SCHEDA TECNICA
Sceneggiatura e Regia: Ermanno Olmi
Fotografia: Fabio Olmi
Scenografia: Luigi Silvio Marchione
Costumi: Francesca Sartori
Musica: Fabio Vacchi
Montaggio: Paolo Cottignola
Prodotto da: Alessandro Calosci
Produzione: Cinema 11 Undici, Rai Cinema, StudioCanal,
Taurusprodktion.
Nazione: Italia/Francia/Germania
Distribuzione: Mikado
Anno: 2000
(ITALIA, 2001)
Durata: 105'
Distribuzione cinematografica: Mikado
PERSONAGGI E INTERPRETI
Joanni de Medici: Hristo Zivkov
Federico Gonzaga: Sergio Grammatico
Maria de Medici: Dessy Tenekedjieva
Nobildonna: Sandra Ceccarelli
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IL MESTIERE DELLE
ARMI
Nella sua spassosa e ormai introvabile Storia della
stupidità militare da Crasso al Vietnam, L. H. Fay
tracciava anche l'identikit del perdente recidivo: non
ultimo, il bravo soldato che non riesce a rendersi conto
dell'efficacia delle nuove armi. Quest'ultimo è proprio
il caso di Giovanni dalle Bande Nere visto da Ermanno
Olmi. Una visione ben diversa dall'interpretazione di
Luis Trenker ne "I condottieri", quello strano
film del 1937 dove la cupa masnada dei soldati di ventura
guidati dal figlio di Caterina Sforza rimandava senza
neanche troppe metafore alla memoria della Marcia su Roma
e del primo Fascismo, complice anche una fotografia in
bianconero molto contrastata. Bande nere, molto
nere
E' destino invece che nel cinema d'oggi chi fa la guerra
sembra farla sempre per caso e a malincuore, il che -
trasposto in altre epoche - rasenta il falso storico.
Anche nell'ultimo capolavoro di Ermanno Omi aleggia
sempre e ovunque un senso di morte, d'impotenza, e tutto
si svolge in un'atmosfera depressiva: ci si insegue e si
combatte nell'inverno delle nebbie padane, di giorno e di
notte, a piedi e a cavallo, coperti di ferro e stanchi in
partenza.
Ma andiamo per ordine. E' il novembre del 1526. Giovanni
de' Medici da le Bande Nere, capitano al soldo di
Clemente VII, "giovane di ventinove anni e di animo
ferocissimo" nelle parole del Guicciardini, a soli
28 anni ha già fama di grande condottiero ed è esperto
nell'arte della guerra. Suo compito è contrastare i
lanzichenecchi, duri mercenari tedeschi al soldo di re
Carlo V, calati in Italia al comando del generale Zorzo
Frundsberg. Una volta valicato l'Appennino, una volta
lungo il Po i lanzi saranno aiutati in segreto dal
ferrarese duca Alfonso d'Este, che offrirà quattro
"falconetti affustati su ruote", ovvero
nuovissime bombarde da palla, rifiutate qualche ora prima
al de' Medici.
Quest'ultimo bracca ed intercetta i lanzi, ma sottovaluta
l'efficacia delle nuove armi, il che segna la fine del
suo esercito e prepara la sua morte. Fra i ruderi di una
fornace abbandonata la guarnigione del Frundsberg si fa
trovare schierata in attesa dell'attacco dei soldati
dell'esercito pontificio. Al caracollo degli armigeri e
degli archibugieri si risponde con una selva di picche e
il fuoco dell'artiglieria. Un fortissimo botto sovrasta
il fracasso del metallo delle armature e delle voci dei
soldati all'attacco. La sorpresa blocca il galoppo del
Capitano italiano e il colpo d'un falconetto lo colpisce
alla gamba. Le cure immediate nella Casa di Loyso Gonzaga
non riusciranno a salvarlo: la lenta agonia del giovane
Giovanni durerà quattro giorni. Morirà il 30 novembre
del 1526, lasciando una giovane moglie con il figlio,
Cosimo.
