'artista aveva sempre
gelosamente conservato presso di sè, destinandoli a una
collocazione museale. Il percorso espositivo documenta
tutta la ricerca pittorica di Bucci, dal simbolismo e dal
post-impressionismo dei primi anni del secolo, quando
l'artista vive a Parigi, alla stagione del Novecento
Italiano, di cui negli anni venti è uno dei fondatori,
fino al naturalismo lirico degli anni trenta. Sono
esposti tutti i principali capolavori dell'artista, dal
grande Autunno, apprezzato da Apollinaire, al suggestivo
Il Kimono del 1919; da Inverno in riviera(1912) e dalla
serie di paesaggi di Cagnes, dipinti con particolare
felicità cromatica durante un viaggio nel sud della
Francia, al Funerale dell'eroe del 1917; dal celebre I
pittori, esposto alla Biennale di Venezia del 1924, alla
Quercia del 1932, esempio del cromatismo lirico degli
anni trenta. Sono esposte anche le curiose, piccole
tavole dedicate al Giro d'Italia, dipinte nel 1940,
quando, insieme con Orio Vergani, Bucci segue il Giro
dominato da Fausto Coppi.
La mostra
si articola proprio attorno a questa esperienza teatrale,
che è strettamente in linea con la poetica mariniana, e
presenta per la prima volta, nella sala del Museo Marini
dove è custodito il ritratto in argento del musicista, i
bozzetti della rappresentazione scaligera, conservati
negli archivi del teatro milanese. Questi saranno
affiancati da una ricca documentazione fotografica sulla
rappresentazione, mentre nelle altre sale del museo,
riallestite per l'occasione, viene organizzata una scelta
di opere (in parte di proprietà del museo stesso, in
parte provenienti da collezioni pubbliche e private) che
documentano con un percorso breve ed esemplificativo
quest'aspetto finora considerato, a torto, marginale.
La
rassegna, prima mostra pubblica che Potenza dedica al
grande maestro italiano, prende il titolo dalla celebre
autobiografia dell'artista recentemente ripubblicata
(Carlo Carrà, La mia vita, a cura di Massimo Carrà,
Milano, Abscondita, 2002) e comprende oltre settanta
opere, che ripercorrono la sua ricerca sia nel campo del
segno che in quello del colore. Il percorso espositivo
documenta, attraverso una serie selezionata di dipinti e
disegni, tutta l'opera di Carrà, dal giovanile realismo
al divisionismo e alla stagione futurista, dal periodo
metafisico a quello del "realismo mitico" degli
anni Venti e Trenta, fino alle opere del dopoguerra. La
mostra si apre con una sala di autoritratti dell'artista,
e con una serie di importanti ritratti a lui dedicati: da
quello di Boccioni, che esegue un ritratto di Carrà nel
1911, a una caricatura di Marinetti; da Manzù, che ne
ambienta la figura nello spazio, rappresentandolo in un
momento di assorta riflessione, a Marino Marini, che si
concentra sul suo volto intenso e segnato. La rassegna
prosegue mettendo a fuoco le diverse stagioni del
percorso artistico di Carrà. Il periodo futurista è
documentato con una serie di disegni, tra cui Ritmi di
bottiglia e bicchiere del 1912, in cui l'artista dialoga
con Picasso, Guerra navale sull'Adriatico (1914),
documento dell'interventismo che percorreva il movimento
futurista, e Cineamore, esempio delle "tavole
parolibere", ispirate ad Apollinaire, a metà fra
poesia e pittura, che Carrà realizza nel 1914-15.
La mostra, attraverso oltre 180 tra dipinti e sculture e un vasto repertorio di documenti, si propone di offrire un quadro esaustivo degli interventi critici di Longhi sull'arte dell'Otto e Novecento, lungo un arco cronologico secolare che va da Courbet e gli Impressionisti francesi fino alla metà degli anni '60 del XX secolo. Saranno così documentati, con una sequenza rigorosamente filologica di opere molto rappresentative - scelte, per quanto possibile, tra quelle stesse citate dallo studioso - tutti gli artisti di cui egli si è occupato in saggi, presentazioni, lettere, recensioni, rapide ma illuminanti notazioni critiche. Le opere in mostra provengono da Musei italiani (tra cui la Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, la Galleria d'Arte Moderna di Torino, la Pinacoteca di Brera di Milano) e stranieri (tra cui il Musée d'Orsay e il Centre Pompidou di Parigi, la Guggenheim Collection), da importanti collezioni private e dalla stessa Fondazione Longhi di Firenze.
