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PEDRO,
CAVALIERE TENEBROSO
Nel paese dei "duri" chi si ricorda della
splendida grinta di un grande caratterista messicano:
Pedro Armendariz? Beninteso, dico caratterista non
perché sia stato un attore di serie B, tuttaltro!
Il caratterista è la spalla su cui spesso poggia la
storia e la credibilità del protagonista: il
caratterista devessere connotato da intensa
espressività, provato "mestiere", capacità e
professionalità, tutte qualità che spesso fior di
protagonisti non hanno trincerati dietro il loro presunto
carisma di eterni fotogenici. Il caratterista è tutto,
è il chiaroscuro, è lo spessore, è il volume delle
"luci" delleroe-protagonista. Ma Pedro
Armendariz (1912-1963) non era solo uno splendido
cattivo, era anche un fior dattore, immediato,
sanguigno, con nelle vene tutta leredità
sudamericana di calda fierezza e di tragico istinto.
Certo fu un attore "tragico", vivo e credibile
nella fatalità di storie disperate, decisamente
spiazzato e "fuorigioco" quando ebbe rari
incarichi di personaggi buffi. Nato a Città del Messico
studiò nel Texas e al Politecnico californiano; fu
impiegato in un hotel. Nel 1935 interpretò piccole
"piéces" teatrali, e fu in quellanno che
il regista Raphael Sevilla gli diede la prima
opportunità cinematografica in "Maria Elena".
Ma fu con Emilio Fernandez, dal 44 al 49, che
Armendariz si rivelò come attore intenso, passionale,
protagonista di "Maria candelaria", "La
perla", "Enamorada", in questultimo
film interpretando (con Maria Felix) un rivoluzionario
crudele e generoso, archetipo messicano che Armendariz
replicherà sovente; ne "La perla", da un
racconto di Steinbeck, il regista Fernandez creò
probabilmente un capolavoro di tragica fatalità, in uno
sfondo lirico e feroce, magnificamente fotografato da
Gabriel Figueroa (che fu anche geniale operatore di
Bunuel). Probabilmente al periodo messicano Armendariz
deve le sue migliori interpretazioni, dove protagonista
di melodrammi di intenso sapore arcaico, seppe definire
il suo personaggio di piene luci e di forti contrasti,
risoluto e istintivo, splendido eroe di civiltà
primitive. Quando, sulle ali del suo successo messicano
passò alle produzioni nordamericane le sue qualità
furono in parte mortificate: era troppo cupo per essere
leroe delle platee statunitensi. Armendariz si
dovette rassegnare ad essere "spalla"
replicando allinfinito la sua grinta di cattivo se
non addirittura di brutale e truculento. Come in
"Stanotte sorgerà il sole" (1949) di J.
Huston, ambientato in una Cuba oppressa da una terribile
dittatura dove il nostro è un poliziotto-torturatore,
una specie di repellente orco, sanguinario e sudaticcio,
avido di gamberi e di sesso. Nella "Croce di
fuoco" (1947) di J. Ford, film retorico ed
eccessivo, unaltra dittatura sudamericana, atea
stavolta, dove si mettono al muro i preti, Armendariz fù
un ufficiale inesorabile nel dare la caccia
allevangelico Henry Fonda, uccidendolo in nome di
una fede ottusa e spietata e comunista (riflesso del
maccartismo imperante). Ancora una particina di baffuto
cavalleggero nel "Massacro di fort Apache" di
J. Ford (1948) soffocato dai giganteschi eroi fordiani.
Dello stesso anno, evidentemente apprezzato dal grande
Ford, è la curiosa caratterizzazione di Armendariz-balia
asciutta in "In nome di Dio" (cè John
Wayne): tre banditi-angeli salvano e curano un neonato
abbandonato, dove lattore messicano stemperò i
toni forti in un po di patetica melassa. Per
Armendariz, impiegato per tutti gli anni 50 in
molti altri film, non ci furono chances : i baffi e la
grinta sono sempre gli stessi. Lo ritroveremo, spalla di
James Bond in "Dalla Russia con amore" (1963),
ultimo sprazzo del suo sorriso crudeli, dei suoi occhi
lunghi da azteco. Nello stesso anno, condannato da un
male inesorabile, si suiciderà (sparandosi con delle
"colt" da pistolero), in perfetto stile col
suo personaggio spietato e virile, senza mezze misure e
senza pentimenti.
Luigi M. Bruno
da ORIZZONTI
Rubrica: La Cineteca Dimenticata
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