Giovanni de' Medici chiude in fondo un'epoca: umano pur
nella sua durezza - governare i soldati all'epoca non era
facile - è un eroe, bello e altero, incurante della
morte, determinato nel "mestiere" di una guerra
che intende portare al nemico di giorno e di notte, con
ogni condizione di clima. All'epoca di Giovanni dalle
Bande Nere, cavaliere della nobile arte della guerra
assoldato da papa Clemente VII, combattere è un lavoro
come gli altri, una vocazione rispettabile. Dice Giovanni
in punto di morte al sacerdote che lo confessa: "Ho
vissuto da uomo d'armi e ho fatto tutto quanto il mio
mestiere mi portava a fare; con lo stesso spirito, se
avessi vestito l'abito che porti tu, avrei servito
Dio" I codici della guerra richiedono il sacrificio:
"Voglio esaltare con la mia morte liberamente
accettata la sacra legge della guerra". E' facile
attribuire al sacrificio di Giovanni il valore di una
metafora cristologica, cui allude chiaramente l'episodio
del crocifisso ligneo che i soldati di Giovanni
intenderebbero bruciare per scaldarsi, se non fossero
ripresi con violenza dal capitano. Destino ineluttabile
di chi compie il mestiere delle armi è dunque una morte
possibilmente onorevole. Ma non può esserci onore
nell'epoca delle armi da fuoco: l'aveva già detto
Kubrick in Orizzonti di gloria.
Se Giovanni de' Medici è umano, i lanzichenecchi sono
invece macchine da guerra. Il Frundsberg non lascia mai
trasparire un'emozione e i suoi uomini, disciplinati e
inquadrati al rullo dei tamburi in formazioni ora aperte,
ora chiuse a falange, con gli elmi calati fino al collo e
le picche puntate in selva contro il nemico, preconizzano
piuttosto la Wehrmacht, che quattro secoli dopo avrebbe
ripercorso le stesse strade con la stessa micidiale
efficienza. Sono il volto industriale della guerra,
rappresentano il futuro. Il mestiere delle armi è un
film del nostro tempo che racconta un tempo altro,
nell'esercizio del pensiero critico sulla materia storica
rivissuta attraverso lo sguardo del regista. Il
Cinquecento è secondo Olmi "momento catartico
fondamentale": le guerre cambiano il mondo,
ridisegnano i confini, falcidiano generazioni,
selezionano gli eroi; in questo secolo si trasformano le
guerre stesse, con la diffusione del cannone. La
ricostruzione al dettaglio delle tecniche di offesa è la
base sui cui poggia la struttura di un immaginario
imbevuto di morte; la tecnologia mostrata come strumento
per uccidere è il prodotto di un pensiero che abbraccia
Heidegger, Lacan e Kubrick
Infine, un'analisi formale. Questo film rifiuta lo
standard produttivo americano e dice molto con pochi
mezzi. Ermanno Olmi, interprete isolato di una tradizione
cinematografica improntata al realismo e non poco
influenzata dal genere documentario, narra per scene,
secondo una concezione del racconto storico depurato dei
suoi aspetti più deteriori: nessun sottile piacere per
le "geometrie della battaglia"; piuttosto,
un'interpretazione degli oggetti che richiama il
formalismo dell' Aleksandr Nevskij di Ejzenstein, con le
lance che strutturano la composizione in linee
verticali/orizzontali, e gli elmi delle armature come
maschere di morte. Il paesaggio e gli interni richiamano
il passato dell'Olmi documentarista, capace di descrivere
il mondo attraverso un'attenta manipolazione della luce,
cui si accompagna una strategia narrativa ugualmente
accorta nel procedere ad un ritmo di stacchi ponderati,
esatti.
Marco
Pasquali
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