Facciata barocca
della Chiesa di S. Bartolomeo all'Isola
Pozzo di marmo del XII secolo al centro della scalinata
d'accesso al presbiterio di S. Bartolomeo
Estremità orientale dell'Isola Tiberina: bastone con
serpente arrotolato, busto di Esculapio e testa di toro
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IL CULTO DI ESCULAPIO SULL'ISOLA TIBERINA
Nel corso di un disastroso viaggio
a Roma, compiuto nel 143/144 d.C., dalla natia Asia
Minore, l'allora ventiseienne retore greco Elio Aristide
cadde preda di una gravissima malattia psico-somatica che
l'avrebbe poi accompagnato per tutta la vita. Abbandonato
dai medici e quasi in punto di morte, l'ammalato non
trovò altra via di scampo che abbandonarsi completamente
ad Asclepio (Asklepios), la divinità guaritrice
per eccellenza, giungendo a ricoverarsi, nell'estate del
145, nel santuario del dio a Pergamo, una delle tante
filiali del culto, il cui centro principale era la città
greca di Epidauro. Proprio da Epidauro, il dio della
medicina fu introdotto anche a Roma, dove si chiamò
latinamente Esculapio (Aesculapius). Narra la
leggenda che, nel 293 a.C., in seguito ad una grave
pestilenza che infuriava in città, i Romani decisero
l'invio di una delegazione ad Epidauro per ottenere
soccorso. L'ambasceria, svoltasi fra il 292 ed il 291
a.C., avrebbe ricondotto a Roma un serpente, simbolo del
dio: verso la fine del viaggio di ritorno, all'altezza
dell'Isola Tiberina, il rettile sarebbe scivolato fuori
dalla nave che risaliva il Tevere e, raggiunta l'Isola,
avrebbe indicato così il luogo prescelto per il proprio
santuario. A parte la leggenda, la scelta di ubicare il
tempio di Esculapio sull'Isola, in una posizione
eccentrica rispetto alla città, si spiega in base a
motivi d'isolamento, perché i santuari del dio della
medicina, oltre che luoghi di culto, erano dei veri e
propri ospedali, in cui religiosità e scienza si
mescolavano in un singolare composto. Inaugurato nel 289
a.C., il santuario tiberino di Esculapio rimase in uso
fino alla Tarda Antichità (affiancato, dal I secolo
d.C., da un altro complesso sacro sull'Esquilino);
inoltre, nonostante la presenza di altri culti
sull'Isola, Esculapio rimase sempre il signore indiscusso
del luogo. Del suo santuario, come pure di altri edifici
esistenti anticamente sull'Isola, resta pochissimo
purtroppo, a causa dell'ininterrotta continuità di vita
in questo ristretto lembo di terra in mezzo al Tevere.
Alcuni ritrovamenti archeologici, effettuati pochi anni
fa ed in corso di pubblicazione, sembrano promettere
importanti novità per quanto concerne l'antica
topografia dell'Isola. Ad ogni modo, per quello che qui
più direttamente ci interessa, la posizione almeno del
tempio di Esculapio è nota: essa dovrebbe più o meno
coincidere con quella della Chiesa di S. Bartolomeo,
eretta nel X secolo originariamente per S. Adalberto e
più volte restaurata. Un pozzo scolpito del XII secolo,
che sorge in mezzo alla gradinata d'accesso all'altare e
che fu ricavato dal rocchio di una colonna antica, segna
forse il sito di una sorgente sacra (l'acqua aveva un
ruolo molto importante nel culto e nelle pratiche
terapeutiche di Esculapio). Una traccia più
significativa della presenza del dio si scorge, invece,
sotto S. Bartolomeo, sulla punta orientale dell'Isola.
Qui, infatti, esiste ancora un tratto della poppa di una
nave in travertino, su cui appaiono un bastone ed un
serpente (i tipici attributi di Esculapio), il busto
assai danneggiato del dio ed infine la testa di un toro.
E' quanto rimane della trasformazione (parziale o totale)
dell'Isola in una nave di pietra, probabilmente intorno
alla metà del I secolo d.C., a perenne memoria del
miracoloso arrivo a Roma di Esculapio. Fra i ritrovamenti
archeologici effettuati sull'Isola in tempi recenti,
particolare interesse rivestono alcuni resti di pilastri
laterizi, scoperti in una proprietà privata a sinistra
della facciata di S. Bartolomeo. Benché di datazione
incerta, questi pilastri potrebbero aver fatto parte
proprio del santuario di Esculapio. Come in altre
località sacre al dio, infatti, anche sull'Isola,
dovevano esistere dei portici, necessari al ricovero dei
pellegrini e degli infermi. Ma cosa venivano a cercare a
Roma, come altrove, i fedeli del dio risanatore? La
risposta è ovvia: la salute. Senza dubbio, i sacerdoti
addetti al santuario, dovevano conoscere qualche
elementare nozione di medicina per un primo soccorso ai
malati; ma negli Asklepieia, la maggior parte delle
guarigioni era connessa con riti magici. In questi
santuari, inoltre, si praticava l'incubazione, ossia un
antichissimo rito consistente nel far dormire il malato
dentro il recinto sacro in attesa di un sogno risanatore,
sia che il sogno stesso fosse di per sé fonte di
guarigione sia che contenesse - attraverso i simboli
onirici, interpretati poi dai ministri del culto - utili
indicazioni diagnostico-terapeutiche. Si faceva quindi
ricorso all'inconscio e alla tendenza autoguaritrice
della mente, anticipando pratiche che sono ormai
patrimonio di tutte le moderne psicoterapie, a partire
dalla psicoanalisi freudiana. Certo, le guarigioni del
santuario tiberino - redatte in greco su una lastra
marmorea agli inizi del III secolo d.C. - non hanno il
carattere sensazionale di quelle operate dal dio ad
Epidauro: a Roma, Esculapio si limitava a suggerire al
paziente qualche azione di carattere magico o l'impiego
di qualche semplice farmaco (come il miele ed il vino).
Può sorprendere che con simili indicazioni terapeutiche
si riuscisse a guarire. Ma, a parte il fatto che non ci
si preoccupava certo di redigere i resoconti dei
fallimenti, la spiegazione più ovvia di queste
guarigioni miracolose è che le malattie in cui
l'intervento del dio risultava particolarmente efficace
fossero quelle che noi moderni definiamo appunto "di
carattere psico-somatico".
Un certo numero d'iscrizioni votive in latino conferma la
fama dell'Esculapio tiberino, al cui santuario vanno
inoltre riferiti i numerosi votivi anatomici rinvenuti
nel letto del Tevere. La sollecitudine del dio medico nei
confronti dell'umanità sofferente è ben espressa nelle
sue statue. Queste, per lo più, lo raffigurano come un
uomo dall'aspetto calmo e sereno, che, in piedi, si
appoggia ad un bastone intorno al quale avvolge le sue
spire un serpente. Una bella testimonianza della grande
umanità del dio ci viene proprio dal santuario
sull'Isola Tiberina. In età imperiale, i Romani abbienti
avevano preso l'abitudine di abbandonare i loro schiavi
malati sull'Isola con la scusa che fosse compito di
Esculapio prendersi cura di loro: l'imperatore Claudio,
interpretando lo spirito del dio, stabilì allora che
quanti fossero riusciti a guarire, dovessero ottenere
l'agognata libertà.
Lanfranco Cordischi
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