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ERIKATIAMO.COM
Dalle perizie psichiatriche ed investigative viene ora
fuori che Erika e Omar non sono pazzi né drogati, ma
capaci di intendere e di volere, e che hanno ucciso a
sangue freddo. Erika è la più forte, ma questo era
chiaro. Ora che non c'è il pericolo di inquinare le
prove, i due saranno scarcerati a norma di legge.
Non è qui il caso di ripercorrere i dettagli del
delitto, peraltro noti. Quel delitto aveva scosso tutti
per l'assoluta normalità del contesto: tutto si era
svolto in uno spazio pieno, privo di marginalità. Ha
sconcertato però la freddezza di Erika, mantenuta anche
in carcere. Nelle foto, mal mascherate, gli occhi non
sono visibili ma l'aspetto è quello di una liceale
minuta ma decisa. Nelle foto guarda sempre in basso. Era
ai ferri corti con sua madre per via di Omar, ma il
confronto fra un adolescente e i genitori è normale.
Perché dunque tanta aggressività repressa? E perché
nessuno ha ipotizzato una psicosi? In ogni caso la
personalità di Erika s'impone su quella di Omar, che
figura in pochissime immagini, come se la fotografia
fosse tuttora come cento anni fa un previlegio borghese.
Figlio di un barista, Omar è incolto e mal attrezzato
per una storia più grande di lui. Come Hitlerjunge Quex,
sogna l'ascesa sociale. Accetta d'esser complice, ma la
mantide prima se lo mangia e poi lo scarica. Ma come
prova d'amore lui ha sgozzato la suocera. Omar povero
fesso. O meglio, il fesso povero.
Ma ecco gli esperti: educatori, preti, psichiatri,
sociologi, psicologi, analisti. Devono spiegare,
analizzare, rassicurare. Producono invece aria fritta:
nessun'intuizione originale, ma frasi già usate a suo
tempo per spiegare l'ectasy in discoteca, i sassi dal
cavalcavia, l'anoressia della figlia quindicenne. Nessuno
di loro ha mai parlato con Erika e troppe analisi
teoriche sembrano costruite solo in base a quanto letto
sui giornali o visto in televisione, già piena di
presenzialisti. Invece di prendere il toro per le corna,
banalizzano e riducono alla normalità quello che invece
normale non è. Ma non volendo riconoscere l'unicità
della vicenda, creano solo il caos. Caos che aumenterà
quando i due saranno scarcerati.
Nel frattempo, Erika accresce la fama di mantide. Lo
psicologo d'ufficio viene trasferito perché accetta -
sedotto dalla bimba - di portare messaggi a Omar. Pochi
mesi dopo viene trasferita ad un altro carcere perché
cercava ancora di comunicare con Omar, forse per
concordare una versione da portare in aula. Nelle cupe
descrizioni di educatori e avvocati, Erika è deperita,
ma davanti a chi le parla appoggia sempre la schiena al
muro. Depressa ma decisa, nega i fatti. Nel frattempo
almeno sei ragazze vanno all'anagrafe a farsi cambiare il
nome. Ma quanto è grande Novi Ligure, per chiamarsi
tutte Erika? Altre reazioni: gli studenti di una scuola
sconfessano Paolo Crepet: Erika va punita. Scrive un
giornalista: "non se ne può più di questi preti,
psicologi e sociologi che stanno sempre dalla parte del
carnefice e mai della vittima". L'etica della
responsabilità avanza col nuovo millennio? Sarebbe la
fine di quella confusione morale su cui sparava a zero
Edward Luttwack durante la guerra in Bosnia.
Ma il padre di Erika ha sempre potuto vedere la figlia.
Erika avrebbe davvero ucciso anche lui? Non lo credo. Fra
padre e figlia si è invece rivelato un legame profondo,
ambiguo. Lui vuole salvarla, vivere con lei; è convinto
della capacità di riabilitarla; è forse capace di
perdonarla. Erika o Elettra? Ecco una chiave di lettura
nuova. Al contrario della continua e stupida
banalizzazione della vicenda, quella di Erika è invece
una tragedia greca e come tale andrebbe reinterpretata.
Lo capiscono le centinaia di giovani che ogni giorno
scrivono al sito più inquietante dell'anno: http://www.1avenue.com/erikatiamo/, pensato da un giovane
ricercatore italiano. Gli adolescenti italiani vi
scrivono ogni giorno confrontandosi con genitori
virtuali, esprimendo aggressività, palesando un oscuro
amore per Erika. Ma almeno di una cosa sono convinti:
Erika ha realmente ucciso la madre e il fratello. E ne
sentono il valore di figura tragica.
Marco
Pasquali
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