Villino Folchi
via Marche 3
Roma
a cura di
Roberto Di Paola
Edizioni Edindustria
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UN ESEMPIO DI ECLETTISMO
Roma è famosa per i suoi monumenti: grandi ruderi romani, fastose chiese
barocche, palazzi principeschi di varie epoche e in campo più moderno i
complessi del Vittoriano, di Palazzo di Giustizia, della Cassa Depositi
e Prestiti a piazza Dante, ed in ultimo le grandi realizzazioni del
Ventennio: il Foro Italico, la Sapienza, l’EUR. Si tratta generalmente
di importanti edifici mentre ben poca attenzione si è prestata
all’edilizia minore, soprattutto dopo l’Unità d’Italia; ci sono ad
esempio gli interventi di edilizia pubblica a Testaccio, a San Saba, a
San Lorenzo, alla Garbatella, e, nel campo dell’edilizia di lusso, un
certo numero di villini concentrati per lo più nelle lottizzazioni nate
dalla distruzione della celebratissima Villa Ludovisi. Alle spalle di
via Veneto sorgono parecchi eleganti villini costruiti tra la fine
dell’800 e i primi del ‘900 ad opera di architetti all’epoca molto noti.
In via Abruzzi 2 c’è il Villino Basile, in via Piemonte 27 la sede
dell’ambasciata d’Indonesia, a via Romagna un bel villino sede della
Cassa di Risparmio di Macerata, a via Piemonte 127 una palazzina
liberty, e poi i villini Di Rudinì e Boncompagni, quest’ultimo divenuto
museo e aperto al pubblico e il villino Folchi in via Marche. Sono
edifici eleganti e lussuosi che formano un gradevole tessuto urbano
purtroppo qua e la interrotto da costruzioni più moderne degli anni ’60
e ’70 del novecento. Molti villini sono sedi di rappresentanza di grandi
aziende, di ambasciate, di istituti bancari non romani che generalmente,
pur avendoli adattati ai loro scopi, li mantengono in maniera
eccellente. In via Marche 3 c’è il villino Folchi, opera dell’architetto
G.B. Giovenale (1849-1934), è una struttura costituita da due corpi di
fabbrica uniti da un basso edificio che racchiudono una corte sistemata
a giardino. I due palazzotti, simili ma non eguali, hanno un avancorpo
munito di grandi serliane ed una decorazione baroccheggiante con ovuli
contenenti busti romani in stile, come nei palazzi del ‘600, un alto
muro separa la corte dalla strada facendone un’oasi di pace; nel
giardino una fontana e un’altissima palma. Il Gruppo Tosinvest, che ha
sede nell’edificio, attraverso i proprietari Angelucci, ha curato un
eccellente restauro dell’immobile e ha predisposto un volume
sull’argomento coordinato dal Soprintendente ai Beni Artistici e
Architettonici di Roma, arch. Di Paola, coadiuvato da Paolo Portoghesi,
Franco Astolfi, Maria Richiello, Claudia Viggiani, Giovanna Paciucci,
Olivia Muratore. I vari autori hanno svolto un ottimo lavoro esaminando
l’edificio, il suo stile, la figura e le opere dell’architetto
costruttore, lo stato dei luoghi prima, durante e dopo la costruzione,
il periodo storico politico, il restauro. Il tutto con grande serietà
scientifica unita ad un linguaggio piano e avvincente che desta grande
interesse nel comune lettore sovente spaventato da testi troppo tecnici
e difficili.
Roberto
Filippi
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