Dopo il
ritrovamento, la fine dei difficili lavori di scavo e
lunghi accurati restauri, I Tappeti di Pietra - come li
battezzò con felice intuizione Federico Zeri - si
potranno finalmente ammirare nella loro collocazione
originaria. L'avvenimento, fra l'altro, cade
nell'anniversario dei 1600 anni di Ravenna capitale
dell'Impero Romano d'Occidente. Si potranno ammirare nel
loro impianto originario le splendide superfici musive,
figurate e policrome, frutto di una tecnica
notevolissima, come "la Danza dei Geni delle
Stagioni", rarissima iconografia che mostra i geni
delle stagioni danzare in cerchio al suono di una
siringa, o la figura del "Buon Pastore" in una
versione differente dall'usuale iconologia cristiana. E
ancora, si possono ammirare frammenti dai fantasiosi
motivi geometrici che decoravano stanze di
rappresentanza, corridoi, cortili e ninfei di quello che
probabilmente era il sontuoso palazzo di un personaggio
di rango della corte ravennate.
Una rara
selezione di 125 opere del Rinascimento italiano per dare
un quadro suggestivo e altamente evocativo della vita
delle corti italiane dei secoli XV-XVI e che nel corso
dell'800 importanti collezionisti russi hanno raccolto
per diventare oggi uno dei tesori della raccolta del
museo statale dell'Ermitage.
L'iniziativa
offrire l'occasione per conoscere, grazie all'esposizione
di 13 sculture, lo stretto e travagliato rapporto tra
François-Auguste René Rodin e Camille Claudel. Di
Rodin, sempre provenienti dal Museo Rodin di Parigi
vengono anche presentati 40 disegni e acquerelli
"erotici", il prestito più consistente mai
concesso dal museo francese.
A
dispetto del ragguardevole numero di specie animali
conosciute, l'Uomo sembra sentire sempre il bisogno di
inventarne delle nuove: un bisogno che si avverte già
nella preistoria e che, nel corso dei millenni, va ad
arricchire un bestiario fantastico di insospettabili
dimensioni. Dal celebre "Unicorno" della grotta
di Lascaux al Sirrush dei Babilonesi, dalle Sirene dei
Greci al Leviatano della tradizione ebraica, il catalogo
dei cosiddetti "mostri" prende sempre più
corpo col passare del tempo e, paradossalmente, con il
progredire delle conoscenze. Nati forse per motivi legati
alla magia o alla religione, gli animali fantastici
finiscono per assumere una dimensione reale grazie
all'accettazione acritica dei testi antichi, ai racconti
fantasiosi di viaggiatori e avventurieri, ad abili
contraffazioni dei tassidermisti, a errate
interpretazioni di resti fossili o di carcasse
decomposte. E se oggi nessuno crede più a unicorni,
draghi, basilischi o manticore, nuovi animali hanno preso
il loro posto: il mostro di Loch Ness, lo Yeti, il
Mokele-m'bembe... e un'incredibile e colorita varietà di
altre creature che sembrano fatte apposta per stimolare
la nostra curiosità e per alimentare i nostri sogni. O,
a scelta, i nostri incubi.
La mostra, uno
sguardo sull'arte contemporanea messicana, accosta ad
artisti ormai conosciuti a livello mondiale, come
Francisco Toledo, Rodolfo Morales, Sergio Hernandez, Luis
Zarate, i nuovi talenti che ne rinnovano la tradizione
con singolare vitalità: Guillermo Olguin, giovane ed
affascinante enfant terible, che dipinge sogni e visioni,
adolescenti ed animali con forte carica espressiva;
Maximinio Javier, che ripropone sulle sue tele i
personaggi del suo villaggio natale in vere e proprie
saghe di paese; Filemon Santiago, nelle cui opere c'è
tutta la poetica messicana, il deserto, le donne, i
colori; Ruben Leyva i cui segni quasi geometrici ci
parlano della magia e degli elementi atmosferici;
Alejandro Santiago, le cui grandi tele materiche
restituiscono la festa dei colori della sua terra.
