con il patrocinio del
|
Contributi
CRITICO / CURATORE >> ?
di Emanuela Nobile Mino
I profili che oggi delineano le figure del critico e del curatore appaiono
effettivamente sfumati, il che permette una sorta di sovrapposizione e di
scambio tra le competenze delle due professioni ma allo stesso tempo
produce una strana confusione dei ruoli e delle mansioni. Già un paio
d’anni fa è sorta l’esigenza di tentare di far luce su questa “diatriba”
in un convegno organizzato presso la GAMeC di Bergamo dal gruppo Synapster
e da Undo.net, che ha chiamato a confronto le nuove generazioni di
curatori e critici italiani, e da cui sono emersi molteplici spunti di
riflessione. La faccenda è tuttora per certi versi, in Italia soprattutto,
ancora piuttosto nebulosa, per altri credo invece sia già in qualche
modo in via di risoluzione, dal momento che le rispettive pertinenze e i
rispettivi interessi sembrano sempre più mettersi a fuoco e in qualche
modo compensarsi. Da parte mia credo che, sebbene la conditio sine qua
non per definirsi critico sia in primis quella di avere una adeguata
formazione storico-artistica, oltre che una particolare capacità
d’indagine e di espressione e una predisposizione alla scrittura, anche
alla base della formazione di chi voglia intraprendere il lavoro del
curatore gli studi storico-artistici siano necessari, se non fondamentali,
ai fini della realizzazione di una buona mostra. Anche se ultimamente
quella del curatore sembra un’attività che molti decidono di intraprendere
in modo estemporaneo - ed è forse questo fenomeno che contribuisce a
generare dubbi sulla legittimità professionale di questa figura - credo
che negli ultimi tempi il curatore abbia trovato una sua solidità andando
ad occupare una posizione che nel mondo dell’arte era in passato vacante o
assunta a singhiozzo una volta dal gallerista, l’altra dal critico.
Classificabile forse come evoluzione della specie “critico militante”, il
curatore è riuscito a ritagliarsi un ruolo importante riuscendo a
trasformarsi in catalizzatore di energie, in punto di riferimento per gli
artisti, puntando su un lavoro di stretta collaborazione e di condivisione
dell’esperienza creativa, nonché sul vivace scambio dialettico, oltre che
sulla gestione delle risorse artistiche di un contesto preciso, sulla
capacità di creare egli stesso opportunità d’incontro e di confronto tra
espressioni linguistiche geograficamente e culturalmente lontane. La
professione del curatore presuppone una qualità fondamentale che è quella
di riuscire a visualizzare la struttura e gli equilibri di una mostra,
collettiva o personale che sia, che mutano in base a tutta una serie di
fattori di cui necessariamente deve tener conto e su cui deve
interrogarsi: le direzioni perseguite e gli intenti insiti nelle ricerche
degli artisti che nell’ambito di un progetto di mostra si troveranno a
colloquio condividendo un terreno comune di confronto; lo spazio
espositivo e il suo ruolo - contenitore o ispiratore - il carattere
narrativo che la mostra restituisce nel suo prendere forma in un dato
contesto e la posizione che il suo progetto occuperà nell’ambito della
ricerca artistica contemporanea. In quest’ultimo caso il lavoro del
critico e del curatore si sovrappongono in modo più evidente, entrambi,
sebbene in modo diverso, pongono attenzione alla corretta “collocazione”
dell’opera e dell’artista, l’uno (il critico) in senso storiografico
ovvero rintracciando un punto di continuità tra il presente e le
esperienze del passato e aprendo nel suo appunto critico un dibattito che
contribuirà alla storicizzazione di un’opera o di un’operazione; l’altro
in senso contestuale, e cioè individuando le connessioni tra un dato
fenomeno artistico e il preciso ambito con cui interagisce, e che è
essenzialmente il presente, l’hic et nunc. Alcune operazioni
curatoriali, infatti, riescono a mettere in display una serie di
riflessioni sull’attualità in grado di suggerire realmente nuove
prospettive di pensiero e di osservazione, soprattutto quando lo sguardo
del curatore supera i confini strettamente artistici e si apre ad
incursioni in ambiti culturali diversi (musica, new media, grafica, moda,
design), attingendo ad un bagaglio d’informazione variegato.
Sostanzialmente direi che il critico, a differenza del curatore, ha, e a
volte necessariamente deve avere, uno sguardo maggiormente distaccato
tanto sull’opera quanto sull’artista, il che non vuol dire che è o deve
essere meno partecipe, meno presente, semmai meno interferente. Il suo
approccio all’opera è, per indole, per formazione, essenzialmente più
scientifico, quasi chirurgico perché volto a sviscerare contenuti, ad
analizzare gli aspetti formali di un’opera, di una ricerca, per poi poter
addurre a questi ulteriori prospettive di lettura e di interpretazione e
al contempo elaborare interrogativi dai quali possibilmente scaturiranno
nuovi quesiti. Penso che, fondamentalmente, la differenza tra queste due
figure stia nella dicotomia che di base regola i rispettivi ed inversi
processi d’azione, l’uno empirico l’altro teorico. Mentre il lavoro del
curatore si invera nell’esperienza diretta, pratica, sul campo,
finalizzata alla “costruzione” di una macchina funzionante a tutti gli
effetti, quello del critico si fonda sulla responsabilità teoretica che
nella distanza conoscitiva trova il modo di “smontare” uno ad uno i
meccanismi di questa macchina, operare una revisione di ogni ingranaggio,
per certificare la congruità effettiva dell’assemblaggio globale, ovvero
la contemporaneità di un’opera, sia rispetto alle esigenze del panorama
presente, che rispetto alle esperienze del passato e possibilmente
rispetto alle prospettive che questa apre al futuro dell’arte. E ritengo
che il lavoro svolto da entrambe le figure professionali funzioni quando
procede per compensazione, non certo per contrapposizione.
|