Editoria & Libri d'Arte
sommario
INDICE
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Bert W. Meijer
Il disegno veneziano (1580-1650)
Ricostruzioni storico-artistiche
Leo S. Olschki, Firenze 2017
cm 24 x 31,5, VIII-596 pp.
ISBN: 9788822265036
€ 120,00
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Ricostruzioni del Disegno Veneziano
È un testo impegnativo, un volume davvero prezioso
questo, per il quale mi accingo a scrivere. Lo faccio innanzitutto per
l’amore sempre vivo nei confronti del Disegno e nella fattispecie in
quello che riguarda il territorio veneziano. Si parla infatti di
committenti, di collezionisti sulla funzione e destinazione del disegno
veneziano.
Le ricostruzioni storico artistiche che Bert W. Meijer, sessantatreenne
studioso nato a Groninga nei Paesi Bassi e professore della Facoltà di
Lettere dell’Università di Utrecht, ci riporta nel corposo volume di
quasi seicento pagine, vengono presentate con un ricchissimo supporto
iconografico ed esaurienti e approfondite didascalie.
Il testo è la testimonianza per colmare, almeno una parte, come scrive
lo stesso Meijer, le lacune indicative di una conoscenza della
produzione grafica. È anche la dimostrazione che gli artisti veneziani
disegnavano, ma che cosa disegnavano gli artisti che vissero e
lavorarono nella Repubblica tra il 1580/90 e il 1640/50? Quali furono le
loro scelte di stile? Che cosa le orientò?
A queste domande l’autore, con molta umiltà, ci tiene a dichiarare che
le risposte date sono consapevolmente parziali, nonostante il testo
raccolga più di trenta studi monografici sull’opera grafica di quegli
artisti attivi nella Serenissima nel periodo preso in questione. Uno dei
risultati raggiunti con questo erudito lavoro è che alcune mani, ora, si
possono distinguere con maggiore accuratezza.
A parte le centinaia di disegni di Paolo Veronese e dei familiari nella
sua bottega, quelli numerosissimi di Palma il Giovane e di Pietro
Malombra che lasciò nel suo studio, dopo la morte, più di duemila
disegni di sua mano,
la pratica del disegnare dal vivo, oltre all’Accademia di San Luca,
fondata nel 1593, è presente, negli anni intorno al 1600 a Roma,
attraverso la fioritura di accademie informali in casa di artisti per lo
più toscani.
È tra il 1620 e il 1630 la pubblicazione di testi di ‘corso’ di disegno,
i metodi didattici simili o affini anche in uso a Firenze. Volumi con i
primi rudimenti della formazione artistica, corsi elementari di disegno
del corpo umano con destinazione fuori dalla bottega. Ma a chi fossero
rivolti questi libri valgono tutte le risposte: dalla formazione di
artisti principianti, all’interesse per giovani amatori o dilettanti,
perché apprendessero a disegnare le singole parti del corpo umano come
la testa, gli occhi, le labbra, le braccia, le gambe e il torso in varie
posizioni compresa la figura intera. Le immagini che completano i testi
di queste edizioni sembrano tratte da disegni a penna mentre a Venezia
erano realizzati a pietra nera o rossa.
La prima fase dell’apprendimento era lo studio, anche per mezzo della
copia di pitture, sculture, calchi, incisioni.
A tutto questo si aggiunga l’ interesse dal vivo dei modelli nudi in
studio o in accademia. Lo studio della figura umana esterna e interna
avveniva anche sui cadaveri. Gli allievi copiavano le opere di artisti
collocate negli edifici pubblici e nelle case private.
Dalle pagine quindici e seguenti, è interessante la descrizione che
viene meticolosamente fatta sulla tecnica del disegno veneziano: ‘la
pittoricità del fare disegnativo veneziano…’ è cosa assai diversa dai
disegni prodotti. Tipico del disegnare veneziano è la ‘forma aperta’,
vale a dire la scioltezza e la discontinuità della linea di contorno
come nei disegni di Tintoretto. Questi, infatti, si contrapponeva a
quella precisione lineare- naturalistica tipica dei Carracci, anche se
questo modo di disegnare dei veneziani produsse critiche come quella del
Bellori (1672) secondo la quale mancherebbe ai veneziani ‘la gratia dei
contorni’.
