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settembre - dicembre 2001

Beni Culturali - Società
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Dalle perizie psichiatriche ed investigative viene ora fuori che Erika e Omar non sono pazzi né drogati, ma capaci di intendere e di volere, e che hanno ucciso a sangue freddo. Erika è la più forte, ma questo era chiaro. Ora che non c'è il pericolo di inquinare le prove, i due saranno scarcerati a norma di legge.
Non è qui il caso di ripercorrere i dettagli del delitto, peraltro noti. Quel delitto aveva scosso tutti per l'assoluta normalità del contesto: tutto si era svolto in uno spazio pieno, privo di marginalità. Ha sconcertato però la freddezza di Erika, mantenuta anche in carcere. Nelle foto, mal mascherate, gli occhi non sono visibili ma l'aspetto è quello di una liceale minuta ma decisa. Nelle foto guarda sempre in basso. Era ai ferri corti con sua madre per via di Omar, ma il confronto fra un adolescente e i genitori è normale. Perché dunque tanta aggressività repressa? E perché nessuno ha ipotizzato una psicosi? In ogni caso la personalità di Erika s'impone su quella di Omar, che figura in pochissime immagini, come se la fotografia fosse tuttora come cento anni fa un previlegio borghese. Figlio di un barista, Omar è incolto e mal attrezzato per una storia più grande di lui. Come Hitlerjunge Quex, sogna l'ascesa sociale. Accetta d'esser complice, ma la mantide prima se lo mangia e poi lo scarica. Ma come prova d'amore lui ha sgozzato la suocera. Omar povero fesso. O meglio, il fesso povero.
Ma ecco gli esperti: educatori, preti, psichiatri, sociologi, psicologi, analisti. Devono spiegare, analizzare, rassicurare. Producono invece aria fritta: nessun'intuizione originale, ma frasi già usate a suo tempo per spiegare l'ectasy in discoteca, i sassi dal cavalcavia, l'anoressia della figlia quindicenne. Nessuno di loro ha mai parlato con Erika e troppe analisi teoriche sembrano costruite solo in base a quanto letto sui giornali o visto in televisione, già piena di presenzialisti. Invece di prendere il toro per le corna, banalizzano e riducono alla normalità quello che invece normale non è. Ma non volendo riconoscere l'unicità della vicenda, creano solo il caos. Caos che aumenterà quando i due saranno scarcerati.
Nel frattempo, Erika accresce la fama di mantide. Lo psicologo d'ufficio viene trasferito perché accetta - sedotto dalla bimba - di portare messaggi a Omar. Pochi mesi dopo viene trasferita ad un altro carcere perché cercava ancora di comunicare con Omar, forse per concordare una versione da portare in aula. Nelle cupe descrizioni di educatori e avvocati, Erika è deperita, ma davanti a chi le parla appoggia sempre la schiena al muro. Depressa ma decisa, nega i fatti. Nel frattempo almeno sei ragazze vanno all'anagrafe a farsi cambiare il nome. Ma quanto è grande Novi Ligure, per chiamarsi tutte Erika? Altre reazioni: gli studenti di una scuola sconfessano Paolo Crepet: Erika va punita. Scrive un giornalista: "non se ne può più di questi preti, psicologi e sociologi che stanno sempre dalla parte del carnefice e mai della vittima". L'etica della responsabilità avanza col nuovo millennio? Sarebbe la fine di quella confusione morale su cui sparava a zero Edward Luttwack durante la guerra in Bosnia.
Ma il padre di Erika ha sempre potuto vedere la figlia. Erika avrebbe davvero ucciso anche lui? Non lo credo. Fra padre e figlia si è invece rivelato un legame profondo, ambiguo. Lui vuole salvarla, vivere con lei; è convinto della capacità di riabilitarla; è forse capace di perdonarla. Erika o Elettra? Ecco una chiave di lettura nuova. Al contrario della continua e stupida banalizzazione della vicenda, quella di Erika è invece una tragedia greca e come tale andrebbe reinterpretata. Lo capiscono le centinaia di giovani che ogni giorno scrivono al sito più inquietante dell'anno:
http://www.1avenue.com/erikatiamo/, pensato da un giovane ricercatore italiano. Gli adolescenti italiani vi scrivono ogni giorno confrontandosi con genitori virtuali, esprimendo aggressività, palesando un oscuro amore per Erika. Ma almeno di una cosa sono convinti: Erika ha realmente ucciso la madre e il fratello. E ne sentono il valore di figura tragica.

Marco Pasquali