APPESI A UN FILO La ragazza, giovane,
carina, slanciata, va per la sua strada: ha
lorecchio incollato al filo del suo
cellulare. Non vede e non sente, cammina ma non
si guarda attorno. Vedo dalle sue labbra ferme e
dal suo sguardo serio, concentrato, che ascolta
qualcosa, qualcuno. Discepolo di Zavattini e
curioso per mia natura decido per il pedinamento,
le vado dietro. Ma che fa? Attraversa la strada
ma non ci sono le strisce né un semaforo,
attraversa la strada come fosse da sola su questa
terra.
In questa felice città dove ad ogni momento il
solito ubriaco o strafatto può
stenderti sullasfalto anche se attraversi
col verde, anche se sei sul tuo marciapiede, in
questa città di pazzi e bucanieri al volante, la
nostra fanciulla sta attraversando la strada come
se fosse in un viottolo di campagna: le auto le
sfrecciano sfiorandola ma lei non stacca i suoi
occhi dai suoi pensieri e dal suo misterioso
ascolto. Non si sa come giunge salva
sullaltra sponda: forse langelo dei
telefonini la protegge. Ma non è finita. Ora
torna indietro. Più giù cè un semaforo
per attraversare, ma non se ne dà cura: si getta
in strada allavventura. È una nuova specie
di suicidio? Ma no. Adesso parla, parla, parla.
Il mondo le è intorno e addosso: alberi, case,
nuvole, gente, ma lei non cè, non è qui,
è su unisola deserta, appesa al suo filo
magico al suo telefoninofeticcio. Forse
sogna di camminare, forse è nel suo letto e lei
è solo una proiezione virtuale, come si dice? Un
ologramma!... Già, fra un po qui è tutto
virtuale, forse lo sono anchio. Mi accorgo
che per seguire lei ho schiacciato una merda di
cane. Porca puttana! Lei invece cammina sulle
nuvole, niente la sfiora e niente la tocca. Ora
è in mezzo alla strada e un autobus le è quasi
addosso, lei non lo ha neanche visto anzi, alza
un attimo gli occhi e decide di salirvi sù;
salgo anchio. Lautista le urla
qualcosa: hai deciso di finirmi sotto? La ragazza
lo guarda allibita: ma che vuole costui? È un
pazzo? Intanto anche lautista ritorna al
suo auricolare e riprende a cazzeggiare con
qualcuno. La ragazza, tranquilla e serena, si
siede e continua il suo discorso infinito. Mi
guardo attorno: vecchi, bimbi, donne, ubriachi,
paralitici, gialli, neri, rossi, sono tutti con
gli occhi e le orecchie stampati sugli infernali
apparecchietti. Chi urla, chi ride, chi gioca e
smanetta. Mille faccende e mille fattacci mi
vengono vomitati addosso, le voci si incrociano:
coreani, cinesi, nordici, spagnoli, slavi,
indiani, dialogano beati con le loro voci
stridule, gutturali, rauche o squillanti, ridono,
si incazzano, piangono gli affari loro come se
fossero nel loro cesso di casa. Nessuno ti
guarda, nessuno ti vede e ti sente. Sono tutti su
un altro pianeta. È un film di fantascienza? Gli
alieni hanno conquistato la terra? Sono nel
panico. Fermate! Voglio scendere!!
Luigi M. Bruno
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