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2003

Beni Culturali - Bordline
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IL DECLINO DI ARAFAT?

L'interrogativo è d'obbligo, vista la diabolica capacità del protagonista di uscir vivo da qualsiasi accidente. Nel momento in cui scrivo la Road Map è quanto meno piena di buche e ostacoli, ma rappresenta l'unica novità in quello che è ormai un conflitto cronico. Novità che si deve unicamente all'energia del gruppo dirigente americano, al termine della Seconda Guerra del Golfo.

Avevo fatto notare in un articolo precedente che la guerra continua fra Israele e i Palestinesi è un conflitto locale, e come tale era stato trattato da Bush jr. all'inizio del nuovo millennio. Ben altre erano le priorità strategiche. A provocare un ripensamento in politica estera è stata dunque la nuova situazione creata dopo l'11 settembre 2001, data che segna l'inizio della Quarta Guerra Mondiale. Si è capito in sostanza che combattere il terrorismo significa anche eliminare o attutire le cause che lo generano o lo favoriscono. E se le varie operazioni di polizia hanno fatto forse molto meglio e di più delle enormi operazioni militari in Afghanistan e in Iraq, è un dato di fatto che la situazione politica della Palestina rimane - se insanata - un bubbone perenne e un elemento di contrasto fra gli Americani e i loro alleati (?) arabi. Da qui l'impegno tardivo ma deciso per sistemare la Palestina una volta per tutte, suggerendo la creazione di due stati nazionali prossimi ma indipendenti, entrambi dotati di confini regolari, di una capitale, di continuità territoriale e di risorse economiche realistiche. Tutto questo comporta una serie di sacrifici reciproci che costituirebbero semplicemente il male minore: da parte israeliana un fermo all'espansione territoriale condotta dai coloni e protetta dall'esercito, da parte palestinese il riconoscimento reale dello stato di Israele. Restano sul tappeto problemi che in Italia si tende a ignorare, come p.es. la gestione delle risorse idriche, ma il punto è il solito: le parti vogliono veramente accordarsi? E ha senso negoziare senza un deterrente?

E' ancora presto per dire se la Road Map funzionerà o no o farà la fine dei falsi accordi precedenti. Che siano ripresi gli attentati terroristici il giorno dopo della firma, di per sé non è indicativo: in Palestina ogni volta che si è parlato di pace il giorno dopo qualcuno è morto ammazzato. Il punto è un altro: i negoziati non sono stati portati avanti da Arafat, ma dal discreto Abu Mazen, interlocutore gradito agli americani e senz'altro meno compromesso, ma allo stato delle cose ancora troppo debole per imporsi su chi vuole la guerra, in particolare il "cartello" composto dalle Brigate Izzeddin (o Ezzeddin) al Qassam (braccio armato di Hamas, il gruppo rivale dell'Olp); dalla Jihad islamica (nata negli anni '80 nella Striscia di Gaza); dalle Brigate dei martiri di Al Aqsa (costola di Al Fatah, il partito di Arafat). Degli Hezbollah libanesi neanche a parlarne.

Senza dubbio lo scopo del "cartello" non è solo quello di manifestare il proprio dissenso verso una soluzione negoziata e realistica del conflitto, ma anche quella di screditare Abu Mazen e ribadire la centralità di Arafat. Ma è proprio questo su cui si deve discutere.

Ho fatto notare a suo tempo che, proprio per la sua natura locale, il conflitto palestinese ha un assoluto bisogno di visibilità. Questo ha portato il gruppo dirigente di Arafat a scatenare la rivolta generale, al cui confronto la prima Intifada era uno scherzo, non solo per l'uso delle armi invece che dei sassi, ma per la nuova pratica del terrorismo suicida. Questo non significa che Arafat sia stato il responsabile del nuovo fenomeno degli shahjid (martiri), impropriamente chiamati kamikaze islamici, ma sicuramente è diventata un'arma di pressione in più.

Ma intanto ci si può e ci si deve chiedere per quale motivo Arafat non abbia firmato il protocollo del settembre 2000, quando il presidente Clinton e il governo Peres hanno offerto ai Palestinesi tutto quello che nessun altro avrebbe fatto: era scontato che alla Casa Bianca ci sarebbe stato un cambio della guardia e che il rifiuto del protocollo avrebbe fatto stravincere il partito di Sharon. Clinton ha messo sulla bilancia tutto il prestigio politico accumulato e neanche sottobanco sarebbero arrivati anche fiumi di dollari, Peres conosceva benissimo il pericolo posto dalla componente più settaria e religiosa della società israeliana una volta al governo. Il protocollo restituiva ai Palestinesi molto terreno perso durante le varie guerre e/o occupazioni; prevedeva il finanziamento dello sviluppo di un'economia. Non prevedeva il ritorno di tutti i Palestinesi nelle terre originarie, ma non esiste Stato che accetti in questo modo la propria disintegrazione. Si sorvolava invece sulle risorse idriche, tuttora squilibrate a favore degli Israeliani. Comunque resta la domanda: perché non accettare ciò che nessuno avrebbe mai più offerto appena tre mesi dopo? E' appena il caso di far notare che noi Italiani nel Risorgimento ci siamo all'inizio accontentati di un piccolo stato nazionale con confini segnati e risorse economiche e demografiche sufficienti per promuovere in seguito rivendicazioni nazionalistiche o addirittura pensare ad un'espansione imperialistica. La Palestina invece si trova da tre anni priva di qualsiasi base economica e praticamente sotto pressione militare quotidiana.

E' anche facile notare che Arafat ha perso ogni volta che ha accettato o promosso lo scontro militare con Israele. Questo perché gli Israeliani non sono capaci di fare una pace, ma la guerra sanno farla benissimo. E' una nazione in guerra da cinquant'anni, spende il 28% del Pil per la difesa e combatte in zone comunque ben delimitate. Al massimo un nemico può mandare avanti azioni di disturbo: al di là del suo impatto psicologico, neanche il terrorismo suicida di per sé è risolutivo. Oltretutto esso richiede un'organizzazione complessa e ben strutturata: uno shahjid è spendibile una volta sola e la cellula che lo forma è l'obiettivo logico della repressione israeliana.

Conclusioni provvisorie? Arafat, screditando Abu Mazen e alleandosi ufficialmente con la triade Izzeddin al Qassam - Jihad islamica - Brigate dei martiri di Al Aqsa, ritorna protagonista: ma il suo destino è ormai segnato.

Marco Pasquali
21 giugno 2003