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Sommario
Miti e Leggende nella Storia





L’INCUBAZIONE
nel mondo greco - romano

I sogni hanno sempre avuto un’importanza grandissima nella storia dell’umanità, in primo luogo, perché tutti gli esseri umani (oltre che molte specie animali), fanno reiteratamente quest’esperienza e, poi, perché i sogni hanno un certo potere condizionante nella vita di ciascun individuo, tanto nella fattispecie dei sogni veri e propri, ossia dei sogni ‘sognati’ quanto in quella dei sogni ad occhi aperti o ‘allucinazioni’. L’esperienza del sogno, però, non si riduce affatto alla sfera strettamente individuale, perché i sogni rispecchiano anche le società che li hanno prodotti e vengono così ad assumere una dimensione sociale. Poiché i sogni rappresentano un’esperienza così diversa da quella della quotidianità e del reale, è ovvio che gli uomini di ogni cultura e latitudine si siano interrogati su di essi, cercando di afferrarne l’impalpabile essenza, l’origine, i possibili significati e la funzione. E le risposte sono state - e sono - di volta in volta diverse. Non solo, ma a complicare il tutto, si deve considerare il carattere polisemantico dei sogni, sicché il fenomeno onirico, pur così universale, appare essere un affascinante, quanto spesso disperante, campo d’indagine.

Non stupisce, quindi, che anche nell’antichità classica (già dall’età di Omero), sia possibile rintracciare lo stesso interesse per la dimensione del sogno. Non è certo possibile, in questa sede, addentrarsi nel complesso problema dell’onirologia e dell’oniromantica greco - romane. Basterà qui accennare solo ad un fatto e, cioè, che fu convinzione generalmente condivisa dagli antichi - pur con le inevitabili eccezioni (specie a livello di classi colte) - che i sogni o, meglio, almeno una parte di essi, avessero origine soprannaturale e fossero, perciò, dotati di facoltà premonitrici.

Fatta questa premessa, entriamo subito in medias res, passando ad occuparci del tema specifico di questo breve scritto e, cioè, dell’incubazione. È questo un termine che definisce una pratica piuttosto diffusa nell’antichità classica, ma esistente anche presso altre civiltà: in sostanza, essa rappresenta soltanto una fra le tante possibili forme di divinazione. Nell’antichità classica, infatti, era possibile ottenere responsi circa il futuro in vari modi. I casi più celebri erano la divinazione con metodi naturali (come lo stormire delle fronde e il canto degli uccelli nel santuario di Zeus (o, meglio, di Zeús e della sua locale compagna Dióna, a Dodóna, nel remoto Epiro) o quella per trance, il cui esempio più illustre è quello del santuario di Apollo (Apóllon) a Delfi (Delphoí), dove la sacerdotessa del dio, la Sibilla, in stato di estasi (perché si supponeva che essa uscisse da sé per essere invasata dal dio), dava responsi oracolari sconnessi e per lo più incomprensibili, che venivano poi interpretati, spesso altrettanto ambiguamente, da specialisti appositi, anch’essi appartenenti alla classe sacerdotale (i cosiddetti exegetaí). Ma, esistevano anche altri modi per conoscere il futuro, come la divinazione attraverso il volo degli uccelli o quella attraverso ciò che i Romani più tardi chiamarono sortes, vale a dire, delle laminette iscritte con vari tipi di responsi che venivano sorteggiate: quella prescelta era considerata esprimere il volere della divinità. E’ chiaro, perciò, che il fenomeno onirico, in base a quanto detto in precedenza a proposito dell’opinione generale degli antichi su di esso, fosse considerato dai Greci e dai Romani come uno soltanto, fra gli svariati metodi di apprendere il futuro, sebbene l’incubazione si sia specializzata però, soprattutto in un campo specifico della mantica, e cioè quello volto ad ottenere, attraverso i sogni, la guarigione dalle malattie.