Precisa è la disamina che suggerisce l’autore su ‘forma aperta’ o sulla
linea di contorno non specificatamente netta come quella di Alessandro
Allori. Il Meijer afferma che nel periodo preso in esame non si sarebbe
più usato il ‘cartone’. Questi bozzetti o cartoni a olio, molto usati da
Jacopo e Domenico Tintoretto, da Palma il Giovane e dal Padovanino,
soprannome di Alessandro Varotari, erano di dimensioni inferiori
rispetto alle versioni dipinte finali. Potevano essere monocromi o a
colori su tela.
In questo volume, vengono trattati anche i ritratti a pietre colorate su
carta bianca, bigia ruvida o azzurra. Oltre ai disegni a penna e a
pietra rossa, a penna e a tratteggio largo anche con inchiostro bruno.
Altri disegni eseguiti a pietra nera e gessetto bianco su carta azzurra.
Tutta questa puntigliosa descrizione tecnica dei disegni viene
accompagnata dai nomi dei loro autori. Spesso, almeno per me,
completamente sconosciuti. In genere gli artisti tenevano per sè i loro
disegni, avendo cura di conservarli in portfolio o album composti,
rilegati o fogli sciolti in armadi o cassettiere.
Il profilo professionale di chi disegnava era diverso da quello del
pittore. Infatti vengono a trovarsi diversi artisti iscritti nella
Fraglia veneziana (che nel Veneto e nei territori facenti parte della
Repubblica di Venezia, sono le corporazioni di arti e mestieri o le
confraternite religiose) dei pittori come ‘des(s)eguador’. Questo
termine viene impiegato dallo stampatore ed editore di incisioni Giacomo
Franco. Nel testo vengono trattati anche alcuni haeredes delle botteghe
veneziane cinquecentesche come i familiari, i collaboratori e i
successori dei grandissimi Tiziano Vecellio, Paolo Veronese, Jacopo
Bassano e Jacopo Tintoretto. L’arrivo degli artisti da fuori fu davvero
essenziale per lo sviluppo del disegnare a Venezia.
Dopo la morte di un maestro spesso i lavori passavano per testamento ai
familiari a meno che gli artisti in vita non donassero i fogli agli
amici e colleghi.
Sulla fattura delle carte da disegno nei primi decenni del Seicento a
Verona, buona parte proveniva dalle cartiere della Riviera di Salò,
nella vallata di Toscolano Maderno sul lago di Garda.
È interessante elencare gli artisti presi in esame dal Meijer, gran
parte di questi, infatti, sono sconosciuti, come ho accennato sopra, o
conosciuti in altro modo. Si inizia con Giuseppe Alabardi detto lo
schioppo, Antonio Vassilacchi detto l’aliense, Pietro Bernardi, Giovanni
Battista Bissoni, i Caliari, Antonio Cecchini, Giovanni Contarini,
Leonardo Corona, Pietro Damini, Baldassarre D’Anna, Giulio Del Moro,
Odoardo Fialetti, Antonio De Ferrari detto Foler, Girolamo Gambarato,
Francesco Giugno, Matteo Ingoli, Francesco Maffei, Maffeo Verona, i
Maganza, Pietro Malombra, Pietro Mera, Alessandro Varotari detto il
Padovanino, Jacopo Negretti detto Palma il Giovane, Pauwels Franck detto
Paolo Fiammingo, Santo Peranda, Girolamo Pilotti, Matteo Ponzone, Gaspar
Rem, Carlo Ridolfi, Francesco Ruschi, Fra Santo da Venezia, Ascanio
Spineda, Tiberio Tinelli, Marco Vecellio, Andrea Michieli detto il
Vicentino e Filippo Zanimberti.
Istruttiva, felice, approfondita ed erudita lettura a tutti voi.
Paolo Cazzella
o della Joie de Vivre
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