ex-@rt magazine 
oltre l'arte n. 3
settembre - dicembre 2001

Beni Culturali - Bordline
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I NOSTRI SOLDATI NEI BALCANI

Negli ultimi dieci anni nei Balcani ci sono state cinque guerre, né la situazione è ancora stabilizzata. Da almeno sei anni migliaia di nostri soldati sono impegnati direttamente in una zona che comprende parte della Bosnia-Erzegovina, l'Albania, il Kosovo e ora la Macedonia: i fanti della Brigata Sassari sono da poco arrivati in zona di operazioni, nel contesto della missione KFOR (
www.kforonline.com). Italiano è in questo momento il comandante stesso della KFOR, il ten.generale Cabigiosu. In questi anni i nostri soldati - tutti volontari - hanno sorvegliato, sminato e pattugliato le loro zone di competenza, ma anche ricostruito strade e ferrovie, gestito aeroporti, addestrato le polizie locali, protetto le minoranze, hanno esteso l'assistenza sanitaria alle popolazioni impoverite e dato una sicurezza collettiva col loro presidio.
Il motivo del nostro costoso impegno operativo è semplice: meglio prevenire una guerra che subire le conseguenze di quelle degli altri, o dover intervenire direttamente (come è successo l'altr'anno), con costi ben più alti. Si può parlare quindi di rischio calcolato e di politica preventiva. Inoltre, fa parte della politica estera proteggere gli interessi nazionali in aree geopolitiche a due passi da casa.
Ma se questa analisi è corretta, che percezione ne ha la gente? Non parliamo degli specialisti, ma della gente comune, quella che in televisione vede partire i soldati ma non li segue mai sul terreno, o che sa degli alpini solo quando cadono dall'elicottero. La questione è delicata e impone alcune considerazioni.
1. missioni di guerra presentate come impegni umanitari ne falsano una corretta lettura. Ora, se in democrazia è necessario il consenso collettivo per qualsiasi cosa, a maggior ragione deve esserlo in operazioni che coinvolgono le vite dei cittadini arruolati, anche se volontari. Ma non essendo facile ottenere il consenso per operazioni militari, queste vengono presentate appunto come missioni essenzialmente umanitarie. Sono nei fatti missioni di guerra e prevedono regole d'impiego delle armi in caso di necessità. Ma su questo l'informazione è sempre più sfumata.
2. la gente comune ha una percezione generica della politica estera. Niente di strano: per mezzo secolo essa era stata delegata agli Americani, per cui la classe dirigente italiana prima ancora che i suoi elettori era impreparata a gestirne una. Negli ultimi anni la situazione è migliorata, ma non senza sforzi, malintesi e occasioni perdute.
3. l'abolizione della leva ha portato al disinteresse della gente verso le proprie forze armate, provocando proprio quello che la sinistra predicava anni fa prima di rimuovere il problema e accettare senza discussioni l'esercito di professione: il distacco della comunità dalle proprie forze armate. I risultati si vedranno verosimilmente entro pochi anni.
4. l'informazione gestita dalle forze armate non raggiunge sempre i mass-media. Sapere tutto sulle nostre missioni nei Balcani è in teoria facile: basta leggersi la stampa specializzata o seguire in rete gli aggiornamenti dei siti. Già ai tempi della guerra in Bosnia le nostre forze armate tenevano regolari conferenze stampa sul modello degli americani. Molto si dà da fare il Ministero, anche se più per cercare volontari che per dire come vivono e che cosa fanno. Ma l'impressione è che, a parte i Carabinieri - da sempre i meglio organizzati - le forze armate non sappiano ancora informare sempre e dovunque i cittadini, né la stampa generalista li aiuta molto. Le pagine dedicate alle nostre missioni sono spesso episodiche. Ma anche questo è pericoloso: nel momento della difficoltà il soldato si sente solo. E nei Balcani è dura.

Marco Pasquali