L'esposizione
mira ad affrontare e analizzare il particolare rapporto
che si instaura nel lavoro di quegli artisti che hanno
condiviso, oltre alla passione per l'arte, anche un
cammino di vita insieme, per lo più come marito e moglie
o compagni, ma anche, nel caso di Suzanne Valadon e
Maurice Utrillo come madre e figlio. Cammino che si
interrompe prematuramente, per Georg Schrimpf e Maria
Uhden morta a 26 anni dopo solo un anno di vita in comune
con il marito artista, oppure durato tutta la vita come
per Michail Larionov e Natalija Goncarova o Robert e
Sonia Delaunay, o infine chiuso dopo una lunga convivenza
per aprire nuovi capitoli di vita e di arte, come è
avvenuto nel caso Wassily Kandinsky e Gabriele Münter o
Alexej Jawlensky e Marianne Werefkin. L'affascinante
percorso sottolinea così i rapporti e gli aspetti
singolari, le affinità e le divergenze, l'immaginario
comune o anche completamente opposto, la forza
dell'unione o la difficoltà della creazione, che lega
figure unite nell'arte e nella vita.
A
Bernardino Drovetti, uno dei massimi collezionisti di
antichità dell'800 e Console Generale di Francia in
Egitto, viene dedicata una mostra che ripercorre le tappe
più significative della sua vita. Sono circa 3000 gli
oggetti di cui riesce ad entrare in possesso, dando vita
alla collezione che, nel 1824, sarebbe stata acquistata
dai Savoia per la fondazione del primo museo di
Antichità Egizie del mondo. In seguito nasceranno quella
del British Museum e quella del Louvre - quest'ultima, in
massima parte, formata dallo stesso Drovetti.
Un gruppo
di amici, fra cui il famoso fotografo modenese, a
distanza di vent'anni, decide di ripercorrere la mitica
Route 66 che li aveva visti in gioventù attraversare
l'America profonda di Steinbeck e di Kerouac
nell'atmosfera hippy della poesia di Allen Ginzberg. Dal
viaggio, realizzato nel 2001, nascono queste 152
fotografie che dimostrano, oltre ogni legittimo dubbio,
che percorrere quel nastro d'asfalto ormai fuori corso
non è affatto, come potrebbe apparire, un viaggio nel
passato. E' invece un viaggio nel futuro, è vedere noi
stessi, la nostra civiltà, come la vedranno fra mille
anni gli archeologi di un'altra civiltà. La US Route 66
inizia in Adams Street a Chicago e dopo 4.000 chilometri,
tre fusi orari e otto stati, termina a Los Angeles
all'incrocio del Santa Monica Boulevard con Ocean Avenue.
Fu istituita negli anni '20 per dotare gli USA di una
rete stradale capace di soddisfare il crescente traffico
automobilistico e il forte sviluppo dell'economia
particolarmente nell'Ovest. Negli anni '70 la nuova rete
di strade veloci a quattro corsie (le Interstate) hanno
permesso, evitando i centri urbani, collegamenti più
veloci, determinando in meno di dieci anni la scomparsa
di tutto quel mondo di motel, ristoranti, pompe di
benzina, e persone, la cui fortuna dipendeva dalla Mother
Road. Nel 1994, la 66 è passata sotto la protezione
dell'amministrazione federale dei parchi diventando
"monumento nazionale": è l'unica strada al
mondo ad avere ottenuto questo status; inoltre, con le
sue 2.248 miglia, è anche il parco più lungo mai
istituito.
I
Moderni/The Moderns è una mostra collettiva che esplora
i modi in cui artisti contemporanei emergenti riflettono
oggi sui temi del modernismo e della modernità. La
mostra, curata da Carolyn Christov-Bakargiev ed allestita
nella Manica Lunga, presenterà opere di più di venti
artisti, tra i quali: Haluk Akakçe, Ricci Albenda,
Massimo Bartolini, Elisabetta Benassi, Tacita Dean, Tom
Friedman, Liam Gillick, Arturo Herrera, Evan Holloway,
Brian Jungen, Jun Nguyen-Hatsushiba, Jim Lambie, Daria
Martin, Julie Mehretu, Susan Philipsz, Jorge Pardo, Paul
Pfeiffer, John Pilson, Sarah Sze e Piotr Uklanski. In
mostra vi saranno sculture, installazioni, proiezioni,
dipinti, progetti sonori e concepiti per il web.
Una
mostra tutta dedicata al colore, con circa 100 dipinti
racconterà una delle storie più avvincenti della
pittura a cavallo tra XIX e XX secolo. Il viaggio che
tutti i pittori francesi, o cresciuti in quell'ambito,
hanno compiuto in Costa Azzurra e in Provenza.
