ex-@rt magazine |
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Milano,
Bruno Mondadori, 2005 |
LA FAVOLA DELL’INDOEUROPEODi formazione io sono un filologo, ma devo dire che i libri di filologia non sono sempre facili da leggere e da trovare. Per cui consiglio a tutti questo limpido libretto, che in cento pagine riesce ad avvincere anche chi non è specialista, una volta superato lo scoglio linguistico e presa confidenza con la traslitterazione delle parole antiche, ascritte a idiomi diversi e non sempre facili da analizzare. La tesi dell’autore è che l’indoeuropeo inteso come unità linguistica, etnica e storica non è mai esistito: è una mitologia politica. A parte l’errore concettuale di unire concettualmente termini linguistici e geografici, a dimostrare la debolezza della costruzione sta proprio la filologia, la stessa che in altri tempi aveva invece avallato il mito della razza ariana, razza che, da non si sa bene da dove – il Caucaso, etnicamente e linguisticamente ben altrimenti caratterizzato - avrebbe inondato a orde compatte Europa e Asia, grazie alla superiorità offerta dal cavallo e dalle armi di rame e di bronzo. E’ un mito che parte da lontano, ma che si sviluppa nel XIX secolo, quando le conoscenze linguistiche permettono da un lato di stabilire con certezza la parentela tra lingue europee e indoiraniche, ma dall’altro il metodo scientifico è condizionato dall’ideologia eurocentrica, la cui esasperazione demagogica porterà a tragiche aberrazioni politiche, oppure stimolerà nei rivali curiose emulazioni, come la primordiale identità “turanica” proclamata a suo tempo dagli ungheresi. Ma torniamo al libro. Scritto in modo lieve ma pieno di etimologie e dotte citazioni, affronta non poche questioni: le serie numerali, le credenze religiose, i traffici marittimi, l’identità degli Hittiti, degli Hurriti, il c.d. “vocabolario indoeuropeo compatto”, il Mitanni, la lingua Dravida, i Celti, i Galati e i Luvi, le vie delle carovane in Iran, il Caucaso. Va detto subito che le etimologie non si basano su idee preconcette o somiglianze fonetiche, ma ogni parola analizzata viene collegata a oggetti fisici o precise credenze religiose: la linguistica ha visto altrimenti fin troppi castelli di carte. Il tutto per formulare la radicale conclusione (p.14) che “in nessuna lingua dei popoli antichissimi che si muovono attorno al nostro continente è traccia del presunto indoeuropeo”. Ma alla fine di questo lavoro che incrocia filologia e cultura materiale, storia delle religioni e politica, l’intuizione storica originale: che i movimenti e incroci tra popoli erano e sono molto più complessi, fluidi e meno schematici di quanto si crede, e che un vincolo di fraternità culturale lega da cinquemila anni l’Europa all’antica Mesopotamia, l’attuale Iraq, dove fiorirono le civiltà di Sumer, di Akkad, di Babilonia. E dove oggi noi europei siamo comunque ritornati. Marco
Pasquali |