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settembre - dicembre 2000
Beni Culturali - Società
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IL RICATTO DEL 2000

Vi ricordate il vecchio film di de Sica "Il Giudizio universale?" Su Napoli e i suoi mille volti incombeva un vocione col suo cupo ritornello: "Alla tale ora inizierà il giudizio universale!", scatenando nella povera o ricca gentucola dei vicoli o dei palazzi una ridda di grotteschi, patetici, drammatici sentimenti contrastanti. Ho la stessa impressione, bombardato come sono e come siamo dai vari orologi planetari messi in bella vista nelle principali città e piazze che sciorinano secondi ore e giorni con la stessa allegria del frate che ti rammenta: "Ricordati che devi morire!" E come si fa a dimenticarselo? Ogni giorno siamo costretti a sapere che: "Mancano tot giorni, tot ore e tot secondi al fatidico 2000!". E se ci si ferma incantati a veder scorrere la clessidra implacabile dei secondi, l’angoscia ci stringe alla gola col suo "Tempus fugit!" Era proprio necessario ricordarcelo ogni giorno, dalle piazze, dal video, dai giornali, facendoci rimbombare paure e incertezze nello scorrere della nostra piccola e fragile vita? Evidentemente sì: evidentemente lo iettatorio martellamento asseconda interessi pubblicitari, economici, (forse politici) inimmaginabili e intransigenti. Ma se tutto e tutti si fan stritolare in quest’imbuto che fa di noi tanti piccoli granelli di sabbia, una ragione ci dev’essere, una pulsione profonda, ineliminabile. Un filosofo greco diceva: "Gli uomini desiderano vivere, ma ancor più desiderano morire". E questo abissale, inconscio desiderio di morte che ci trasciniamo per tutta la vita, all’oscuro dei nostri sentimenti più immediati, si conclama meglio nella tensione della omologazione planetaria, come una specie di isteria collettiva, in questa spasmodica attesa del fatidico 2000. Che accadde infatti mille anni fa?
Le cronache parlano di fatti incredibili: angosce, suicidi, depravazioni devastanti, quasi sicuri i nostri poveri antenati dell’oscuro medioevo di precipitare nell’abisso imminente di una catastrofe cosmica, una catarsi che avrebbe dissolto e forse purificato questo nostro povero mondo contaminato da millenni di disumana umanità. Allora, nell’anno 999 dopo Cristo, tutti patirono la mannaia di quest’attesa, sperando e disperando, con la rozzezza e la semplicità di chi viveva una fede certa in un Aldilà e in una Divinità incombente. Oggi i nostri sentimenti sono più complessi e mascherati; la fede certa in Dio e nel suo Giudizio appartiene a pochi; non crediamo quasi in nulla tranne in poche, squallide cose quotidiane: nella mafiosità dei politici, nella pubblicità che interromperà il film che stiamo vedendo, nei ritardi burocratici, nella pioggia che rovinerà il nostro fine settimana…e così via. Per il resto siamo abbandonati a noi stessi, l’angoscia che nascondiamo dietro i megaorologi non si può avvinghiare nemmeno alla speranza o alla paura che tutto finirà o cambierà e il mondo, con o senza di noi, ricomincerà come nuovo, per un altro giro di giostra già pagato. Apparteniamo tutti a una scadenza che è frutto sicuramente solo della nostra umana fantasia, non legata ad eventi naturali, che vorremmo dimenticare ma che in fondo ci piace rigirarcela con il gusto malsano che abbiamo ancora e che da bambini avevamo, attratti e impauriti dal buio. Ma sì! L’odioso orologio che ogni attimo ci avverte di quanti maledetti secondi mancano alla fine del millennio è come un gioco perverso e crudele, l’odioso pro-memoria che fa di noi palline da flipper, nel freddo gioco virtuale inventato dalla nostra curiosa umanità che a nulla più crede ma non rinuncia a nessun fantasma o arcano scheletro relegato in soffitta. Così i "mostri" cacciati dalla porta del raziocinio e dei "lumi" rientrano dalla finestra lasciata aperta la notte: la mania dell’occulto, gli orrori del satanismo, le ritualità stupide e crudeli che ci ammiccano con l’occhio cisposo del nostro antenato dell’anno 1000. E poi che volete che accada? Alla fin fine solo un gran clamore, qualcuno sparerà dalla finestra, qualcuno ci si getterà attraverso (l’ominide delle caverne è sempre alle nostre spalle), la voglia che abbiamo tutti di credere in quello che non è più possibile, che tutto cambierà, magari buttando tutto all’aria (muoia Sansone con tutti i filistei!).
Ma è più facile che non accada proprio nulla, che ci si ritrovi in un giorno come gli altri, con nausea e mal di testa, seduti su un mondo di immondizie, fregati e "bidonati" da un Giudizio michelangiolesco in cui tutti, sotto sotto, speravamo e che si è dissolto nel nulla, e tutto ricomincia come prima, proprio come in quel vecchio film di de Sica.

Luigi M. Bruno
da ORIZZONTI
Rubrica: La Bottega del Misantropo