L'esposizione prenderà il via con un'opera rarissima di
Cézanne, nella quale il pittore ricostruisce a memoria,
e d'invenzione, un paesaggio di Provenza. È così che
dalla proiezione mentale si passerà poi, sempre con
Cézanne, ad altri due suoi paesaggi degli anni settanta,
uno addirittura di neve. Ed è sul finire del decennio
che appaiono i primi suoi capolavori con il golfo
dell'Estaque, che segneranno l'ingresso tanto rilevante
dell'azzurro. La rassegna troverà un suo finale impatto,
quasi monografico, nella ventina di opere esposte di
Pierre Bonnard, fino ai mesi estremi della sua vita nel
ritiro di Le Cannet. A celebrare una delle presenze più
radicalmente innovative della pittura del XX secolo.
La mostra
intende proporre una visione complessiva dell'arte di
Dudovich. Accanto all'ovvia presenza dei manifesti (una
ottantina che vedono l'artista impegnato a pubblicizzare
grandi nomi tra cui Ricordi, La Rinascente, Assicurazioni
Generali, Agfa, Borsalino, Pirelli, Campari e altri
ancora) quasi tutti di grande formato, sgranati
cronologicamente dagli inizi del secolo ad alcuni esempi
delle prove più tarde, saranno inoltre esposti, si
affiancano alcuni bozzetti di grande e medio formato
realizzati per manifesti poi realizzati a stampa, in modo
da seguire con netta evidenza l'iter creativo
dell'artista, un numero significativo di dipinti
(Dudovich fu anche importante pittore, con presenze ad
alcune Biennali veneziane), una selezione di opere di
grafica minore, a testimonianza dell'enorme attività di
illustratore svolta da Dudovich in più di mezzo secolo.
L'intento è quello di realizzare una rassegna
spettacolare e suggestiva, ma anche "anomala",
dal taglio inedito e singolare, per superare lo scontato
e riduttivo cliché di un Dudovich "cartellonista
delle donnine", e per rendergli ciò che
doverosamente gli spetta, cioè un ruolo di straordinario
e preveggente comunicatore.
Oltre 100
opere che illustreranno quella grande rivoluzione
culturale e del gusto che è stata l'avventura dell'arte
astratta. I maggiori interpreti dell'astrattismo, con una
decisa e fondamentale presenza di molte delle grandi
opere del suo caposcuola Vasily Kandinsky, troveranno
spazio in un contesto classico che vi stupirà per
l'eleganza e la bellezza. Vasily Kandinsky è stato un
pioniere dell'astrattismo: un linguaggio di forme, linee
e colori che esiste esclusivamente nell'immaginazione
artistica senza alcun riferimento alla realtà che ci
circonda. Come alternativa al realismo e alla
rappresentazione l'astrattismo fu una delle influenze
determinanti nell'arte del XX secolo. Kandinsky e
l'avventura astratta documenta tutti i principali momenti
della lunga carriera dell'artista, dagli inizi nella
Monaco della Secessione, al ritorno in Russia durante la
prima guerra mondiale e la rivoluzione bolscevica,
attraverso gli anni di insegnamento al Bauhaus di Weimar
e Dessau, per arrivare agli anni '30 quando si
trasferisce a Parigi dove muore nel 1944. A fare da
sfondo ai capolavori di Kandinsky sono opere e sculture
di amici e contemporanei: espressionisti (come Kirchner e
Nolde), compagni del movimento del Blaue Reiter (Marc e
Klee), astrattisti olandesi (Mondrian, van Doesburg),
compatrioti russi (Pevsner, Gabo, Lissitzky, Malevich),
colleghi del Bauhaus (Albers, Moholy-Nagy), figure di
rilievo dell'avanguardia parigina (Arp, Hélion, Léger,
Miró, Ernst, Picasso), seguaci (Bauer, Pollock) e
ultima, una delle sue benefattrici, la baronessa Rebay,
artista, teorica dell'astrattismo e prima direttrice del
Museo Solomon R. Guggenheim.
La 50.
Esposizione Internazionale d'Arte della Biennale di
Venezia si presenta quest'anno come una "mostra
delle mostre" che si svilupperà nei diversi spazi
dell'Arsenale, all'interno degli storici Giardini della
Biennale, al Museo Correr e altri spazi in città, che
come degli Interludes, renderanno ancora più ampia
questa edizione, la Cinquantesima, della Biennale d'Arte.