Quasi esclusivamente a scopo risanatore, essa era soprattutto diffusa nei luoghi di culto del dio greco Asclepio, detto dai Latini Esculapio, benché non si possa escluderne la pratica anche nei santuari di altre divinità, come, ad esempio, il greco - egizio Serapide (Sérapis). Celebri oracoli onirici esistevano, però, anche presso alcuni luoghi di culto consacrati ad eroi, vale a dire a quelle figure, che Greci e Romani consideravano semidivine: è questo, ad esempio, il caso del santuario di Trophónios a Lebádeia, in Beozia, oppure quello dell’eroe Amphiáraos ad Oropós al confine tra Attica e Beozia. Ora, come avremo modo di vedere meglio in seguito, Asclepio / Esculapio non appartiene affatto alla nobile schiera degli dei olimpici, ma si tratta appunto di un antico eroe, noto già all’epopea omerica, che solo più tardi fu elevato al rango divino. Nel caso di Serapide, si ha a che fare, invece, con un dio dalla forte connotazione ctonia, la quale risulta appunto essere la caratteristica fondamentale, insieme all’esperienza della morte, che accomuna gli eroi greci; com’è noto poi, l’aspetto ctonio è particolarmente connaturato al mondo dei defunti e non è un caso, quindi, che presso certe popolazioni antiche (e moderne) dell’Africa settentrionale si usasse praticare l’incubazione a scopo mantico presso le tombe. Sembrerebbe perciò che la pratica in esame debba essere considerata la forma di divinazione tipica dell’oracolo eroico.

Il greco Asclepio (Asklepiós, Asklapiós, Aschlapiós, etc.), divenuto poi Esculapio fra i Latini (Aesculapius, ma anche Aisclapius, Aiscolapius, etc.), fu in origine un eroe, verosimilmente il patrono dei medici, che, solo più tardi divenne dio della medicina (e protettore della salute), vantando, almeno per parte di padre, la nobilissima nascita dal dio Apollo; la madre, invece, sarebbe stata una mortale: per lo più - dato che il mito conosce varianti – si parla di Coronide (Koronís), la figlia del re tessalico Phlegýas. Il dossier mitologico di Asclepio, però, è piuttosto scarno e riguarda quasi esclusivamente fatti relativi alla sua nascita e morte. Per quanto riguarda la nascita, il mito - o, meglio, la variante più celebre di esso - parla dell’esposizione di Asclepio da parte della madre subito dopo il parto, dell’allattamento del neonato da parte di una capra e della miracolosa scoperta dell’infante effettuata da un pastore. Anche le circostanze della morte e della successiva divinizzazione non sono chiarissime: secondo una tradizione, Asclepio sarebbe stato ucciso dal fulmine di Zeus per il fatto che non si limitava a guarire i malati, ma era arrivato perfino a resuscitare i morti; poi, però, su richiesta di Apollo, egli sarebbe stato richiamato in vita e divinizzato. Ad ogni modo, dopo l’elevazione al rango divino, Asclepio preferì sempre vivere sulla terra, memore di essere stato un mortale, e precisamente presso i suoi santuari, in primo luogo, in quello di Epidauro. Il resto della vita e delle imprese di Asclepio rimane alquanto oscuro: sostanzialmente sappiamo che apprese la medicina e la caccia dal centauro Chirone (Cheíron o Chron) e che ebbe una moglie (Epióne) e dei figli, tanto maschi, come Macháon e Podaleírios, che femmine, come Iasó, Panákeia, Ygieía (queste ultime, evidenti personificazioni di particolari virtù mediche e risanatrici del padre).

