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I NOSTRI SOLDATI NEI BALCANI
Negli ultimi dieci anni nei Balcani ci sono state cinque
guerre, né la situazione è ancora stabilizzata. Da
almeno sei anni migliaia di nostri soldati sono impegnati
direttamente in una zona che comprende parte della
Bosnia-Erzegovina, l'Albania, il Kosovo e ora la
Macedonia: i fanti della Brigata Sassari sono da poco
arrivati in zona di operazioni, nel contesto della
missione KFOR (www.kforonline.com). Italiano è in questo momento
il comandante stesso della KFOR, il ten.generale
Cabigiosu. In questi anni i nostri soldati - tutti
volontari - hanno sorvegliato, sminato e pattugliato le
loro zone di competenza, ma anche ricostruito strade e
ferrovie, gestito aeroporti, addestrato le polizie
locali, protetto le minoranze, hanno esteso l'assistenza
sanitaria alle popolazioni impoverite e dato una
sicurezza collettiva col loro presidio.
Il motivo del nostro costoso impegno operativo è
semplice: meglio prevenire una guerra che subire le
conseguenze di quelle degli altri, o dover intervenire
direttamente (come è successo l'altr'anno), con costi
ben più alti. Si può parlare quindi di rischio
calcolato e di politica preventiva. Inoltre, fa parte
della politica estera proteggere gli interessi nazionali
in aree geopolitiche a due passi da casa.
Ma se questa analisi è corretta, che percezione ne ha la
gente? Non parliamo degli specialisti, ma della gente
comune, quella che in televisione vede partire i soldati
ma non li segue mai sul terreno, o che sa degli alpini
solo quando cadono dall'elicottero. La questione è
delicata e impone alcune considerazioni.
1. missioni di guerra presentate come impegni umanitari
ne falsano una corretta lettura. Ora, se in democrazia è
necessario il consenso collettivo per qualsiasi cosa, a
maggior ragione deve esserlo in operazioni che
coinvolgono le vite dei cittadini arruolati, anche se
volontari. Ma non essendo facile ottenere il consenso per
operazioni militari, queste vengono presentate appunto
come missioni essenzialmente umanitarie. Sono nei fatti
missioni di guerra e prevedono regole d'impiego delle
armi in caso di necessità. Ma su questo l'informazione
è sempre più sfumata.
2. la gente comune ha una percezione generica della
politica estera. Niente di strano: per mezzo secolo essa
era stata delegata agli Americani, per cui la classe
dirigente italiana prima ancora che i suoi elettori era
impreparata a gestirne una. Negli ultimi anni la
situazione è migliorata, ma non senza sforzi, malintesi
e occasioni perdute.
3. l'abolizione della leva ha portato al disinteresse
della gente verso le proprie forze armate, provocando
proprio quello che la sinistra predicava anni fa prima di
rimuovere il problema e accettare senza discussioni
l'esercito di professione: il distacco della comunità
dalle proprie forze armate. I risultati si vedranno
verosimilmente entro pochi anni.
4. l'informazione gestita dalle forze armate non
raggiunge sempre i mass-media. Sapere tutto sulle nostre
missioni nei Balcani è in teoria facile: basta leggersi
la stampa specializzata o seguire in rete gli
aggiornamenti dei siti. Già ai tempi della guerra in
Bosnia le nostre forze armate tenevano regolari
conferenze stampa sul modello degli americani. Molto si
dà da fare il Ministero, anche se più per cercare
volontari che per dire come vivono e che cosa fanno. Ma
l'impressione è che, a parte i Carabinieri - da sempre i
meglio organizzati - le forze armate non sappiano ancora
informare sempre e dovunque i cittadini, né la stampa
generalista li aiuta molto. Le pagine dedicate alle
nostre missioni sono spesso episodiche. Ma anche questo
è pericoloso: nel momento della difficoltà il soldato
si sente solo. E nei Balcani è dura.
Marco
Pasquali
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