Francesco Bonami ha voluto nel suo progetto valorizzare
l'unicità della struttura espositiva della Biennale di
Venezia per costruire una grande rassegna internazionale
che prenda in considerazione le diversità che compongono
la realtà artistica contemporanea e per questo, si
comporrà di diversi progetti (come isole di un
arcipelago), ognuno con una sua propria identità e
autonomia.
L'esposizione si compone
di circa sessanta opere che documentano l'evoluzione del
suo linguaggio dalle prove giovanili vicine
all'espressionismo astratto ed al surrealismo, fino alla
realizzazione delle sculture monumentali in bronzo,
ferro, acciaio, marmo e granito che lo hanno reso famoso
nel mondo, forme semplici, pure, che tendono
all'essenzialità della linea geometrica. Il contatto con
le grandi strutture urbane delle metropoli statunitensi
stimola la sua ricerca verso una dimensione tesa al
dialogo con lo spazio esterno, di cui la scultura diviene
elemento essenziale.
La
cittadina di Murnau in Germania, situata nelle prealpi
bavaresi a 60 km da Monaco, deve buona parte della sua
fama ai soggiorni estivi di illustri artisti appartenenti
alla "Neue Künstlervereinigung München"
(1909) e quindi al "Blaue Reiter" (1911).
Il Museo
propone ai bambini la scoperta del geniale artista che ha
dipinto il quadro più famoso del mondo, La Gioconda. Le
scatole di colori di Leonardo è un'esposizione-gioco
che, attraverso una scelta di riproduzioni delle opere
più significative di Leonardo da Vinci presentate in
quindici valigie giganti, introdurrà dapprima i bambini
all'epoca in cui è vissuto e ai principali avvenimenti
della sua vita, per trascinarli poi alla scoperta di
molteplici aspetti della sua opera. Nel percorso ludico
interattivo scopriranno alcuni suoi dipinti, il fascino
dei suoi paesaggi fatti di acque, rocce, piante; disegni
e caricature; il sorriso della Gioconda; l'affresco
dell'Ultima cena; le sue curiose ma anche temibili
invenzioni; potranno travestirsi come i suoi personaggi o
sperimentare il funzionamento della scala doppia...
L'atelier del museo diventerà per l'occasione la
"bottega" di Leonardo da Vinci dove i bambini
potranno avvicinarsi alle sue opere attraverso laboratori
legati allo studio dello sfondo e della natura, alle sue
scoperte, al sorriso della Gioconda...
la
mostra, dedicata all'opera dei 18 artisti spagnoli più
significativi del XX secolo, essa punta a mettere a fuoco
l'importante ruolo svolto dagli artisti di origine
spagnola nella nascita e nello sviluppo dell'arte moderna
e poi nella sua evoluzione lungo tutto il XX secolo, fino
ai nostri giorni. Con oltre 70 opere non viene offre solo
una panoramica generale delle tendenze più significative
dell'arte contemporanea, ma soprattutto la coerenza
dell'evoluzione delle forme nell'arte spagnola,
testimoniando una logica unitaria che si è mantenuta
malgrado il trasferimento di numerosi artisti fuori del
territorio nazionale. In effetti la decisione di alcuni
di essi, all'inizio del secolo passato, di trasferire il
loro luogo di attività a Parigi e il fatto che la loro
creazione abbia avuto diffusione là, hanno contribuito a
indebolire all'estero la percezione del percorso compiuto
dall'arte spagnola del XX secolo.
Un
centinaio di opere - oli su tela, studi dipinti, disegni
e acquerelli - ricostruiranno l'insieme dell'itinerario
di ricerca dell'artista francese. Dimostreranno che
Signac è stato sì il pittore del mediterraneo, ma anche
che si è mostrato sensibile alla poesia delle periferie
industriali e dei grandi porti moderni. Testimonieranno
l'entusiasmo suscitato nel giovane Signac
dall'impressionismo e poi il suo contributo alla nascita
del neo-impressionismo accanto all'amico Georges Seurat e
infine l'adozione di una tecnica più libera dai colori
più intensi dopo il suo trasferimento a Saint-Tropez.
Mostreranno infine come l'opera grafica di Seurat
accompagni questa evoluzione, passando dai bei disegni in
bianco e nero dei primi anni parigini agli acquerelli
rapidi e colorati che alla fine della sua vita
prenderanno il sopravvento sull'opera dipinta.
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