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oltre l'arte n. 0
settembre - dicembre 2000
Beni Culturali - Società
bordline contemporanea beni culturali









PAROLE, PAROLE, PAROLE

Mai la civiltà dell’uomo ebbe, nel volgersi delle ere, la agevole e massima possibilità di comunicare che oggi è a disposizione di chiunque. Satelliti fitti come nugoli d’insetti sono pronti a rimbalzare immagini e notizie in pochi secondi ovunque; la civiltà "Internet" è una trama invasiva che ricopre tutto il pianeta. Su tutto impera il "Moloch" televisivo che tutto divora e a tutti ridà il terribile minestrone quotidiano: sangue, santi, sesso e rock and roll, impartendo le coordinate di una schiacciante omologazione culturale che non risparmia nessuno.

E poi la ciliegina definitiva, il feticcio che in pochi anni da "status symbol" (freneticamente divorato) è diventato la dilagante, ossessiva protesi d’ogni tasca: il telefonino. Telefonino che una volta era appannaggio di VIP e manager, da esibire con malcelato trionfo, ed ora fiorisce nelle mani di barboni e lavavetri, di massaie e garzoni. Eppure il sacrosanto telefonino non ha esaurito la sua carica di affascinante feticcio. Telefono quindi esisto.
Ce l’hanno tutti, ma è ancora un piacere tirarlo fuori e avviare con noncuranza una irritante conversazione pubblica che il più delle volte è idiota ed obsoleta.
E qui ritorniamo "ab ovo" come diceva una volta l’insegnante di lettere, o "a monte" come dicevamo negli anni ‘70.: comunicare poi cosa? E perché? Mai ci fu epoca di più fitte comunicazioni e mai ci fu epoca di più arida incapacità di comunicare realmente. Il pianeta è assordato, tra cavi antenne e satelliti, di un fitto, interminabile "bla-bla"; rimbalzano ovunque conversazioni-monologhi nelle quali il vero dialogo è sacrificato o dalla nevrotica logorrea che ognuno di noi ha necessità di liberare, o dall’urlo, dalla rissa verbale dove chi più grida si presume abbia più ragione. Nessuno ascolta nessuno, nemmeno sé stesso. E i salotti e le conversazioni?
Una imbandigione di luoghi comuni, di banalità, di concetti sbavati e rimasticati dalla gran Madre televisiva che tutti imbocca e nutre: il piacere di rimanere sempre in superficie, parlando di tutto e di niente, vietato scavare in profondità, vietato sollevare le pietre e aprire le botole.
Vietato comunicare davvero, vietato urlare la propria mediocrità o la propria solitudine in questa incivile civiltà di "rimozioni" dove, tra "fiction" e realtà "virtuali" si gioca sempre a rimpiattino con la realtà vera. Del resto è necessario sembrare, apparire: non è la civiltà dell’immagine?
Non è questa la crudele civiltà manichea che divide gli uomini in "vincenti" e "perdenti"?
Ci si nasconde dietro le parole, si parla continuamente, con qualcuno che forse non c’è, camminando, mangiando, guidando, defecando (scusate).
Parlare, parlarsi, parlarne, senza mai incontrare davvero qualcuno, senza ascoltarlo, senza capirlo. Parlare di qualsiasi cosa con chiunque, ma dietro si nasconde il terribile silenzio, l’angelo oscuro di questo nostro mondo assordante.
Un frastuono planetario che invoca una sacrosanta pausa; un po’ di silenzio dove ritrovarsi, un nostro giardino lontano dai blateranti telefonini, dove coltivare l’antico, nuovissimo piacere della parola, dono miracoloso d’un Dio che in principio fu Verbo, non chiacchiera.

Luigi M. Bruno
da ORIZZONTI
Rubrica: La Bottega del Misantropo