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Editoria & Libri d'Arte *************************
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Il Pastore di Martini dalle
potenze naturali Sulle storie del restauro del Pastore di Arturo Martini, è stato pubblicato un elegante volume. Le autrici, Maria Catalano e Laura DAgostino, hanno portato a termine un approfondito esame in meno di cento pagine. Tutti sappiamo il grande scultore del Novecento che è stato Arturo Martini. Io poi personalmente, sono stato negli anni, sempre di più attratto dal suo modo di comporre la figura, attraverso i materiali che più ha usato e questo suo essere etrusco fino in fondo, rude, ruvido e contemporaneamente elegiaco. In questo studio DAgostino e Catalano, tracciano tutta la storia di questa scultura di creta iniziando dal percorso espositivo: la Prima Quadriennale dArte del 1931, lingresso nelle collezioni del Governatorato di Roma e in quelle della Galleria Nazionale dArte Moderna. come Anche nella sua fisicità, Arturo Martini è stato etrusco, sentiva gli etruschi, come ebbe a dichiarare più volte. La sua aprì personalità si quando si accostò al mondo degli etruschi grazie a Giglioli, Giulio Quirino lresponsabile archeologo che scoprì nel 1916 lApollo di Veio, essendo del museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, Arturo Martini di permise ad frequentare i depositi colmi di manufatti in etrusca e italica.terracotta Nella maturità, Martini eseguirà il Pastore alto poco più di centosettanta centimetri, eseguito nel 1930 quando lArtista aveva poco più di quarantanni. Il Pastore, secondo la sua interpretazione, è un giovane nudo dal corpo esageratamente allungato in posizione di riposo, appoggiato a un breve tronco dalbero. Non cè altro, cè la figura con le mani intrecciate che stringe il tronco, cè il mento che poggia sulle mani con la testa volta un po in alto e lo sguardo. Uno sguardo che vede lontano e una bocca semichiusa. Tutta la figura ha diversi contrasti, come lanatomia appena accennata del torso e la forza delle gambe, delle braccia e delle mani rozze. I lineamenti del volto appaiono ora sognanti, eterei, ora corrucciati. Un estenuante rimando tra la poesia, la dolcezza della Vita e la sua inesorabile cruda realtà. E questa realtà viene accentuata ancora di più dal materiale refrattario che lartista impiegò. Materiale, quello della creta, spesso utilizzato da Martini come anche il gesso, la terracotta, il legno. Materie povere, deperibili, in contrapposizione con la tendenza dellepoca sui nuovi modi del concepire la scultura. Sarà proprio questo uso del refrattario e le superfici ruvide a sottolineare lammirazione di Martini per il mondo etrusco. Come evidenzia brillantemente Laura DAgostino, si fondono nel Pastore, i ricordi dellantico dalle cariatidi alla scultura delle cattedrali gotiche. Il soggetto lo si ritrova in tante opere diverse sia per autore che per tecnica. Una reazione a quel clima del primo dopoguerra che si era venuto a creare fino allottimismo modernista. Martini tratterà più volte questo soggetto anche in relazione allesperienza vissuta ad Anticoli Corrado, terra di pastorizia. Ma la figura del Pastore non è collocata in una datazione precisa, viene da quel passato arcaico, solenne, distante. Potrebbe riportare alla mente latmosfera di quella scultura concepita negli anni venti del Realismo magico. Arturo Martini vincerà nel 1931, il primo premio per la scultura alla Prima Quadriennale di Roma, presentando oltre al Pastore altre sei sculture. Offrirà poi lopera alla Galleria Mussolini, facendola entrare nelle collezioni del Governatorato di Roma. Lopera verrà trasferita presso la Galleria Nazionale dArte Moderna a Valle Giulia rimanendovi sempre esposta. Nel 1952 la scultura necessiterà di restauri, fino allincidente del 1974, che produsse danni permanenti. Nel 2011 la scultura sarà definitivamente nella Galleria dArte Moderna del Comune di Roma. A distanza di quarantanni dalla caduta accidentale si è resa la necessità di effettuare un restauro. Verifiche e momenti di confronto sono serviti per uno studio a tutto tondo, anche allinterno della scultura. Pur sapendo poco sulla tecnica esecutiva, è stato fatto un vero lavoro di squadra, interpellando ceramisti, scultori, ingegneri. Maria Catalano, nel suo lucido ed esauriente saggio, mette a disposizione per noi tutti la storia della Galleria dArte Moderna insediata nel chiostro dellex Convento delle Carmelitane Scalze. Evidenti sono le collaborazioni tra la Galleria e i Laboratori dellIstituto. Vengono indicati gli allestimenti che negli anni sono cambiati in base al Conservatore di turno. Corredato da un ottimo apparato iconografico, lo scritto della Catalano ci fa conoscere la Galleria quando venne ribattezzata Mussolini con i vari spostamenti delle opere. Il testo si arricchisce attraverso gli inserimenti ripresi da riviste dellepoca, portandoci alla conoscenza ancor più approfondita non solo della Galleria dArte Moderna ma anche della personalità di Martini. Così la Cultura si completa, perché completa è la mera informazione della collocazione delle opere e lapporto riesumato di testi critici attraverso le riviste: Convivium, Domus, Emporium e Valori Plastici. Completano il bel volume i testi di Davide Fodaro e Maria Elisabetta Prunas sulla tecnica esecutiva, quelli di Lucia Conti e Giancarlo Sidoti sui materiali originali e di restauro, sulla diagnostica per immagini e la fotografia di Mauro Torre e Angelo Rubino e la termografia sempre del Torre. Ancora, sulla radiografia di Ilaria Carocci, Susanna Crescenzi e Stefano Ridolfi, gli interventi di restauro di Susanna Bassotti. Non spaventatevi, questi capitoli, pur essendo necessariamente di natura tecnica, sono accompagnati da un ricchissimo apparato iconografico portando chi li legge a una facile comprensione. Per ultimo gli spunti per una biografia di Arianna Angelelli, utili per una maggiore comprensione del grande scultore. Felice e ricca lettura a voi. Paolo Cazzella |