I RAGAZZI DI SAN PIETROBURGO
di Sergej Bolmat
Milano, Rizzoli (BUR narrativa)
2002. 377 p., 20 cm.
ISBN 88.17.10767.0
Prezzo euro 8.50
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DALLE CENERI DI UN IMPERO
San Pietroburgo oggi: non solo l’Ermitage e la Prospettiva Nevskij, ma
l’altra faccia della Russia nata dal crollo del comunismo, piena di
mafiosi e puttane, droga e discoteche, animata da una generazione di
giovani privi di qualsiasi bussola, capace di vivere solo al presente e
pronta a qualsiasi compromesso pur di avere i soldi e imitare il peggio
dei modelli occidentali. Ne salta fuori un romanzo sgangherato, più
simile ai film del regista finlandese Kaurismaki che alla letteratura
russa alla quale siamo abituati. Non che Dostoevskij o Puskin manchino
di personaggi sregolati – l’eccesso fa parte del carattere russo – ma
qui si passa ogni limite: Tema, Marina, Ho la Coreana, Alan e gli altri
costituiscono la più allucinante e allucinata banda di sbandati cinici
rockettari drogati poeti mai vista nella letteratura russa, in un
curioso cocktail di stili diversi che mixa Vladimir Majakovskij con
Quentin Tarantino. La trama è grottesca: una delle ragazze, Marina vive
con Ho la Coreana ed è incinta di nove mesi del poeta drogato Tema, che
lavora per la pubblicità sfornando slogan poetici futuristi. Un giorno
Marina si trova in mezzo ad un regolamento di conti tra mafiosi e
raccoglie da terra un telefono cellulare. Risponde alla chiamata e
accetta così di sparare per denaro a un mafioso ed ai suoi guardaspalle.
Improbabile killer incinta di nove mesi, diventa per caso la fidanzata
proprio del criminale cafone che dovrebbe ammazzare e che invece la
colma d’oro e arreda per lei uno sfarzoso appartamento, tempio del
cattivo gusto dei nuovi ricchi di San Pietroburgo. Della città impariamo
a conoscere le discoteche alla moda, i circoli dei poeti, le puttanelle
consumiste, i negozi di lusso accanto al mercatone della Sadowaja, ma
anche i boschi appena fuori della città. Impossibile raccontare la trama
in dettaglio, piena com’è di smagliature, esagerazioni, poesie
demenziali (ma le citazioni sono tante) e sparatorie con schizzi di
sangue dappertutto. Il romanzo è del 2000, ma era stato pubblicato a
puntate su Internet nel 1998 e questo forse ne spiega gli squilibri
interni, la mancanza di continuità. Ma è anche un indice preciso
dell’evoluzione dell’editoria entro pochi anni: in rete lo scrittore
diffonde e collauda quello che l’editore crederà di aver scoperto.
Bolmat però non sempre convince: l’imitazione della pulp fiction
americana sembra un po’ troppo smaccata (dico “sembra” perché già nella
Russia degli anni ’60 l’underground clandestino scorreva come un fiume
carsico) e la trama in certi punti si sfilaccia in descrizioni
d’ambiente fin troppo compiaciute. Certi personaggi sono appena sbozzati
, altri – come la coppia di antiquari che aveva aperto un’agenzia
matrimoniale dopo l’ennesimo ‘pizzo’ – è un condensato di cultura russa.
Nella sequela di morti ammazzati le visoni allucinate si confondono
continuamente con la realtà e sono malamente ricucite insieme nel
continuo susseguirsi di frenetici inseguimenti e sparatorie. Il libro è
comunque molto divertente ed offre un quadro grottesco della nuova
società uscita dal crollo dell’Impero Sovietico. A parte i mafiosi (squadrati
tutti con l’accetta) i personaggi infatti sono tutti de-strutturati e le
pagine più convincenti sono quelle dove viene descritto un processo di
disgregazione violenta (come quello dei corpi fatti a pezzi nelle
sparatorie) o progressiva (lo sfaldamento della coscienza dopo una
sniffata di troppo, del corpo dopo il sesso). La ricomposizione avviene
invece attraverso una visione mistica (esperienza non nuova per l’anima
russa), per mezzo della poesia sperimentale, o attraverso curiosi
sistemi di divinazione inventati da Ho la Coreana. Quanto al bambino (il
futuro!), decide di nascere proprio nel bel mezzo della sparatoria
finale.
Marco
Pasquali
aprile 2004
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