La scarsa consistenza mitologica del personaggio conferma chiaramente che abbiamo a che fare con un parvenu fra gli dei dell’Olimpo. Il suo culto, infatti, emerge quasi improvvisamente ad Epidauro, in Argolide, a partire dalla seconda metà del VI secolo a.C. Qui, in precedenza, fioriva il culto di Maleátas, un dio assimilato successivamente ad Apollo (Apóllon Maleátas), che seppure solo formalmente, conservò sempre, nei documenti locali, il primo rango, anche dopo la completa affermazione di Asclepio. Dopo il trionfo ad Epidauro, il nuovo dio iniziò ad essere venerato anche in altre località, dove, infatti, la ‘casa madre’ prese a fondare, già dal V secolo a.C., delle vere e proprie filiali, sicché i luoghi di culto del dio, gli Asklepieîa, presero a moltiplicarsi un po’ ovunque nel mondo greco e poi in quello romano. Col trascorrere dei secoli, la fama del dio medico crebbe a tal punto che, nella tarda antichità, egli poté considerato, dai Cristiani, come uno dei più temibili avversari del loro credo.

Nel mondo antico, gli Asklepieîa avevano una duplice funzione: quella di santuari del dio e quella di centri guaritori (a metà strada tra i moderni ospedali ed i sanatori). Spesso, anche se non sempre, si trattava di località amene, immerse nel verde, con sorgenti d’acqua medicamentosa (o ritenuta tale), arricchite da edifici di vario genere (portici, teatri, biblioteche, etc.), dove accorrevano sia i malati in cerca di guarigione sia le persone sane, in cerca di relax oppure per farsi conoscere, esercitare attività culturali, etc. Numerosi, poi, fra i frequentatori dei santuari, erano i medici che spesso aprivano scuole negli Asklepieîa: nel mondo antico, infatti, medicina scientifica e medicina ‘templare’ (ossia quella praticata negli Asklepieîa dai ministri del culto), seppur distinte, non furono mai in netta opposizione fra di loro.

I resti monumentali degli Asklepieîa, i rilievi figurati, i testi letterari ed epigrafici contribuiscono a darci un quadro di quanto avveniva nei santuari risanatori di questa divinità. L’intervento di Asclepio si manifestava di solito in un apposito edificio (detto, in greco, koimetérion, enkoimetérion, ossia ‘dormitorio’, oppure ábaton o ádyton, cioè ‘luogo inaccessibile’), in cui i malati passavano la notte. Qui, mentre dormivano, il dio veniva a curarli. Molto interessante, a tal riguardo, è il celebre brano del Pluto di Aristofane (vv. 620 – 770), in cui il poeta comico greco descrive, nel 338 a.C., la miracolosa guarigione, presso l’Asklepieîon del Pireo, di Pluto (Ploûtos) - il dio della ricchezza - dalla cecità da cui era afflitto. Certo, Pluto è una figura inventata, così come lo sono Asclepio, Iasó e Panákeia, introdotti fra i malati; ciò non toglie che molti aspetti della descrizione riproducano la realtà effettiva, per esempio, la preparazione dei giacigli dei malati, lo spegnimento delle lucerne, l’ordine di tacere e di dormire, l’applicazione di vari rimedi, l’intervento dei serpenti sacri, etc. Giacere in un Asklepieîon era generalmente detto, dai Greci, enkatheúdein o enkoimâsthai (= ‘giacere dentro’, ossia, dentro l’edificio apposito per gli incubanti) e la pratica stessa era chiamata enkoímesis; in latino, ‘dormire per ottenere responsi’ si diceva, invece, incubare (cfr., ad esempio, Servio, Commento all’Eneide, 7, 88: incubare dicuntur proprie hi qui dormiunt ad accipienda responsa), da cui appunto deriva il termine italiano ‘incubazione’.

