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oltre l'arte
2004

Beni Culturali - Narrativa
bordline contemporanea beni culturali




I RAGAZZI DI SAN PIETROBURGO
di Sergej Bolmat

Milano, Rizzoli (BUR narrativa)
2002. 377 p., 20 cm.
ISBN 88.17.10767.0
Prezzo euro 8.50
 

DALLE CENERI DI UN IMPERO

San Pietroburgo oggi: non solo l’Ermitage e la Prospettiva Nevskij, ma l’altra faccia della Russia nata dal crollo del comunismo, piena di mafiosi e puttane, droga e discoteche, animata da una generazione di giovani privi di qualsiasi bussola, capace di vivere solo al presente e pronta a qualsiasi compromesso pur di avere i soldi e imitare il peggio dei modelli occidentali. Ne salta fuori un romanzo sgangherato, più simile ai film del regista finlandese Kaurismaki che alla letteratura russa alla quale siamo abituati. Non che Dostoevskij o Puskin manchino di personaggi sregolati – l’eccesso fa parte del carattere russo – ma qui si passa ogni limite: Tema, Marina, Ho la Coreana, Alan e gli altri costituiscono la più allucinante e allucinata banda di sbandati cinici rockettari drogati poeti mai vista nella letteratura russa, in un curioso cocktail di stili diversi che mixa Vladimir Majakovskij con Quentin Tarantino. La trama è grottesca: una delle ragazze, Marina vive con Ho la Coreana ed è incinta di nove mesi del poeta drogato Tema, che lavora per la pubblicità sfornando slogan poetici futuristi. Un giorno Marina si trova in mezzo ad un regolamento di conti tra mafiosi e raccoglie da terra un telefono cellulare. Risponde alla chiamata e accetta così di sparare per denaro a un mafioso ed ai suoi guardaspalle. Improbabile killer incinta di nove mesi, diventa per caso la fidanzata proprio del criminale cafone che dovrebbe ammazzare e che invece la colma d’oro e arreda per lei uno sfarzoso appartamento, tempio del cattivo gusto dei nuovi ricchi di San Pietroburgo. Della città impariamo a conoscere le discoteche alla moda, i circoli dei poeti, le puttanelle consumiste, i negozi di lusso accanto al mercatone della Sadowaja, ma anche i boschi appena fuori della città. Impossibile raccontare la trama in dettaglio, piena com’è di smagliature, esagerazioni, poesie demenziali (ma le citazioni sono tante) e sparatorie con schizzi di sangue dappertutto. Il romanzo è del 2000, ma era stato pubblicato a puntate su Internet nel 1998 e questo forse ne spiega gli squilibri interni, la mancanza di continuità. Ma è anche un indice preciso dell’evoluzione dell’editoria entro pochi anni: in rete lo scrittore diffonde e collauda quello che l’editore crederà di aver scoperto. Bolmat però non sempre convince: l’imitazione della pulp fiction americana sembra un po’ troppo smaccata (dico “sembra” perché già nella Russia degli anni ’60 l’underground clandestino scorreva come un fiume carsico) e la trama in certi punti si sfilaccia in descrizioni d’ambiente fin troppo compiaciute. Certi personaggi sono appena sbozzati , altri – come la coppia di antiquari che aveva aperto un’agenzia matrimoniale dopo l’ennesimo ‘pizzo’ – è un condensato di cultura russa. Nella sequela di morti ammazzati le visoni allucinate si confondono continuamente con la realtà e sono malamente ricucite insieme nel continuo susseguirsi di frenetici inseguimenti e sparatorie. Il libro è comunque molto divertente ed offre un quadro grottesco della nuova società uscita dal crollo dell’Impero Sovietico. A parte i mafiosi (squadrati tutti con l’accetta) i personaggi infatti sono tutti de-strutturati e le pagine più convincenti sono quelle dove viene descritto un processo di disgregazione violenta (come quello dei corpi fatti a pezzi nelle sparatorie) o progressiva (lo sfaldamento della coscienza dopo una sniffata di troppo, del corpo dopo il sesso). La ricomposizione avviene invece attraverso una visione mistica (esperienza non nuova per l’anima russa), per mezzo della poesia sperimentale, o attraverso curiosi sistemi di divinazione inventati da Ho la Coreana. Quanto al bambino (il futuro!), decide di nascere proprio nel bel mezzo della sparatoria finale.

 Marco Pasquali
aprile 2004