ex-@rt magazine 
oltre l'arte n. 0
settembre - dicembre 2000
Beni Culturali - Eventi
bordline contemporanea beni culturali


Tazzine miniaturizzate di bucchero dal primo deposito votivo del Colle Oppio (VI secolo a.C.)



Piccolo kouros bronzeo dal primo deposito votivo del Colle Oppio (ultimi decenni del VI secolo a.C.)



Pesi da telaio e rocchetti fittili dal secondo deposito votivo del Colle Oppio (IV-III secolo a.C.).

LA MISTERIOSA CERIMONIA DI ROMA ANTICA:
Il rito degli Argei


Uno scavo effettuato oltre dieci anni fa a Roma, in un'area sul Colle Oppio (all'angolo fra viale del Monte Oppio e via delle Terme di Traiano), condusse ad alcune interessantissime scoperte archeologiche, purtroppo assai mal note al pubblico dei non specialisti. Nel corso di quello scavo, infatti, a parte gli scarsi resti di una fullonica (ossia, di un'antica lavanderia) di età medio-imperiale, si rinvennero: una grande struttura circolare - rimasta in uso dal tardo periodo repubblicano fino ad età tardo-antica (o alto-medioevale) - peraltro rappresentata in un frammento della grande pianta severiana di Roma antica (la cosiddetta Forma Urbis Marmorea); un'area sacra, di età tardo-repubblicana, con più fasi di vita, ma definitivamente abbandonata nel II secolo d.C.; infine, due depositi votivi, il primo del VI secolo a.C. (o, meglio, di fine VII-VI a.C.) ed il secondo del IV-III secolo a.C. Dallo scavo, risultò probabile altresì che la struttura circolare, più o meno coeva per l'epoca di fondazione all'area sacra, fosse stata, almeno nel periodo più antico, in rapporto con l'area sacra stessa, tanto più che il deposito votivo arcaico era stato trovato proprio all'interno della zona dove, più tardi, sarebbe stata costruita la struttura circolare (il deposito del IV-III secolo a.C. fu rinvenuto, invece, poco al di fuori). In base a ragioni di carattere archeologico - topografico, già all'epoca dello scavo si formulò l'ipotesi di una relazione dei ritrovamenti effettuati con l'antica cerimonia degli Argei, o, meglio, che l'area sacra allora rinvenuta, fosse uno dei sacrari degli Argei, per l'esattezza, il IV del Colle Oppio. Questa congettura ha trovato poi un certo seguito tra gli studiosi e, per questo motivo, ci è parso opportuno ora divulgarla in questa sede. Ma che cos'erano gli Argei? Con il nome Argei o Argea nella Roma antica, s'indicavano due cose distinte. Anzitutto i ventisette fantocci di giunco che ogni anno, il 14 di maggio, erano precipitati nel Tevere, nel corso di una solenne cerimonia, dal Pons Sublicius. Il rito era compiuto dalle Vestali, probabilmente con la partecipazione dei pontefici. Con questo stesso termine però s'indicavano anche i ventisette sacrari, distribuiti nelle quattro regioni serviane (queste ultime erano il risultato della partizione di Roma effettuata, nel VI secolo a.C., dal re etrusco Servio Tullio, una divisione rimasta sostanzialmente in vigore fino a quella, in quattordici regioni, di età augustea). L'elenco di questi sacrari ci è noto dallo scrittore latino Varrone, mentre, da un'altra fonte, sappiamo che i sacrari erano visitati il 16/17 marzo. Alla processione prendeva parte la Flaminica Dialis, ossia la moglie del flamen Dialis, uno dei sacerdoti di Roma antica maggiormente gravati da arcaici divieti e tabù. Gli studiosi moderni hanno supposto che l'elenco dei sacrari restituisca il percorso e l'ordine della processione stessa e che quest'ultima avesse lo scopo di deporre i fantocci nei sacrari, donde erano tolti a maggio per essere gettati nel fiume. Per spiegare le origini ed il significato di questo rito, sono state avanzate numerose, e assai complesse, ipotesi. Se l'organizzazione della cerimonia parrebbe da riportare proprio al periodo del re Servio Tullio (anche se il rito, nel suo nucleo costitutivo, potrebbe anche risalire ad età più antiche), nessun dubbio può avanzarsi sul suo significato. Si tratta, infatti, di una cerimonia che rientra nel novero dei cosiddetti riti "del capro espiatorio", assai comuni in civiltà, prevalentemente di carattere agricolo, in cui si conservano più o meno consistenti tracce di pensiero "magico". Scopo di queste cerimonie è quello di espellere periodicamente dal contesto urbano i mali - percepiti come miasmi contaminanti - accumulati dalla comunità. E' chiaro perciò che i fantocci di giunco non rappresentano altro che i sostituti di esseri umani veri e propri (un'attenuazione di un barbaro e più antico rito?) che, dopo essere stati ritualmente caricati dei mali della città, venivano gettati nel Tevere allo scopo di espellere le pericolose contaminazioni dal contesto urbano. Riti del genere s'incontrano, a volte, perfino in alcune città della civilissima Grecia antica, dove si procedeva proprio all'espulsione di esseri umani in carne ed ossa (i cosiddetti pharmakòi).

Lanfranco Cordischi