ex-@rt magazine 
oltre l'arte n. 6
settembre - dicembre 2002

Beni Culturali - Cataloghi & Guide
bordline contemporanea beni culturali




PALAZZO VIDONI CAFFARELLI

Editore
Poligrafico dello Stato

PALAZZO VIDONI CAFFARELLI

A Roma in Corso Vittorio Emanuele, al civico 116, c'è un imponente edificio con una targa che indica essere la sede del Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio.
Il passante non lo degna di particolare attenzione in quanto generalmente lo confonde con l'edilizia tardo ottocentesca che fiancheggia la via, in realtà è un palazzo di antica origine, conosciuto come Vidoni ma in origine costruito dai Caffarelli, con una lunga storia alle spalle. Storia che viene narrata in un bel volume edito dal Poligrafico dello Stato, a cura del Dipartimento, con un'ottima veste tipografica, con interessanti saggi e belle foto degli affreschi che decorano alcuni saloni.
Quando nacque l'edificio non era unitario ma composto di vari corpi di fabbrica appartenenti a differenti rami della famiglia Caffarelli, agli Alberini e ad altri. Attraverso passaggi ereditari avvenuti ai primi del '500 Bernardino Caffarelli impostò la ricostruzione di un nuovo complesso servendosi di un architetto della cerchia raffaellesca, forse identificabile con Lorenzetto Lotto, più noto con il solo nome di battesimo; questi, allievo dell'Urbinate a cui la leggenda attribuisce il progetto edilizio, iniziò la costruzione partendo da un grande basamento in bugnato, in tufo sperone di colore scuro, sull'attuale via del Sudario dove allora prospettava la facciata principale del palazzo. I lavori non si arrestarono per due secoli tra ristrutturazioni e ampliamenti fino al '700 inoltrato quando i Caffarelli, in grave dissesto finanziario e proprietari di un altro palazzo sul Campidoglio, alienarono l'immobile al Cardinal Stoppani che inglobò altre piccole case circostanti modificando l'arredamento e la decorazione di alcune sale utilizzando l'opera dell'architetto Nicola Giansimoni e di alcuni pittori tardo settecenteschi. Successivamente subentrò il Cardinale Vidoni, che dette il nome al palazzo, che continuò l'opera di miglioramento e, a fine ottocento, i principi Giustiniani Bandini; in quest'epoca parte dell'edificio fu espropriato e demolito per l'apertura del Corso Vittorio e fu costruita una nuova facciata in stile, analoga all'antica su via del Sudario, per opera dell'archotetto Francesco Settimj; anche l'ingresso principale fu spostato sul nuovo e più importante asse viario.
Dopo altri passaggi di proprietà, nei tardi anni Venti del novecento il palazzo fu acquistato dal Partito Nazionale Fascista che lo battezzò Palazzo del Littorio e lo destinò a sede della Segreteria del partito; nel dopoguerra ebbe varie utilizzazioni nell'ambito della Pubblica Amministrazione fino ad arrivare nel 1979 all'attuale detentore. Le varie traversie hanno svuotato il grande edificio di quasi tutto il suo arredo mobile e molto danneggiato quello parietale ma ancora sopravvivono affreschi e stucchi in vari ambienti. C'è una grande sala, detta di Carlo V°, dal nome dell'imperatore che si vuole abbia alloggiato nel palazzo nel 1536, con un fregio affrescato con storie della sua vita da un ignoto ma abilissimo pittore di metà '500, e poi l'adiacente contemporanea sala con un ciclo di dipinti con la storia biblica di Tobia. Al '700 risale la decorazione di altri locali dovuta ai Cardinali Stoppani e Vidoni; sono affreschi a cavallo tra rococò e neoclassico e si devono ai pittori Nicola Lapiccola, che dipinse la CoffeHouse, Tommaso Conca autore di tre tele inserite nel soffitto ligneo della Sala delle Udienze e raffiguranti Pittura, Scultura, Architettura, Ludovico Mazzanti che appose al soffitto una tela con un Mercurio e Bernardino Nocchi che affrescò un piccolo ambiente dove erano conservati reperti archeologici detti "Fasti Prenesti".
Un grande salone al piano nobile chiamato Salone Stoppani ha un grande fregio dipinto a monocromo dorato con medaglioni e telamoni di autore ed epoca ignoti. Un grande cortile con due statue romane e alcune lapidi e bassorilievi completa la descrizione di questo gioiello assolutamente ignoto e purtroppo poco visitabile. Il bel volume permette però di documentarsi a sufficienza.

Roberto Filippi