Due erano le modalità d’intervento di Asclepio durante l’incubazione, cui senza dubbio non dovevano essere estranei gli addetti al culto. La prima consisteva nell’intervento diretto del dio durante il sonno, sì che il malato, al risveglio, si sentiva perfettamente guarito.È questa la pratica comune ad Epidauro nel periodo più antico. Ma, il dio, durante il sonno, poteva anche limitarsi soltanto a suggerire prescrizioni o un trattamento medico: agiva, cioè, come un medico di consulto. Qualora le prescrizioni fossero state poco chiare, si poteva ricorrere all’aiuto di parenti, amici, ministri del culto per spiegarle, oppure cercare d’interpretarle da se stessi. Una quantità incredibile di sogni, inviati da Asclepio, anche se – senza dubbio - non tutti ottenuti attraverso le procedure canoniche dell’incubazione, e poi interpretati da altri o autointerpretati, è quella narrata, nei Discorsi Sacri, dal retore greco Elio Aristide (vissuto nel II secolo d.C.), che, a seguito di una grave malattia, almeno prevalentemente psicosomatica, finì per ricoverarsi quasi in fin di vita in uno dei più celebri Asklepieîa dell’epoca, e cioè in quello di Pergamo (in Asia Minore). I Discorsi Sacri, oltre ad essere l’unica autobiografia onirica del mondo greco - romano, costituiscono, per noi, la vivissima testimonianza di una malattia non solo individuale ed esistenziale, ma anche di un grave disagio storico - sociale: siamo, infatti, proprio nell’epoca che è alle soglie della grave crisi del III secolo d.C., quella cioè, che segna l’inizio della fine del mondo antico. In quest’opera così singolare, Elio Aristide, che si riteneva un eletto di Asclepio, dispiega sotto i nostri occhi le strabilianti – e, piuttosto improbabili – terapie del dio, la sua bizzarra farmacopea, ci parla poi del sollecito intervento divino di fronte alle sempre reiterate ricadute del suo protetto nelle malattie più varie (e piuttosto fantasiose), ma soprattutto ci lascia intravedere una fiducia cieca e superstiziosa, da parte di un uomo disperato, nei poteri taumaturgici del dio, sicché, ironicamente, si potrebbe dire che l’unico vero miracolo di cui potesse forse vantarsi Aristide era quello di essere uscito indenne dalle ‘cure’ di Asclepio.

Ad ogni modo, un’altra preziosissima testimonianza di queste ‘guarigioni miracolose’ è quella tramandataci dalle iscrizioni, provenienti da più Asklepieîa e, cioè, da quelli di Epidauro, Atene, Lebena (nell’isola di Creta), Pergamo e, infine, da quello di Roma sull’Isola Tiberina.

Tali ‘miracoli’ ci sono giunti o in cataloghi redatti dai sacerdoti dei rispettivi santuari oppure in testi di stele votive che i ‘miracolati’ dedicavano all’interno degli Asklepieîa. Per quanto concerne i cataloghi, alcuni passi di essi - rinvenuti, più o meno danneggiati, ad Epidauro e a Lebena - testimoniano che essi furono redatti sulla base delle notizie contenute nelle tavolette votive, lasciate nei santuari dai fedeli, riconoscenti al dio per grazia ricevuta.
Ma, come spiegare il successo delle cure per incubazione? A parte il fatto che, certo, non ci si preoccupava di redigere i resoconti dei fallimenti, di modo che non mancò chi, nell’antichità, cinicamente osservò che i cataloghi sarebbero stati assai più numerosi se fossero stati scritti anche quelli relativi agli insuccessi del dio, anzitutto c'è da osservare che, in parte almeno, le malattie risolte in tal modo, non dovevano essere letali e avrebbero avuto un esito positivo da sole. Molte di queste malattie, poi, dovevano essere di carattere psicosomatico, sicché la loro risoluzione può spiegarsi in base a fattori di ordine psicologico. Il primo, senza dubbio, è che i malati nel loro rapporto col dio, di cui l’incubazione costituiva il momento più intenso, si trovavano a vivere una profonda esperienza religiosa e di fiducioso abbandono ed è ben noto ormai, quanto, per qualsiasi guarigione, sia determinante il particolare feeling tra medico e paziente. L’altro importante fattore psicologico da prendere in considerazione è la fondamentale – e, pur essa nota - tendenza autoterapeutica della mente (Selbstheilungstendenz der Psyche). Sicché, per concludere, potremmo dire che, almeno sotto certi aspetti, l’incubazione anticipi di molti secoli diverse forme di psicoterapia attuali.

Lanfranco Cordischi