GEORGINA
SPENGLER
Breve
Nota Biografica
Georgina Spengler nata ad Atene nel 1959, è
vissuta in Ohio (USA), in Olanda e Francia.
Ha studiato Arte alla School of Fine Arts della
Boston University e alla Corcoran School of Art -
Washington DC.
Dal 1982 vive a Roma.
Mostre Collettive
1982
Vassar College Collective, Vassar College,
Washington DC
Collective, Corcoran Gallery of Art , Washington
DC
1983
Collettiva, Nuova Galleria Internazionale, Roma
1985
Collettiva, Italidea, Roma
1986
Collettiva, Italidea, Roma
1988
Tre pittrici, Palazzo Valentini, Roma
Roman Americans, Galleria Sala Uno, Roma
1989
L'artista che non esiste, Palazzo Valentini, Roma
Collettiva, Galleria Alessandra Bonomo, Roma
1991
Presenze, Rocca Paolina, Perugia
1993
Mare nostrum, Galleria Imart, Roma
1994
Transizioni, migrazioni, passaggi, Galleria AAM,
Roma
Sette elementi, Galleria Lo Studio, Roma
2000
Year End Show, Galleria Sala Uno, Roma
Studi aperti, Roma
2001
Trame, Galleria Vetrina Contemporanea, Roma
Remembering Utopia, Biennale del Mediterraneo,
Salerno
Mostre Personali
1987
Gallerie Prisma, Wien
1989
Galleria Gruppo Dieci, Roma
Itinerari 96, Chiesa S. Maria al Borgo, Morlupo,
Roma
Hortus Conclusus, Istituto Italiano di Cultura,
Monaco di Baviera
Cliccate sulle
miniature per ingrandire le immagini.
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Breve
Nota Critica
GEORGINA SPENGLER - Hortus conclusus
Per anni Georgina Spengler ha dipinto su
tavolette di legno vortici d'aria e turbini di
luce, alberi, foglie, nuvole, seguendo -
soprattutto nella fase iniziale - l'affascinante
richiamo della tradizione romantica dei
paesaggisti inglesi, la trasfigurazione del
paesaggio che Turner operava grazie alle grandi
forze cosmiche.
Queste tavolette si sono poi accostate formando
assemblaggi secondo un principio geometrico di
scomposizione geometrica regolare.
Oggi Georgina Spengler si presenta con una serie
molto omogenea di opere che hanno in comune
alcuni caratteri: lo spessore (effettivo o
fittizio) del supporto, una sovrapposizione di
stratigrafie elaborate attraverso stesure
pittoriche e successive graffiature, strisciate
verdi o dorate simili a velari che lasciano
trasparire bagliori ed in prima superficie una
decorazione a forte definizione cromatica.
L'impianto esteriore è quello di uno spazio
chiuso, circoscritto, caratterizzato da una forte
valenza decorativa, ma, l'armonioso accordo tra
l'architettura del dipinto e la spazialità
espansiva, puramente cromatica delle stesure e i
successivi "nascondimenti", ne
evidenzia invece un aspetto fortemente simbolico.
Aspetto simbolico chiaramente riferibile non più
alla tradizione occidentale inglese, bensì a una
cultura mediorientale, ancora tuttavia
inscrivibile nella ricerca di partenza di uno
spazio naturalistico.
I grovigli in superficie non ci sembrano più
allora come elementi semplicemente decorativi, ma
piuttosto naturalistici, pur nella loro astratta
ripetitività. Nella netta recinzione del dipinto
intuiamo una sorta di giardino edenico che ci
indica una forte componente della cultura
islamica all'interno della quale la coltivazione
delle piante era considerata un'attività sacra.
La religione zoroastrica concepisce la terra
coltivata, protetta dalle divinità a differenza
di quella incolta, abitata dai demoni.
La rigorosità geometrica dell'impianto del
quadro è di conseguenza riferibile all'assetto
spaziale e architettonico del giardino regale
orientale la cui struttura è rappresentata da
un'area quadrata resa quadripartita
dall'intersezione dei canali di irrigazione.
Successive elaborazioni dell'area del giardino
regale prevedono doppie piante quadripartite,
nonché il terrazzamento dei dislivelli naturali
e l'effetto decorativo dei giochi d'acqua.
E' - come dicevamo - la natura controllata,
protetta dall'uomo ad esser considerata benevola
con virtù addirittura terapeutiche, separata da
quella esterna, ostile e selvatica.
La simmetria, la geometrizzazione delle forme,
nella loro semplicità, esprimono infine
l'essenza divina della terra (il suo aspetto di
terra mater) e, come luogo di benessere per
eccellenza il giardino viene accostato al modello
ideale del paradiso celeste.
Il paradiso islamico - quello che in alcuni di
questi spessori cromatici viene intitolato dalla
Spengler MINGLE (=mischiare, confondere,
sovrapporre) - è strutturato secondo uno schema
che prevede otto giardini sovrapposti, a cui si
accede attraverso otto porte. La ricorrenza al
numero 8 non è casuale, ma sta volutamente ad
esprimere una serie di valori simbolici che prima
la tradizione cristiana (i battisteri a forma
ottogonale), poi quella islamica, ereditano da
più antiche culture, probabilmente egizie. La
cultura islamica tuttavia, con il
giardino/paradiso, raffigura la vita eterna da
ottenere non dopo la morte ma durante la vita
terrena: una sorta di superamento di una malattia
psico-fisica per riottenere la perduta vitalità.
Ecco che i bagliori, le trasparenze ottenute
mediante una serie di graffi, il gioco dei
disegni di fondo che si mischiano con i segni di
superficie, gli accenti dorati o bluastri,
appaiono adesso come incassati su più strati e
immersi in un recinto murato all'interno dello
spessore del dipinto, secondo un'architettura che
rientra nel dominio della metafisica.
Sullo strato più esterno di alcuni dei dipinti
di questa serie è raffigurata una geometria
piatta, una griglia senza punto di fuga, quasi
una canalizzazione vista a volo d'uccello:
"Vi saranno fiumi d'acqua incorruttibile e
fiumi di latte dal gusto immutabile, e fiumi di
vino delizioso a chi beve, e fiumi di miele
purissimo. Ed ivi godranno d'ogni frutto, e del
perdono ancora del Signore" (Sura XLVII,
15).
Enrica
Torelli Landini.
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