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Critico o curatore?
di Sandro Barbagallo
Solo trent’anni fa (all’epoca di Argan e dei suoi discepoli) la
professione di curatore non si scindeva da quella di storico o
critico d’arte. Ogni critico militante era legato ad una tendenza che gli
era affine, visitava gli studi e seguiva artisti di varie generazioni,
spesso creando proficui confronti in mostre che egli stesso curava.
A volte in competizione con gli stessi artisti, la figura del critico si
trasformò rapidamente in quella di manager. Una sorta di deus ex
machina con il potere di creare tendenze internazionali e di
influenzare pesantemente il mercato. È inutile citare le personalità di
forte carisma che affrontarono un modo nuovo di concepire le mostre
avvalendosi dei primi “curatori”. Figure queste di basso profilo
professionale che eseguivano pedissequamente le indicazioni del
critico-regista-stregone. È ovvio quindi che quando lo stregone è venuto a
mancare, anche i suoi assistenti (promossi curatori) hanno fatto la fine
degli apprendisti stregoni.
Da queste comuni riflessioni è nata l’esigenza di discutere sulla
differenza tra la figura del critico e quella del curatore. Infatti in
ognuno di noi si era maturato un disagio molto prossimo all’intolleranza.
Per quali ragioni e verso chi?
Le ragioni riguardano l’eccesso di improvvisazione e autodesignazione di
personaggi spesso molto ignoranti, ma non per questo incapaci di alzare
polveroni che disturbano la possibilità di vedere con chiarezza cosa si
potrebbe e si dovrebbe fare per trovare il modo di uscire dal labirinto
dell’attuale confuso sistema dell’arte. Chi sono questi personaggi è una
domanda retorica che sottintende “i soliti ignoti”.
Se è difficile proibire l’ammissione nell’AICA a costoro, forse però se ne
possono limitare i danni istituendo un albo per curatori che garantisca
almeno l’idoneità a svolgere certe mansioni riguardanti l’organizzazione
di una mostra e relativo catalogo. A mio parere è comunque inconcepibile
che non si esiga da persone che svolgono un incarico così delicato, una
corretta preparazione specifica sia nella Storia dell’Arte che nelle
discipline affini riguardanti la Museologia.
Per quanto riguarda i critici d’arte, invece, già sappiamo che la loro
iscrizione all’AICA è subordinata sia a titoli che alla presentazione di
altri membri dell’associazione.
Per concludere mi sembra importante ricordare che mentre un critico
militante potrebbe svolgere anche le funzioni di un curatore (ad esempio
ideando una mostra che faccia il punto su una tendenza specifica e quindi
curandola dall’A alla Z) mi sembra improbabile che un “curatore” possa
fare altrettanto non essendogli attualmente richiesti gli strumenti
critici.
Tutti conosciamo gli interessi economici (e politici!) che ruotano intorno
al mondo dell’arte, quindi mi chiedo per quale ragione non si dovrebbe
creare uno strumento capace di dare serie garanzie ai fruitori, siano essi
collezionisti, artisti o galleristi?
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