ex-@rt magazine 
oltre l'arte

Beni Culturali - Libri Non Solo Narrativa
bordline  beni culturali


sommario

INDICE

Libri


******************



******************

L'Accademia di San Luca nella Roma del secondo Seicento
Artisti, opere, strategie culturali

Stefania Ventra
Editore: Olschki, 2020, pp. 416

ISBN: 9788822266828
EAN: 9788822266828

Prezzo: € 55,00

******************



L’Accademia di San Luca a Roma nel secondo Seicento

La storica e ricercatrice Stefania Ventra, sviluppa in questo testo un tema molto dibattuto, quello delle Accademie e del concetto di accademico. Tale studio è risultato vincitore del concorso Inedito Barocco, edizione 2018 attraverso la ‘Fondazione 1563’ che è un Ente strumentale della Compagnia di San Paolo, radicata a Torino e sul territorio piemontese, fondazione culturale specializzata nel sostegno alla ricerca nel campo delle discipline umanistiche. Dal 2012 la ‘Fondazione 1563’ promuove un Programma di Studi sull’Età e la Cultura del Barocco con l’attivazione di un bando di borse di studio.

Il tema trattato dalla Ventra, nel suo testo dedicato all’Accademia romana di San Luca, nel periodo 1662, quando Carlo Maratti si insediò in Accademia, fino al primo concorso, così detto Clementino dalle provvidenze del Papa Clemente XI Albani, del 1702, è tutto rivolto al rapporto tra Antico e Moderno nelle Arti figurative tra XVII e XVIII secolo. Completano il testo una ricca iconografia e due appendici, frutto dello spoglio dei documenti d’archivio dell’Accademia stessa. In questo approfondito lavoro, vengono messi in discussione un certo numero di luoghi comuni della critica novecentesca, dimostrando che non esiste lo ‘stile d’Accademia’.

I pittori, come afferma Orfeo Boselli, godevano di privilegi diretti e indiretti. Si assumeranno la responsabilità della missione didattica. Sempre di più viene sottolineato il rispetto del canone classico, che non costituisce il dettato accademico. Appaiono subito, dall’introduzione di questo testo, i riferimenti a Giovan Pietro Bellori, autore delle sue Vite, come appare subito il nome di Carlo Maratti, autore di quei dodici ritratti di santi e beati artisti, donati all’istituzione nel momento più alto della sua carriera.
Vari sono stati, nel tempo, gli interventi degli studiosi sul tema trattato, da Goldstein a Mahon, ad Agucchi, Argan fino a Pevsner che con il suo studio del 1940 aveva definito, in maniera un po’ generica le accademie, come istituzioni dall’istruzione artistica, basata su uno stile accettato e promosso, adottando il canone classico come strumento di controllo e di contrasto al gusto del cosiddetto rococò.
Più tardi Waźbiński afferma che con Bellori la dottrina classica diventa la base dell’ideologia accademica. Due anni dopo la poco riuscita impresa di Bellori (attraverso il discorso su ‘L’idea’, in occasione della cerimonia di premiazione alla ‘mostra dei giovani’ del 1664), il Maratti, che aveva contribuito a riformare l’insegnamento dando risalto alla copia dal nudo e dal panno, aveva dotato l’istituzione di un prontuario rigorosamente classicista con il manoscritto ‘Finezze dei pennelli italiani di Luigi Scaramuccia’ del 1674.

Nel frattempo gran parte degli artisti è impegnata a lavorare con i due giganti del Seicento romano: Pietro da Cortona e Bernini. Secondo Bellori, se ci sono nemici da combattere in Accademia sono proprio Bernini, Cortona e la fitta rete di discepoli che costituiranno lo zoccolo duro della gestione della didattica. Presenze e assenze di Bellori e di Maratti all’istituzione, che porteranno a rendere orfana l’Accademia di San Luca se si parla del Maratti assente per ben venti anni. Va da sé che allo scadere del secolo, la didattica, la premiazione dei concorsi verranno affidati ad artisti talvolta ignorati dalla critica, pur avendo avuto parte attiva nella conduzione strategica dell’Accademia.
È il caso di Matteo Piccioni dalle varie competenze di pittore, mosaicista, incisore e stimatore di pitture.

Le pagine del testo scorrono con l’asserzione nei confronti della pittura che mantiene nel Seicento un posto privilegiato, condiviso dal Bellori nel dichiarare come la scultura moderna fosse inferiore alla pittura. Dopo il 1674 emerge in maniera nuova e forte la figura di Giuseppe Ghezzi. È il periodo della suddivisione in due tempi dell’Accademia romana. Roma vista come esempio di rete antiquaria con in testa Bellori. L’ammirazione per Raffaello determinerà un passaggio politico e di comando della neonata cultura accademica parigina, processi di forza uguale e contraria. Nel corso degli anni Settanta ci sarà un totale asservimento dell’Accademia di San Luca a quella francese soprattutto nel campo della produzione, della speculazione e del mercato artistico. È con la presenza di Ghezzi che nel Seicento, la capitale ritrova lo splendore che ebbe nell’antichità. Per fare questo si avvarrà della figura del Bernini per la sua onnicomprensiva cultura figurativa. La contrapposizione di Ghezzi su Bellori viene anche accentuata dal pittore ticinese Lodovico Antonio David dove nel manoscritto del 1703, conservato nell’archivio dell’Accademia di San Luca, condanna le pubblicazioni di Ghezzi accusandolo di preferire Pietro da Cortona a Raffaello.

Si arriverà così, nell’analisi classicistica della vita accademica del secondo Seicento, ad affermare che non è esistita una cultura accademica intesa come indirizzo stilistico. È però bene sottolineare, che esiste indubbiamente una cultura accademica, per le modalità di trasmissione del sapere artistico, nelle componenti tecniche ed esecutive. Così come esiste una cultura accademica romana, l’appartenenza ad una classe di eletti per la qualità della produzione, maturata nel corso del Seicento e che assume maggiore consapevolezza attraverso Giuseppe Ghezzi tra la fine del secolo e l’inizio del successivo.
È evidente che esiste una tradizione didattica romana che in Accademia si attesta come luogo di insegnamento collocandosi al di sopra della bottega del singolo artista.
Allo studio dell’antico si somma quello del moderno, testimoniato dall’importanza della copia del panno messo in posa. Nel periodo preso in esame, prende forma quella cultura accademica vista come esaltazione di unità tra le arti. Questa cultura accademica romana non si mette, certamente, in contrapposizione con il ‘barocco’ ma semplicemente oltre il ‘barocco’.
L’autrice ritiene di virgolettare il termine ‘barocco’, come a evocare una citazione dalla storiografia artistica.

Attenta lettura per tutti voi.

Paolo Cazzella
o della Joie de Vivre